Interventi

Lettera da Oslo

 

Quando chiedo all’impiegata della Biblioteca Nazionale di Oslo se posso ordinare un microfilm del manoscritto che sto studiando lei si stupisce: «Ma glielo possiamo digitalizzare!». E se fossero solo un paio di pagine? «Allora fotografi lei stesso». E così faccio, coll’ipad. Quando chiedo se c’è qualcosa da pagare, lei è ancora più stupita: «Perché?».

Alla Biblioteca Nazionale di Oslo c’è questa atmosfera rilassata, amichevole, e soprattutto questa liberalità nella concessione dei materiali che a chi ha esperienza di biblioteche suona un po’ come una barzelletta: niente fogli da compilare, niente attese di settimane per avere la fotocopia o il microfilm? Niente foto scattate di nascosto in qualche anfratto, schiarendosi la voce per coprire il clic? Non che sia un sistema senz’altro importabile in Italia: nella sala manoscritti della Nazionale di Oslo eravamo in due, e si capisce che è anche una questione di numeri, di quantità delle richieste, di pregio dei documenti. E poi è facile essere perfetti se si è in cinque milioni, si galleggia sul petrolio e si fa pagare venti euro una pizza. Ma la prontezza della risposta – «Glielo possiamo digitalizzare» – fa riflettere perché, manoscritti a parte, in Norvegia si sta facendo, col digitale, qualcosa che nessun altro paese al mondo ha ancora fatto. Ne parlo con Jon Arild Olsen, che dirige la sezione dedicata alla ricerca e all’accesso al pubblico.

«In sostanza – mi dice – a partire dal 2004 abbiamo deciso di digitalizzare tutti i libri della nostra collezione. Anzi: abbiamo cominciato con i libri, ma poi abbiamo aggiunto la musica, le fotografie, e adesso i film. Lo strumento che abbiamo realizzato è analogo allo N-gram viewer del progetto Google Books. Certo, il corpus di Google Books è infinitamente più ampio, 8 milioni di volumi contro i nostri 250.000; ma è anche vero che il nostro corpus, a differenza di quello di Google Books, è compatto ed esaustivo: tutti i libri norvegesi che sono stati stampati; inoltre, i nostri metadata sono più corretti, perché sono tratti dalla bibliografia nazionale; e la qualità delle ricerche testuali che si possono fare sul nostro corpus è più alta».

L’equivalente della nostra SIAE in Norvegia si chiama Kopinor: tutela il diritto d’autore. La Biblioteca Nazionale di Oslo ha fatto un primo accordo con loro nel 2009, un accordo che prevedeva la digitalizzazione solo di una parte del catalogo: i libri a stampa pubblicati nell’ultimo decennio dell’Ottocento e nell’ultimo decennio del Novecento. Poi, nel 2012, l’accordo è stato esteso, e questo ha dato alla Nazionale la facoltà di digitalizzare e mettere online a disposizione degli utenti tutti i libri, la musica, i film norvegesi pubblicati prima del primo gennaio 2001. In cambio di questa autorizzazione, la Nazionale versa a Kopinor la cifra di 0.33 corone norvegesi a pagina (circa 0.04 euro), per un totale di circa 50 milioni di corone l’anno (circa 60 milioni di euro).

L’accordo con Kopinor prevede due limitazioni importanti. «La prima è che i libri si possono leggere online, non scaricare. Ed è anche per questo, probabilmente, che la possibilità di avere, per esempio, tutte le opere di Ibsen online non sembra aver fatto diminuire la vendita dei libri di Ibsen: i lettori comuni continuano a preferire la carta, le copie digitali le usano soprattutto gli studenti e i ricercatori perché i testi digitali sono più facili da interrogare. La seconda è che questi testi digitali sono leggibili soltanto da IP norvegesi, o da norvegesi all’estero, o da studiosi che facciano richiesta diretta alla Biblioteca Nazionale». Il vantaggio è evidente. Non sono i lettori che vanno in biblioteca ma è la biblioteca che va a trovare i lettori: e per capire quanto questo sia importante basta pensare alla geografia della Norvegia, a quell’infinità di paesini seminati sui fiordi o nelle valli.

E i libri non norvegesi? «Anche quelli vengono digitalizzati, così come i manoscritti: ma almeno per ora sono leggibili solo dagli utenti interni alla Biblioteca Nazionale: bisogna venire qui. Di fatto, come mi ha detto un collega inglese, è un sistema chiuso senza che ci sia stato bisogno di costruire muri: quante possono essere le persone interessate ai libri in norvegese al di fuori della Norvegia? Certo, con l’italiano sarebbe tutto molto più difficile, e non parliamo dell’inglese…».

Il personale. «Abbiamo due sedi, la principale a Oslo, l’altra nel centro esatto del paese, a Mo i Rana. In tutto abbiamo circa 400 impiegati; a lavorare alla digitalizzazione siamo forse in cinquanta, ma in realtà è un progetto che coinvolge più o meno tutti quanti». I tempi. «Dovremmo finire prima del 2018, e alla fine avremo un patrimonio digitale di più di 250 mila libri. Ora siamo intorno alla metà. E poi si tratterà di perfezionare gli accordi con Kopinor, e – speriamo – procedere con la digitalizzazione anno dopo anno: questione delicata, naturalmente, perché più i libri sono recenti più gli editori saranno restii a concedere i diritti: un conto è dare a tutti la possibilità di leggere online una raccolta di novelle norvegesi dell’Ottocento, un altro conto sono i gialli di Jo Nesbø… In ogni caso, la Norvegia sarà presto la prima nazione al mondo ad aver digitalizzato per intero la sua letteratura nazionale».

400 impiegati, 60 milioni di euro, 250 mila libri. Sono numeri che rendono poco pertinente qualsiasi paragone con l’Italia: non abbiamo tante risorse, e abbiamo un numero infinitamente più alto di manoscritti e di libri. Ma quello che si sta facendo a Oslo è interessante, e può dare qualche utile suggerimento anche a noi. La digitalizzazione di manoscritti e libri si fa ovviamente anche in Italia: ma in primo luogo la qualità delle riproduzioni, la leggibilità, non è sempre ottimale («an attractive format» è stato invece l’obiettivo esplicito dei norvegesi: obiettivo raggiunto); in secondo luogo, a sfruttare questi repertori sono quasi solo gli studiosi, perché il materiale digitalizzato è antico, settoriale, poco interessante per i lettori comuni (quelli che soprattutto si propone di raggiungere il progetto norvegese); in terzo luogo, i frutti di questo lavoro vanno cercati un po’ col lanternino sui siti delle varie biblioteche, e per orientarsi bisogna conoscere l’italiano: non molti conoscono Internet Culturale (anche questo solo in italiano: se si clicca sulle lingue straniere non succede niente…); infine, e soprattutto, si tratta quasi sempre di iniziative estemporanee, nate in seguito a qualche micro-finanziamento, mentre servirebbe un coordinamento, una visione d’insieme, quella che può venire soltanto dal ministero. Ma appunto questa visione mi pare che manchi, e in generale che al ministero – vedi anche il recente Decreto Cultura – si pensi poco alle biblioteche, immagino perché non si sa bene come metterle a reddito, o perché il bene che fanno non si vede.

(l’articolo è stato precedentemente pubblicato su “Il Sole 24 ore” del 7 settembre 2014)

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L'autore

Claudio Giunta
Claudio Giunta
Claudio Giunta insegna Letteratura italiana all’Università di Trento. I suoi ultimi libri sono un saggio sulla scrittura (Come non scrivere, Utet 2018), un libro su Tommaso Labranca (Le alternative non esistono, Il Mulino 2020) e un reportage sulla città di Togliatti (Togliatti. La fabbrica della Fiat, Humboldt Books 2020).