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Carlo Pulsoni intervista Massimiliano Castellani

Tra le firme più interessanti del giornalismo sportivo, Massimiliano Castellani attualmente lavora nel quotidiano Avvenire. Si occupa anche di cultura e di problematiche relative al mondo del calcio (abuso di farmaci, malattie come la SLA), argomento al quale ha dedicato alcuni libri, nonché varie inchieste sul giornale.

Cosa significa occuparsi di cultura su Avvenire, il giornale della Conferenza episcopale italiana?
Significa prima di tutto avere un occhio allargato a tutto l’orizzonte umano, con particolare attenzione agli aspetti etici che comprendono anche la materia culturale.

La proprietà della testata dà delle direttive in merito alla cultura o la linea editoriale in questa materia è totalmente demandata ai giornalisti che se ne occupano?

La linea editoriale è quella dettata dal direttore Marco Tarquinio che chiaramente non può non tenere conto di quelle che sono le linee guida della Cei. La redazione culturale, Agorà, a cui fanno riferimento anche gli Spettacoli e lo Sport, nella scelta degli argomenti e delle tematiche da affrontare non può che orientarsi su quella “linearità”, peraltro condivisa dai singoli giornalisti di Avvenire.

Spesso i tuoi pezzi partono dalla cronaca di avvenimenti sportivi, soprattutto calcistici, trasformandosi poi in un’analisi non solo della società ma anche di fenomeni culturali. Si tratta di un espediente retorico per catturare l’attenzione del lettore, appassionato di sport, o ritieni veramente che il calcio possa essere uno strumento quasi una metafora per capire la complessità del presente?

Ci sono due aspetti fondamentali per cui la mia attenzione negli anni si è focalizzata intorno alla “fenomenologia” sportiva. Il primo squisitamente culturale e di ricerca, fondato sulla convinzione che la nuova cultura sportiva – tanto auspicata -, non possa prescindere dalla conoscenza di una letteratura specifica che avevano molto chiara in mente scrittori-giornalisti del calibro di Gianni Brera, Antonio Ghirelli e narratori spesso prestati allo sport come Luciano Bianciardi e Giovanni Arpino, tanto per citare alcuni degli esempi più riusciti che hanno operato in questa direzione. Il secondo aspetto è puramente sociale, ovvero la possibilità, oltre che la necessità di osservare il così detto “Paese reale” partendo da storie di atleti o raccontando discipline sportive, mediante le relazioni e i riflessi che queste hanno nel contesto generale in cui viviamo e operiamo tutti noi.

A questo proposito si può annoverare tra i tuoi modelli anche Beppe Viola, al quale qualche mese fa hai dedicato uno straordinario ricordo?

Il mio mentore assoluto, la mia stella cometa – dato il momento dell’anno -, è Osvaldo Soriano: autore geniale che coniuga l’oniricità di Borges, con l’eleganza di uno Schiaffino e la fantasia di Diego Armando Maradona. Beppe Viola è una delle mie figure di riferimento, in quanto è stato capace di indagare e raccontare lo sport seguendo quell’approccio di giornalismo sportivo di cui sopra, incentrato sulla duplice traiettoria socio-culturale, con dei risultati assolutamente innovativi sul piano meramente espressivo. Credo che nella nostra tradizione, la narrativa televisiva di Beppe Viola sia stata un’estensione felice di quella letteraria (su carta stampata produzione narrativa e saggistica) di Gianni Brera. Entrambi hanno coniato un nuovo “linguaggio sportivo”. Un patrimonio che la mia generazione ha ereditato, ha elaborato, ma riuscendo però in rarissimi casi a mantenere o ad avvicinarsi a quella cifra stilistica di Viola e Brera.

Quali sono gli altri tuoi riferimenti letterari ma anche filosofici, considerata la tua formazione?

Fare giornalismo personalmente è un prolungamento dei miei studi di Filosofia. Il mio lavoro è prima di tutto una passione vitale, una sete quotidiana di “sophia” e di curiosità che posso appagare solo seguendo i dettami della vecchia scuola montanelliana-biagiana che riconosceva il vero giornalismo dal grado di consumo e deterioramento delle suole delle scarpe dell’inviato sul campo. I miei riferimenti sono tanti, si tratta di tutti quegli scrittori di giornale o se vogliamo narratori della carta stampata (ma anche televisiva e radiofonica) del passato. Ma anche quei pochi odierni che nell’era di Internet hanno ancora il “coraggio” di consumare quelle scarpe per andare a conoscere da vicino fatti, storie di uomini e personaggi che in qualsiasi maniera incidono, o hanno inciso, nella storia della cultura universale.

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