conversando con...

Raluca Lazarovici intervista Adina Rosetti

Adina Rosetti nasce nel 1979 nella città di Braila, cittadella sul Danubio, all’est della Romania. La sua formazione è in economia e giornalismo. Dal 2004 collabora presso riviste culturali come “Dilema veche” e “Dilemateca”. La curiosità e il talento nella scrittura la fa presto diventare una delle più note giornaliste su tematiche femministe e femminili della rivista “Elle”. Riceve il premio nazionale “Il giovane giornalista dell’anno 2007” per la sezione culturale. Nel 2010 pubblica per Curtea veche il romanzo Deadline, esaltato in maniera unanime dalla critica.

Adina Rosetti, 32 anni, in una tavola rotonda a Perugia il novembre scorso, affermavi di essere, nell’ordine, “madre, scrittrice, giornalista ed economista”, un mélange per niente facile da mantenere in equilibrio. Si può essere tutto assieme con la stessa intensità oppure di volta in volta una parte domina le altre?

Tante volte vivo come in un festival: più palcoscenici, più generi di rappresentazione, anche più pubblici. Corro continuamente da un’esibizione all’altra, sempre contro il tempo, cambiando di corsa vestiario, parrucche, make-up, sempre con la sensazione che, se rinunciassi ad uno di questi spettacoli, non sarei più completa. Chiaramente tutto ciò è abbastanza difficile, perché essere madre richiede circa il 99% del proprio tempo, ma non potrei fare diversamente. Per finire il mio libro mi sono presa una pausa di 3 mesi da tutte le mie varie occupazioni e ruoli e mi sono rifugiata nella campagna romena, in un silenzio perfetto lontana da tutto e da tutti. Nonostante avessi ben presente la deadline definitiva alla fine dei 3 mesi di libertà totale, momento in cui avevo fissato la consegna del manoscritto, sono riuscita a distaccarmi in qualche modo e rimanere sola con me stessa, con i protagonisti del libro e con la gioia sincera e totale della scrittura.

Come diventa la tua giornata tipo quando hai davanti una deadline di consegna di un testo?

Di solito, quando lavoro come giornalista, le cose sono semplici: mi fermo alla scrivania fino al termine della stesura dell’articolo, non solo scritto, ma anche impaginato, cosa che può significare anche andare oltre la mezzanotte. Se invece lavoro da casa, le cose si complicano, e faccio slalom nelle ore del riposo dei bimbi, a volte finisco anche nei bar tranquilli con il portatile sulle ginocchia. Solo che così può capitare anche di dover involontariamente sentire conversazioni riguardo il mercato immobiliare o resoconti di delusioni d’amore.

Il tuo romanzo d’esordio Deadline (2010) ha avuto ben due ristampe a distanza di pochi mesi e non è da escludersi che non ci sia un’altra a breve. Come spieghi questa ricezione particolarmente generosa da parte del pubblico dati i tempi di forte crisi, quanto la cultura è la prima a soffrire?

La cultura e la letteratura soffrono in primis per la riduzione del budget pubblico e non perché le persone non abbiano più un autentico bisogno di una narrazione in cui possono identificarsi con i protagonisti, lanciarsi senza remore in mondi fittizi. Credo che questo bisogno, profondamente umano, non scomparirà mai, a prescindere dai momenti storici, sistemi politici e crisi economiche.

Il tuo romanzo sembra offrirti un posto stabile nel panorama della giovane letteratura romena impegnata. Dicevi però che il tuo non è un engagement programmatico, bensì spontaneo. Questo engagement involontario potrebbe essere anche figlio di questi tempi, in cui non si può scrivere senza vivere e, al tempo stesso, non si può vivere senza scrivere, senza sentire il bisogno impellente di riportare sulla carta tranci di vita reale?

Come dicevo anche a Perugia, non mi sono mai proposta di diventare una scrittrice impegnata. D’altronde non credo nella letteratura fatta “secondo un programma” o per trasmettere messaggi. Credo che il lettore mantenga la voglia di decifrare il proprio messaggio da una storia forte e ben scritta. Il fatto che Deadline sia portatore di una tale caratteristica, diciamo non necessariamente éngagé, ma direi piuttosto ben radicata nelle realtà sociali romene odierne, è un fattore naturale consono alle mie preoccupazioni e ossessioni del momento. La corsa sfrenata al successo, il lavoro “vampirizzante” nelle multinazionali, il mondo virtuale e le “rivoluzioni sui blog”, la condizione di marginalità dell’artista, il sogno d’evasione dal proprio destino sono temi che si ritrovano nel mio libro e che prima ho osservato attorno me, mi hanno fatto pensare e poi ho voluto approfondire scrivendone.

Qual è il sogno nel cassetto di una giovane scrittrice romena e, non dimentichiamo, europea?

Temo che in questo momento nel mio cassetto non si trovi alcun sogno che abbia a che fare con la mia condizione “europea” (sorriso). Desidero semplicemente avere più tempo, molto tempo libero per scrivere. Il resto, credo, verrà da sé.

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