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Il Green Drop Award: una goccia d’acqua per salvare la Terra. Giulia Falistocco intervista Marco Gisotti

 

Non andartene docile in quella buona notte.
Infuriati, infuriati contro il morire della luce.
(Dylan Thomas)

 

 

 

Marco Gisotti è giornalista e tra i maggiori esperti di comunicazione ambientale e green economy. Conduce su Rai Radio 3 puntate dedicate ai temi ambientali, mentre per i canali televisivi Rai ha scritto la serie animata 2 amici per la Terra (Rai 3) e il documentario Cinema & Ambiente (Rai Storia). Cura il blog sempre riguardante questioni ecologiche sul sito «La Stampa» e dirige il master in Comunicazione Ambientale presso lo Iulm di Milano. Nel 2008 ha scritto, insieme a Tessa Gelisio, Guida ai Green Jobs, seguito da una seconda edizione del 2012. Nello stesso anno è stato direttore scientifico del centro studi Green factor, con cui ha dato vita al Salone internazionale dei lavori verdi. Sempre nel 2012, è promotore del premio Green Drop Award della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, di cui ne è il direttore. Il premio oggi è alla sua sesta edizione e ha l’obiettivo di premiare, tra i film in gara nella sezione ufficiale, la pellicola che «meglio abbia interpretato i valori dell’ecologia e dello sviluppo sostenibile, con particolare attenzione alla conservazione del Pianeta e dei suoi ecosistemi per le generazioni future, agli stili di vita e alla cooperazione fra i popoli». Al vincitore spetta il trofeo Green Drop, forgiato dal vetraio Simone Cenedese di Murano, simboleggiante una goccia d’acqua verde, con all’interno un campione di terra proveniente ogni anno da Paesi diversi. In attesa di questa sesta edizione, ricordiamo i film vincitori: La quinta stagione (2012, dei registi Peter Brosens e Jessica Woodworth); Ana Arabia (2013, di Amos Gitai); Le notti bianche del postino (2014, di Andrej Koncalovskij); Behemoth (2015, di Zhao Liang); Voyage of time (2016, di Terrence Malick) e Spira Mirabilis (2016, dei registi Massimo D’Anolfi e Martina Parenti) sono i film premiati nell’ultima edizione.

Come nasce il premio nel contesto del Festival di Venezia?

Il premio nasce dalla volontà di portare l’argomento ad una platea importante come quella di Venezia. L’obiettivo principale era quello di usare il medium cinematografico per parlare di temi che solitamente sono negletti, marginali, come quello ecologico. Il Green Drop Award, perciò, presenta il tema dell’ambiente non soltanto attraverso la rappresentazione di tecnologie, finalizzate a ridurre l’inquinamento e abbattere i consumi, ma che abbiano anche per protagonista del racconto l’ambiente stesso, attraverso tutte le declinazioni possibili. Quindi, il premio a Venezia serve per raggiungere il grande pubblico, visto che il cinema è uno dei medium più popolari che ci sia. Il primo anno abbiamo avuto, come mi piace ricordare, un battesimo dorato, essendo il presidente di giuria Ermanno Olmi, che forse è il regista più legato ai temi dell’ambiente e alla natura che ci sia in Italia. Inoltre, abbiamo avuto, nel corso degli anni, due madrine come Claudia Cardinale e Claudia Gerini: due generazioni di attrici di grande talento, ma anche di grande popolarità. Anche la giuria, quindi, rappresenta il tema del premio che è appunto rendere popolare ciò che lo è meno, attraverso il desiderio e la grande passione degli artisti del cinema.

La finalità del premio è quindi quella di concedere dignità (artistica) a un tema sentito e importante come l’ecologia. Ma qual è lo scopo principale: denuncia, sensibilizzazione o celebrazione dell’ambiente?

L’idea è quella di una sorta di chiamata all’azione delle persone, attraverso una serie di simboli e di personaggi che promuovono il tema dell’ecologia. Però allo stesso tempo, non vogliamo soltanto lanciare l’allarme o l’allerta, ma anche richiamare in modo positivo quelli che sono i temi della green economy e dell’economia circolare, coinvolgendo la solidarietà e la cooperazione tra i popoli. Infatti non dobbiamo mai dimenticare come recita il famoso rapporto Bruntland sull’ambientale degli anni Ottanta che non può esserci giustizia ambientale senza giustizia sociale. Perciò noi cerchiamo di diffondere e dare visibilità a questo, denuncia ma anche progettualità, e le giurie che si sono avvicendate hanno cercato nel film da premiare proprio questi significati.

Quali caratteristiche devono avere i film per poter rispettare i requisiti del premio?

Il premio viene assegnato a quel film che meglio rappresenti il rapporto uomo-ambiente e la cooperazione tra i popoli, come si legge ufficialmente nelle motivazioni del premio. Perciò, il film deve contenere un messaggio, in forma implicita o esplicita, che si richiami a questi valori. Poi ovviamente è la giuria che decide una determinata opera piuttosto che un’altra, potendo godere di un ampia capacità di giudizio, nonostante sia vincolate alle finalità esposte prima.

I film premiati quindi hanno questa doppia anima: giustizia sociale e giustizia ambientale. Ma possiamo definirla una dicotomia oppure uomini e natura sono parte della stessa realtà?

No, non è una dicotomia. Una dicotomia sarebbe un opposizione tra cose. Questa, semmai, è una falsa  dicotomia, visto che rispecchiano una doppia tensione che è appunto quella sociale e ambientale, ma parte dello stesso mondo. Laddove gli esseri umani possono cooperare, allora possono preservare la salute del pianeta e quindi la salute tra i popoli. L’uomo, non è solo carnefice, ma parte della natura e quindi della vita stessa (in fondo, anche le merci sono natura trasformata, come sosteneva Engels): la dicotomia perciò è solo apparente. Il film che premiammo il primo anno, La quinta stagione (La Cinquième saison di Peter Brosens e Jessica Woodworth), un vero capolavoro, narra del rischio che si corre quando si disgrega il patto con l’ambiente. In quel caso era la natura che si ribellava all’uomo: le stagioni non si succedevano più, ma si rimaneva in un eterno inverno. Alla fine del film questo capovolgimento della natura ricadeva anche sulla società umana che andava via via disgregandosi fino a sciogliersi. È come dire: se rompi il patto con la natura alla fine rompi anche il patto tra gli uomini. Il racconto che vogliamo far emergere con il premio è proprio questo: un racconto che sia propositivo e costruttivo, e che non rappresenti solo il conflitto, ma anche la pacificazione. C’è stato un altro film molto bello che noi abbiamo premiato due anni fa, Le notti bianche del postino di Andrej Koncalovskij, che raccontava proprio questo: l’utopia, ma alla fine non così improponibile, della pacificazione tra uomo e natura, attraverso la storia di un postino che appartiene a una società isolata, ma in contatto con una realtà più vera. Questo personaggio, quindi il film stesso, in conclusione, ci proponeva una sfida: non possiamo vivere di conflitti, ma dobbiamo risolverli.

(La quinta stagione, trailer) 

(Le notti bianche del postino, trailer)

Ogni film costruisce un proprio universo, veicolando immagini e temi. Nonostante ciò credi che sia possibile tirare giù un primo bilancio dei film premiati dopo i primi cinque anni?

Un bilancio è difficile, di sicuro possiamo dire che il festival di Venezia è stato il primo festival internazionale di cinema che ha accettato un premio di questo tipo, quindi abbiamo aperto la strada e la possibilità per una riflessione. La sfida era quella di dimostrare che il tema è così penetrato nella nostra cultura che, appunto, anche il cinema come medium popolare non può ignorarlo. Ora la seconda fase consiste nel diffonderlo su scala più ampia: fare in modo che il cinema, così come fa e come ha fatto con i grandi temi sociali, possa trasmettere un messaggio etico sull’ambiente non più implicitamente, ma anche esplicitamente. Un po’ come alle origini del feuilleton, Eugene Sue, quando scriveva I misteri di Parigi, vista la sua estrazione socialista, immaginava che il romanzo dovesse avere un’esplicita funzione sociale nell’educare le masse. Noi pensiamo che il cinema possa essere cinema d’evasione, cinema d’intrattenimento, ma che possa insegnare anche qualcosa, e riteniamo che l’insegnamento del ventunesimo secolo sia quello dell’ecologia, all’interno del quale è incluso anche il progetto di collaborazione sociale.

Eppure alcuni film ci comunicano che la Terra si sta trasformando in un Inferno. Può l’uomo far arrivare veramente “la quinta stagione”, trasformare la terra in una landa desolata?

Alcuni dei film premiati ci dicono che se non stiamo attenti la situazione potrà peggiorare. Noi abbiamo le capacità di poter rendere la terra l’Inferno, in quanto abbiamo creato armi finalizzate a questo. La scienza ci dice che un meteorite ha distrutto l’ecosistema di un tempo, uccidendo tutti i dinosauri: oggi potremmo essere noi quel meteorite. Per il momento ne abbiamo lanciato uno, ma piccolo. Tuttavia, per quanto siamo nocivi per l’ambiente, abbiamo l’intelligenza, la forza e la conoscenza per evitare il disastro. Tutti noi ancora dovremo transitare per il Purgatorio, portandoci dietro anche le altre specie viventi che loro malgrado ne sono coinvolte, ma possiamo, di nuovo, alla fine, riveder le stelle.

(Behemoth, trailer)

Qualche parola sul film di Terrence Malick, Voyage of Time, ultimo premiato insieme a Spira Mirabilis?

Voyage of Time è semplicemente bellissimo. Ci troviamo anche in questo caso di fronte a uno di quei registi che ha messo il rapporto uomo-natura in primo piano. Nel caso di Malick questo è sempre stato fortissimo, fin dagli esordi. Sia dal punto di vista contenutistico che nella messa in scena, gli uomini, infatti, sono parte della natura, non un’alterità. E questo ultimo film è la storia dell’universo dalle origini alla fine del tempo, è un film, in sostanza, proprio sulla natura, in cui l’uomo non è altro che una delle tante sfaccettature di questa. Voyage of Time racchiude contemporaneamente filosofia e una forte carica spirituale, ma allo stesso tempo è scientifico, e il richiamo a certe teorie è molto fedele. Tuttavia non è un documentario, per intenderci, è qualcosa di più: si pone a metà tra la poesia e la divulgazione scientifica, risultando dal punto di vista visivo spettacolare (non a caso è uno dei registi che viene accumunato più spesso con Kubrick, soprattutto per l’uso della cinepresa), riuscendo a mantenere l’equilibrio tra tutti i suoi elementi.

(Voyage of time, trailer)

(Spira Mirabilis, trailer)

Voyage of Time è l’ultimo capitolo, ma non quello finale, del percorso registico di Malick. Qui abbiamo molte tematiche presenti nei film precedenti; soprattutto, mi viene in mente il paragone forte con The Tree of Life premiato a Cannes. In che rapporto sono i due film per te?

Rispetto a The Tree of Life credo che riprenda soprattutto le atmosfere, poi sono presenti molte differenze. Nel primo film il regista rimane tra gli uomini, qui invece si affranca, puntando verso una dimensione più grande. In altre parole, The Tree of Life è una sorta di teaser, mentre Voyage of Time, un film che inseguiva da quasi venti anni, ne è il superamento in tutti i sensi sia dal punto di vista visivo che narrativo: la sfida sul piano artistico di raccontare milioni di anni. Bisogna considerare poi che la versione premiata a Venezia era quella cinematografica, doppiata da Cate Blanchett e non quella Imax con la voce di Brad Pitt, che conservava una tasso più narrativo e se vogliamo più letterario.

(The tree of life, trailer)

Quindi il cinema d’autore tanto quello mainstream, può e deve veicolare il  messaggio ecologico. Eppure Nolan in Interstellar propone un’altra via: se il pianeta per un motivo o per un altro smette di essere fertile è verso le stelle che dobbiamo andare, verso l’universo. In conclusione il messaggio che ne esce è che la terra non sarà per sempre la nostra casa. 

Assolutamente tutti i film devono cooperare nel diffondere queste tematiche. Anche i prodotti televisivi, come le serie tv, ormai si occupano di ecologia e ambiente. Riguardo a Nolan, il suo è un film fantascientifico, e come tale propone un immagine forzata, e per certi versi già vista. Le polveri, le ceneri che ricoprono il mondo erano già presenti all’inizio di Furore di Steinbeck. Inoltre, è vero che nel film l’uomo punta verso le stelle, ma è vero anche che il percorso del protagonista è di ascendenza omerica: come Ulisse dopo aver viaggiato, in questo caso nello spazio, torna a casa. Quindi anche Interstellar, seppur in maniera obliqua, ci comunica un messaggio ambientalista: se non siamo in grado di salvare noi stessi difficilmente salviamo gli altri. Ed è questa la via da prendere.

(Interstellar, trailer)

Ritengo che per l’affermazione della salvaguardia dell’ambiente Una scomoda verità, con protagonista Al Gore e diretto da Davis Guggenheim, ha giocato un ruolo molto importante. Una sveglia morale proprio come vuole essere il Green Drop Award, per quanto in parte negativo. Cosa ne pensi?

Una scomoda verità è film molto bello, ma soprattutto è un film politico, uscito proprio quando Bush si opponeva al protocollo di Kyoto sul clima. Non a caso ad Al Gore gli fu assegnato il Nobel poco dopo, anche questo con lo scopo di mettere in evidenza i problemi sollevati da lui e dal film. Ritengo però che Una scomoda verità sollevi un messaggio di speranza, che ci mette di fronte al fatto che noi abbiamo la conoscenza per poter evitare il disastro. Tanto è vero, come ricorda Gore nel film, che grazie al trattato di Montreal e ad altre proposte presenti nel documentario il buco nell’ozono di sta richiudendo e sono stati fatti altri passi in avanti: un bell’esempio che mostra il forte impatto che possono avere i film.

(Una scomoda verità, trailer)

Potresti farmi qualche anticipazione per l’edizione di quest’anno?

Ancora i film non sono stati scelti, mentre la giuria la stiamo valutando in questi giorni. Posso soltanto anticiparti che il tema riguarderà la scomparsa dei dinosauri, di più non posso.

Ultima domanda. Parliamo di attualità, visto che la tematica del premio lo esige: Trump, basta il nome o devo farti la domanda?

In questo caso il nome basta. Trump è un dinosauro, che sta favorendo la sua stessa estinzione. Ma lui non rappresenta tutto il suo Paese, tanto che la California, ad esempio, sta dismettendo i combustibili fossili. In sostanza è porta voce di un pensiero anacronistico, che forse potrà fare danni (soprattutto dal punto di vista bellico), ma non sarà catastrofico come si pensa. A differenza di quello che dice, non può rigettare il trattato di Parigi visto che entrerà in vigore alla fine del suo mandato. Ormai sempre più nazioni, tra cui anche la Cina, sono impegnare nel trovare soluzioni alternative nel rispetto dell’ambiente. Credo che si tratterà di un’amministrazione passeggera, anzi dalla quale potremmo ottenere qualcosa. Come disse un altro presidente americano, Ronald Raegan, l’unico modo per ottenere la pace, ovvero unire nella cooperazione i popoli di tutta la Terra, verrà dalla minaccia extraterrestre. In questo caso l’extraterrestre è Trump.

(Ana Arabia, trailer)

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L'autore

Giulia Falistocco
Giulia Falistocco
Giulia Falistocco è dottoranda presso l’Università degli studi di Perugia. Si occupa di romanzo storico italiano, con particolare attenzione all’opera di Vincenzo Consolo, Elsa Morante e Tomasi di Lampedusa, e di serialità televisiva. Ha pubblicato articoli usciti in rivista e in volume; ha inoltre partecipato a convegni internazionali. Dal 2016 è redattrice de La Letteratura e noi.