L’Italiano fuori d’Italia

Carlo Pulsoni intervista Monica Fekete

FEKETE MONICA (Università Babes-Bolyai, Facoltà di Lettere, Cluj-Napoca, Romania)

Professore associato di ruolo presso il Dipartimento di Lingue e Letterature Romanze; insegna letteratura italiana (Medioevo, Rinascimento). Dal 2012: Vice-preside responsabile per le relazioni internazionali e per la politica linguistica; dal 2006: Responsabile dell’Ateneo per i rapporti accademici con l’Italia (Centro delle Cooperazioni Internazionali). 2005: Dottore di ricerca in Filologia; 1997: Master di specializzazione in Filologia Italiana; 1996: Laurea quinquennale in Lettere con doppia specializzazione professionale: Lingua e letteratura italiana, Lingua e letteratura francese.

Ci siamo conosciuti vent’anni fa a Cluj, quando tu eri una studentessa di Marian Papahagi. Quali sono i tuoi ricordi di questo grande intellettuale e cosa ha significato la sua presenza nella cattedra d’italiano?

Sì, sono passati più di venti anni… Mi ritengo estremamente fortunata per avere avuto l’opportunità di essere stata allieva e poi collega, seppur per un brevissimo periodo, di Marian Papahagi. E per chi non l’ha conosciuto, mi sembra importante delinearne un sintetico ritratto: è stato docente di Letteratura Italiana e di Filologia Romanza (1973-1999) presso la Facoltà di Lettere dell’Università Babes-Bolyai, dove ha fondato, nel 1994, la Cattedra di Lingue e Letterature Romanze (italiano, spagnolo e portoghese); ha anche ricoperto prestigiosi incarichi: Prorettore del nostro ateneo (1990-1992); Segretario di Stato presso il Ministero dell’Educazione (agosto 1990-gennaio 1991); Direttore dell’Accademia di Romania in Roma (dicembre 1997-gennaio 1999). In tale veste è riuscito, in un sia pur breve arco temporale, a ridestare a nuova vita l’attività dell’istituzione romana, ma anche a ripristinare le utilissime borse di ricerca postlaurea “Vasile Pârvan” e “Nicolae Iorga”, di cui beneficiano tuttora giovani studiosi romeni, di vari campi di studio. Papahagi ha contribuito alla rifondazione e allo sviluppo degli studi italianistici e filologici a Cluj e più in generale in Romania – testimone diretto, del resto, della tradizione italiana, diligentemente appresa alla rinomata scuola romana, vale a dire all’Università La Sapienza, durante gli anni della sua precoce formazione scientifica, anni che hanno lasciato una forte impronta sulla sua preparazione, dal momento che il magistero di Aurelio Roncaglia, nell’ambito della Filologia romanza, ha insegnato al giovane studioso l’importanza metodologica dell’approccio ravvicinato al testo letterario medievale e non solo. Una lezione appresa con grande apertura disciplinare, fatta propria con ammirevole acribia e in seguito applicata in numerosi studi critici che hanno spaziato dal Medioevo al Novecento, dalla grande lirica dolcestilnovistica fino ad opere appartenenti a letterature poste agli estremi geografici della Romània, penso a quella portoghese e ovviamente a quella romena.
Ciò che ricordo però con grandissimo piacere è il modo in cui la figura del Professore, di una forza travolgente e di una generosità straordinaria, venisse sempre affiancata anche da quella di nume tutelare, quasi figura parentale, sarei portata a dire, pronta com’era ad ascoltare gli studenti e a sacrificare la sua breve pausa, fra una lezione e l’altra, sempre disponibile al dialogo nel bel mezzo del corridoio o sulle scale.
Mi considero per tutto ciò, per averlo avuto come Maestro, una persona veramente privilegiata.

Tu fai parte della minoranza magiara di Transilvania e pertanto la tua lingua materna è l’ungherese. Come nasce la tua passione per una lingua romanza come l’italiano?

Sì, faccio parte di una delle minoranze etniche della Transilvania, però ho fatto i miei studi in romeno per scelta dei miei genitori, anche se esisteva la possibilità (durante lo stesso regime comunista) di compiere i miei studi in ungherese. La mia passione per l’italiano è nata per puro caso, solo dopo essermi iscritta all’università, visto che la mia passione per il francese mi aveva spinto a fare l’esame d’ammissione alla Facoltà di Lettere. Per tale scelta mi serviva un’altra lingua straniera, che non fosse necessariamente l’inglese… Il mio professore di francese mi propose allora (essendo più preoccupato per il mio futuro di quanto non lo fossi io…) l’italiano, che diventava proprio da quell’anno, vale a dire dal 1991, lingua di possibile specializzazione principale di studio. Ciò avveniva quattro mesi prima dell’esame d’ammissione. Così imparai in quattro mesi un bel po’ d’italiano, per essere in grado di fare un esame orale e un esame scritto di lingua e letteratura italiana. La passione è scoppiata dopo, all’improvviso, nel primo anno, grazie ai docenti che formavano a quel tempo la cattedra d’italiano (Marian Papahagi, Helga Tepperberg e Ana Covaciu), persone professionalmente e umanamente straordinarie.

Qual è la situazione dell’italiano nel tuo Ateneo e in genere in Romania?

La situazione suppongo sia quella tendenzialmente valida per le facoltà di lettere o di lingue e letterature straniere, vale a dire per gli studi umanistici in genere e ovunque. Ci confrontiamo da un paio d’anni con una contrazione delle iscrizioni, non ancora drammatica, per fortuna, almeno nel nostro caso, dovuta in parte al calo demografico e, in altra parte, al fascino declinante che purtroppo connota le discipline umanistiche. Sembrerebbe poco trendy, voglio dire, studiare letteratura, stare in biblioteca, leggere libri… Ciò nonostante, devo riconoscere che finora siamo riusciti a mantenere il numero degli iscritti, con lievi oscillazioni, all’altezza degli anni scorsi. Il cambiamento più cospicuo è intervenuto al livello delle conoscenze della lingua italiana: se fino a dieci anni fa l’esame d’ammissione imponeva obbligatoriamente una buona conoscenza dell’italiano, successivamente l’abolizione della prova d’accesso e la semplice iscrizione in base alla media dell’esame di maturità o dei voti di alcune discipline ha ovviamente portato a un abbassamento del livello di competenze, e ci ha costretto a lavorare con gruppi disomogenei, nonché a iniziare l’insegnamento della lingua proprio dalla base grammaticale. Attualmente abbiamo ripristinato una sorta di esame, ovvero un test di lingua che tende a fungere da (esile) filtro di selezione.
Gli studenti d’italianistica che optano per l’università di Cluj hanno la possibilità di compiervi l’intero percorso di studio, dalla triennale alla laurea magistrale (chiamata Master nel nostro ordinamento). Benché non ci sia un dottorato di ricerca in studi squisitamente italianistici, coloro che intendono continuare con studi approfonditi possono proporre progetti di ricerca inseribili nell’ambito delle letterature comparate, scegliendo magari forme di co-tutela con specialisti provenienti da università italiane partner (attualmente abbiamo due dottorande incluse in programmi congiunti). L’italiano è lingua di studio anche nella specializzazione in Lingue Moderne Applicate, che forma i futuri interpreti e traduttori, un percorso di studio creato negli anni ’90 e che gode di grande successo. La lingua italiana viene inoltre studiata come lingua straniera, obbligatoria o facoltativa, nelle altre venti facoltà dell’Ateneo. Quindi, tutto sommato, grazie all’interesse degli studenti iscritti alle varie specializzazioni, il numero di quelli che studiano l’italiano, all’interno delle varie forme menzionate, non è per nulla indifferente.
Gli studi d’italianistica hanno conosciuto, dopo il 1989, un notevole incremento scandito tanto dallo sviluppo delle cattedre tradizionali (Bucarest, Cluj, Iasi), in cui l’italiano s’insegna sia come specializzazione principale che secondaria, quanto da talune riattivazioni (Craiova, Timisoara) o dall’istituzione ex novo di insegnamenti presso università anche di data più recente (Constanta, Suceava).

Vi sono rapporti di collaborazione tra la tua cattedra e l’Istituto Italiano di Cultura?

Sì. I rapporti si sono infittiti negli ultimi 12 anni, grazie all’istituzione, nel 2002, in collaborazione fra l’Università Babes-Bolyai e l’Ambasciata d’Italia, del Centro Culturale Italiano di Cluj, quale unica filiale dislocata dell’Istituto Italiano di Cultura di Bucarest, anche grazie all’interesse e all’impegno profusi dai loro direttori a partire da tale data. Dapprima si era in verità rilevata una certa indifferenza nei confronti della ‘provincia’ romena, quasi tutte le attività scientifico-culturali e i finanziamenti concentrandosi sulla capitale. Oggi abbiamo fortunatamente ottimi rapporti con l’Istituto, un ricco dialogo e, nonostante i tagli avvenuti dappertutto negli ultimi anni, alcuni progetti congiunti in corso. Il più importante è senz’altro l’organizzazione del Premio Marian Papahagi, giunto quest’anno alla sua settima edizione. Istituito nel 2007, il premio intende rendere omaggio all’insigne italianista e alla sua personalità, squisitamente europea per apertura mentale e vocazione scientifica. Il premio ha la finalità di promuovere l’interesse per la cultura italiana, attraverso il riconoscimento assegnato a opere creative o di saggistica che abbiano come oggetto la cultura italiana, e si rivolge a cittadini romeni. La giuria del premio è formata da personalità provenienti dall’ambiente accademico e culturale italiano e romeno, personalità la cui autorevolezza nel campo degli studi conferisce maggiore lustro all’evento. Promotore del premio è il Centro Culturale Italiano di Cluj, la sua attuazione è dovuta in primis ai meritori sforzi deposti da Doriana Unfer, ex lettrice di scambio, mentre la sua continuazione viene ora garantita dall’impegno dell’attuale lettrice, Carmela Lista, la quale riesce, malgrado gli intoppi finanziari, a portare avanti il progetto, assieme alle altre attività del Centro Culturale Italiano (organizzate prevalentemente con l’università, che spaziano dai corsi di lingua fino a convegni, conferenze, presentazioni di libri, concerti, proiezioni di film ecc.). Ovviamente le attività del Centro Culturale vengono supportate sia dai colleghi della cattedra d’italiano sia dal Rettorato e dal Rettore stesso dell’Ateneo, il prof. Ioan Aurel Pop, il quale ha sempre manifestato la massima apertura per la ormai tradizionale collaborazione romeno-italiana e che ha avuto, e continua ad avere, un rapporto privilegiato con l’Italia, essendo stato fra l’altro direttore dell’Istituto Romeno di Ricerca e Cultura Umanistica di Venezia, nonché docente presso l’Università Ca’ Foscari.

Quali sono, a tuo avviso, le motivazioni che spingono oggi uno studente rumeno a studiare l’italiano?

Le motivazioni, vere e proprie o solo epidermiche, coprono un ventaglio assai ricco: ci sono studenti che desiderano approfondire studi già iniziati al liceo, ci sono altri spinti dalla “musicalità della lingua”, altri ancora che hanno genitori o parenti stabiliti in Italia, e intendono per ciò seguirli dopo la laurea, oppure si verifica anche, negli ultimi anni, il percorso inverso, di giovani romeni che hanno compiuto gli studi liceali in Italia, e tornano in Romania per quelli universitari. Altri s’iscrivono senza alcuna motivazione, e si sentono smarriti in una facoltà dove è fondamentale leggere, ahimè!… libri!

Quali sono gli autori italiani più letti o più richiesti nel tuo corso? Quanto e chi arriva invece tra gli autori contemporanei, anche in traduzione?

Poiché insegno letteratura italiana medievale e rinascimentale, gli autori proposti appartengono alla categoria “lettura non facile” e non sarebbero, direi, tra i più richiesti. Alcuni studenti non sceglierebbero di spontanea volontà di leggere la Commedia, il Canzoniere, il Principe o l’Orlando furioso. C’è però un piano di studio da seguire… Sto scherzando un po’, ma non del tutto. Mi rendo conto che gli studenti, sia pur nel terzo anno, si confrontano con reali difficoltà nel leggere un classico in italiano. Ma considero che ciò sia un compito non facile neppure per tanti studenti italiani. Dunque, anche se all’inizio si nota una certa diffidenza da parte di loro, è importante, secondo me, fargli scoprire il fascino impareggiabile delle grandi opere letterarie italiane e insieme la loro attualità, com’è per tutti i grandi ‘classici’, come c’insegna Italo Calvino. In verità, il mio/nostro lavoro di insegnare la letteratura italiana viene in una certa misura bene assecondato dalla pubblicazione, a partire dal 2006, presso la prestigiosa casa editrice Humanitas, della collana “Biblioteca Italiana” (diretta da Smaranda Bratu-Elian e Nuccio Ordine, due italianisti noti nei nostri due Paesi), finanziata dal Ministero degli Affari Esteri italiano, che propone testi esemplari, miranti a contraddistinguere una civiltà e uno spazio culturale che vengono in tal modo valorizzati e tesaurizzati, in un momento in cui c’è il pericolo, sempre maggiore, di un declino della capacità stessa di lettura e di interpretazione da parte delle giovani generazioni. La pubblicazione di edizioni bilingui è indubbiamente uno dei meriti maggiori della collana: gli specialisti, docenti e studenti, possono così agevolmente accedere al testo originale, filologicamente affidabile perché spesso scelto sulla base della collazione delle edizioni critiche più autorevoli, per giunta con la possibilità di confrontare direttamente la traduzione romena con il testo tradito. La struttura dei volumi segue un format comune, sia che si tratti di una ristampa che di una nuova traduzione: alla traduzione si affianca un apparato critico storico-filologico, costituito da un saggio introduttivo redatto da uno studioso italiano, da una cronologia della vita e delle opere dell’autore, da una bibliografia critica, da un apparato di note di commento, testi tutti ‘di accompagno’ elaborati dal curatore romeno del volume. Finora sono stati pubblicati 24 volumi (Dante, Petrarca, Boccaccio, Bembo, Machiavelli, Tasso, Goldoni, Montale, Saba ecc.), e io stessa ho avuto la curatela de Il Principe di Machiavelli e della Vita nuova di Dante. Questo costituisce un altro esempio dell’ottima collaborazione romeno-italiana.
In ciò che riguarda invece le traduzioni degli autori contemporanei, esse sono necessarie anche per soddisfare un più che legittimo desiderio di aggiornamento, nell’idea forse di dover colmare un gap di decenni, quelli in cui il Partito e gli organi della cultura ufficiale operavano con rigidi criteri censori, per lo più allotri rispetto alle categorie estetiche. Oggi possiamo vantarci di un numero assai cospicuo di autori i cui volumi si ritrovano sugli scaffali delle librerie, tra gli esempi più recenti, dopo i vari Tabucchi, Baricco, Eco ecc., ricorderò qui Melania Mazzucco, Alessandro Perissinotto, Erri de Luca, Niccolò Ammaniti, Andrea Bajani, Marco Santagata, Alessandro Piperno, Paolo Giordano ecc.


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