conversando con...

Carlo Pulsoni intervista Alina Kalczynska

Ad Alina Kalczynska, artista polacca, moglie e collaboratrice di Vanni Scheiwiller dal 1980, chiediamo di raccontarci come si svolgeva concretamente l’attività editoriale del marito, prima di tutto in rapporto ai suoi autori.

Vanni non aspettava l’arrivo dei manoscritti – anche se gliene arrivavano comunque tanti, per anni dopo la sua scomparsa hanno continuato ad arrivare qui a casa – ma si muoveva, attraversava e percorreva l’Italia, da Trieste e Grado (dove c’era Biagio Marin) a Spotorno (dove viveva Camillo Sbarbaro), da Milano a Roma a Matera a Messina a Palermo; quando il padre Giovanni gli chiese di prendersi in carico la casa editrice All’Insegna del Pesce d’Oro – nel 1951, Vanni aveva 17 anni – cominciò il suo lavoro proprio mettendosi alla ricerca dei poeti dimenticati o trascurati; se uno dei suoi primi grandi impegni fu quello di sollecitare l’intervento di intellettuali artisti poeti e scrittori per una petizione internazionale per la liberazione di Ezra Pound dal manicomio criminale di St. Elizabeths di Washington, non minore impegno mise nel togliere dall’ombra Camillo Sbarbaro o nel pubblicare regolarmente e costantemente Biagio Marin e la sua poesia in “lingua gradese”. E ricordando inoltre, visto che si sono appena concluse le celebrazioni marinettiane, che Vanni fu un autentico ri-scopritore del futurismo, di prima e seconda generazione, in largo anticipo sui tempi. Ne fanno fede le due antologie che dedicò appunto alla poesia futurista. In linea generale, comunque, il rapporto con gli autori non si limitava alla ripresa o alla prima pubblicazione delle loro opere, ma diventava ogni volta un rapporto di amicizia destinato quasi sempre a durare nel tempo.

Però i suoi autori non restano sempre fedeli al Pesce d’Oro, molte volte emigrano verso editori più grandi. Come mai?

Vanni non stipulava mai veri e propri contratti editoriali: prendeva un foglio di protocollo a quadretti e stendeva un “promemoria” per precisare le caratteristiche del volume; in questo foglio infilava poi lettere, documenti, altri appunti (e questo fa la ricchezza straordinaria del suo archivio editoriale); quando infine il libro era stampato, ne dava un centinaio di copie all’autore, ma lasciando volutamente liberi i diritti, sapendo di non poter competere con editori di maggiori dimensioni, ma anche per scarso interesse personale a trasformare il suo lavoro in un mestiere sicuramente redditizio; questo spiega perché Pound scrisse che un’editoria come quella degli Scheiwiller, padre e figlio, non poteva che portare che a una piccola ma sicura perdita. Questo è vero da un lato, ma dall’altro Vanni si creò in questo modo negli anni una “rete” di autori e un catalogo, che difficilmente potevano vantare editori ben più ricchi. Autori celebri ed autori esordienti erano alla pari; era logico che Eugenio Montale non pubblicasse solo con il Pesce d’Oro, però Vanni rimase, come lui stesso diceva, il suo “editore di scorta” e Montale gli concesse a più riprese di realizzare plaquette, libri gioiello ecc. Un esempio seguito da molti altri, da Pound a Guillén, da Giudici a Sereni a Erba e Raboni e così via. In altri casi, penso ad Alda Merini, era Vanni stesso ad accompagnare da altri i suoi autori; fu lui a portare personalmente Alda da Arnoldo Mondadori. In fondo a lui interessavano più i rapporti personali, la soddisfazione di molte e varie curiosità intellettuali, l’apertura e la disponibilità a conoscere e far conoscere altre culture, non solo quella italiana. Penso per esempio all’entusiasmo con cui si gettò alla scoperta dei grandi poeti polacchi del secondo Novecento, quasi totalmente inediti in Italia quando li conobbe per mio tramite: Czeslaw Milosz, Wislawa Szymborska, Zbigniew Herbert ecc. Se fui io per prima ad avvicinarlo alla loro opera, lui poi continuò da solo, fu interessato, per fare un altro esempio, come e quanto me alla grafica polacca, e specialmente a quella di artisti di Cracovia…

Si occupava personalmente anche della cura dei testi?

Vanni Scheiwiller è stato un artigiano dell’editoria nel vero senso della parola: curava ogni fase del lavoro editoriale, dalla preparazione del manoscritto alla redazione delle Note editoriali alla stampa – affidata sempre ad officine grafiche di alto livello, a Mardersteig, agli Allegretti, ai Lucini – alla promozione e alla diffusione. Per molti anni impersonò totalmente la casa editrice, più tardi ebbe fedeli collaboratrici (penso a Chiara Negri per la redazione e Marina Bignotti per la segreteria), ma non rinunciò mai a controllare il lavoro fino al visto si stampi. D’altra parte, per quanto la sua vivacità e operosità “mercuriali”, come furono definite, fossero eccezionali, è impensabile che potesse reggere il carico da solo, avendo pubblicato nella sua carriera più di 3000 libri. E poi non dimentichiamo che dal 1977 ebbe un secondo marchio, la Libri Scheiwiller, con cui inaugurò una nuova stagione del libro su commissione, creando prestigiose collane per conto di istituti bancari (un esempio per tutte l’Antica Madre per il Credito Italiano, poi distribuita anche da Garzanti).

In questa considerevole produzione da Lei ricordata, si distingue però anche la creazione di libri d’artista, un genere editoriale non molto frequentato ed amato in Italia, rispetto ad altri Paesi europei. Come si colloca questo filone nella sua attività editoriale?

Se Vanni è stato un uomo di cultura a 360°, va anche detto che sia per tradizione familiare, sia per vocazione personale era fortemente interessato all’evoluzione dei linguaggi artistici, in Italia e nel mondo. Suo padre Giovanni aveva sin dagli anni ’20 stampato i suoi famosi libretti dedicati all'”Arte moderna”, suo nonno era lo scultore Adolfo Wildt, suo fratello Silvano fu pittore e incisore e infine mi aggregai anch’io alla famiglia… Per l’avvio della produzione di libri d’artista fu però assai importante da un lato l’amicizia con lo storico e conoscitore d’arte Giuseppe Appella (che lo introdusse nel mondo romano dell’arte) e dall’altro il suo lavoro, condotto per molti anni, di “cronista d’arte”, come si definiva, e per diverse testate: “L’Europeo”, “Panorama”, il supplemento domenicale de “Il Sole 24 ore”. In questo modo frequentava gallerie, conosceva artisti (oltre quelli già noti in casa), scriveva introduzioni ai cataloghi; non meraviglia che alla fine abbia realizzato più di 400 libri d’artista (ora la collezione è stata acquisita dal Mart di Rovereto e ne è uscito un imponente catalogo).