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Carlo Pulsoni intervista Abelardo Linares

Abelardo Linares (Siviglia 1952) è poeta (nel 1991 ha vinto il Premio della Critica con la raccolta Espejos), raffinato editore (è il fondatore della Editorial Renacimiento), libraio antiquario e soprattutto grande bibliofilo: possiede forse la collezione più importante al mondo di libri e riviste pubblicati prima e durante la Guerra civile spagnola.

Nella voce che le dedica Wikipedia viene definito poeta, bibliofilo ed editore. A quale di queste etichette si sente più vicino?

A dire la verità, non mi metterei un’etichetta, così come non mi farei un piercing al naso. Però se dovessi attribuirmene una sarebbe quella del bibliomane, il maniaco dei libri o folle per i libri. Libri da leggere, senza dubbio. La bibliofilia è altra cosa, ed ha più a che vedere con le edizioni dei secoli passati, le belle rilegature e le tipografie curate, oltre che con le edizioni da tiratura limitata e di formato gigantesco che si comprano più per mostrarle agli amici che per leggerle. Sentirsi bibliomane o bibliofilo dipende da se stessi. Essere poeta o editore dipende, invece, dagli altri, dall’opinione degli altri. Non è sufficiente scrivere poesie o pubblicare libri per essere poeta o editore (nella sua accezione migliore), così come non basta saper giocare a scacchi per considerarsi uno scacchista. Bisogna farlo bene. Per questo stesso motivo non mi riconosco del tutto né come poeta né come editore, anche se non perdo la speranza.

La sua biblioteca è una delle più importanti al mondo per libri e riviste pubblicate durante la Guerra civile. Come nasce questa passione per quel periodo storico, oggetto ancora oggi di profonda discussione?

Il mio lavoro principale è quello di “libraio antiquario”, libraio che si dedica al libro antico. In questo modo ho potuto creare negli anni una eccellente biblioteca, con circa quaranta o cinquanta mila volumi e riviste. Mi interessa in particolar modo (ma non solo) la letteratura spagnola dell’ultimo secolo ed è qui che si trova tutto quello che ha a che fare con la guerra civile spagnola e l’esilio che ne seguì.

Da quando è stata istituita nel 2007 la “Ley de la memoria histórica”, si ha l’impressione che siano aumentati a dismisura i romanzi dedicati alla Guerra civile. In un’intervista rilasciata a un quotidiano italiano, Almudena Grandes parla di “dovere etico degli scrittori” nel ricordare quel periodo. In questo modo non si corre il rischio che una narrazione letteraria possa essere scambiata da un pubblico non specialista per verità storica?

La guerra civile spagnola è uno dei due o tre temi sui quali più è stato scritto. La sua bibliografia abbraccia decine di migliaia di volumi e continua a crescere. Solo le due guerre mondiali hanno prodotto una quantità simile di pubblicazioni. Ma non fa niente, la capacità umana di oblio è quasi infinita. La guerra civile fu qualcosa di più che un mero conflitto tra spagnoli, gli ideali contrapposti per i quali si combatteva (comunismo, fascismo, democrazia) la trasformarono in un simbolo perfetto di quegli anni tanto appassionati e appassionanti quanto tragici. Ad ogni modo, scrivere una finzione narrativa, che è sempre una finzione, non può mai essere un “dovere etico”. Uno può sentirsi mosso a narrare sui temi più nobili, ma a mero titolo individuale. In questo senso, potrebbero trasformarsi in un personalissimo dovere etico anche la vela, il nudismo o la filatelia.

La sua collezione all’opposto permetterebbe di studiare in maniera oggettiva il ruolo della propaganda culturale svolto sia dalla parte franchista che da quella repubblicana. Qualcuno o lei stesso ha iniziato a fare un lavoro simile?

Come editore, la mia maggiore preoccupazione è stata rieditare libri di valore poco accessibili relativi a ognuno dei due fronti e alla pluralità di opzioni ideologiche implicate (repubblicanesimo, trotskismo, comunismo, anarchismo, etc…) e, soprattutto, diari privati e memorie. I documenti e le testimonianze dell’epoca conservano sempre un certo valore, mentre le approssimazioni contemporanee, salvo eccezioni, tendono a perdere di valore per la loro stessa abbondanza e mancanza di novità.

In Italia alcuni bibliofili, tra i quali cito a livello esemplificativo Giampiero Mughini, hanno scritto bellissimi libri di bibliofilia, partendo proprio da quanto possiedono. Crede di farlo anche lei?

Preferisco incoraggiare gli altri a farlo. La mia biblioteca è aperta agli studiosi che si interessano agli stessi temi a cui mi interesso io. Aiutare uno studioso a mettersi sulle tracce di un libro raro e rintracciarlo, condividere l’emozione del ritrovamento di un inedito o seguire le piste di un autore raro, attraverso i pamphlet e le riviste, è un piacere estremo. Ma è ancor maggiore se la cacciagione può essere cucinata sui nostri fornelli e pubblicata sotto il nostro marchio editoriale ( www.editorialrenacimiento.com).

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