L’Italiano fuori d’Italia

Carlo Pulsoni intervista Stefano Rosatti

Stefano Rosatti, nato a Genova nel 1964, si è trasferito in Islanda nel 1997. Sposato con una donna islandese, due figli, insegna lingua e letteratura italiana all’Università d’Islanda dal 1999.
Tra i suoi più recenti lavori letterari: 2013: traduzione di “La donna è un’isola” (Einaudi); 2012: traduzione di “Rosa Candida” (Einaudi), entrambi romanzi dell’autrice islandese Auõur Ava Ólafsdóttir.

Cosa significa per te insegnare la letteratura e la cultura italiana stando all’estero?

Guarda, potrei attaccare con la retorica dell’insegnamento come missione, del docente all’estero come imprescindibile “ponte” che unisce differenti mondi culturali, eccetera, eccetera. Ti rispondo invece con un esempio. Un mio studente lituano molto bravo – tra l’altro parla e legge almeno una mezza dozzina di lingue – dopo aver seguito un mio corso sulla letteratura italiana dal secondo dopoguerra a oggi (due anni fa, qui all’Università d’Islanda), si è messo in testa di tradurre (in lituano, ovviamente) nientemeno che Una vita violenta (!), di Pasolini e nientemeno che Gadda (adesso non ricordo se il Pasticciaccio o La cognizione del dolore). Per me sono queste le cose che, come insegnante, ti fanno sentire di aver dato un contributo importante, pur nel tuo piccolo, o piccolissimo. E ti ripeto, questo esempio risale ormai a due anni fa. Non importa. Se questo studente riuscirà a portare a compimento il suo progetto, Gadda e Pasolini in lituano esisteranno per sempre. E Gadda e Pasolini glieli ho fatti conoscere io.

Qual è la situazione dell’italiano nel tuo Ateneo e in genere in Islanda, considerato che, a giudicare dai dati presenti in rete, la comunità italiana conta circa 300 persone?

In Ateneo, negli ultimi due anni abbiamo avuto un calo, per quanto riguarda il numero degli iscritti, mentre c’è stato un boom di iscritti ai corsi delle nostre due lingue cugine, il francese e lo spagnolo. Invece quest’anno (intendo nell’anno accademico che sta per cominciare, 2013-14), i nostri iscritti sono saliti e quelli delle due lingue suddette sono calati, per cui ci ritroviamo con gli stessi loro numeri, intorno alla trentina di studenti. Ma tieni conto che nelle scuole superiori islandesi lo spagnolo e il francese sono lingue curricolari, l’italiano no, è lingua facoltativa, che al momento è insegnata soltanto in due licei. Quindi, per noi, cioè per la sezione di italianistica dell’Università d’Islanda, il fatto di avere tanti studenti quanti quelli delle sezioni di francese e di spagnolo, è un grande risultato. Che potrebbe dipendere anche dal fatto che abbiamo deciso di rinnovare i programmi e di modificare la struttura di alcuni corsi (sia di lingua, sia di storia, sia di letteratura), visto appunto il calo degli ultimi due anni. Il numero dei docenti, invece, è rimasto lo stesso. Siamo in quattro, in tutto: io, che mi occupo soprattutto dei corsi di letteratura e di storia della lingua, Michele Broccia, che è il lettore MAE e che si dedica principalmente alla didattica della lingua, così come Jóhanna Gunnarsdóttir, islandese, che insegna anche in uno dei due licei suddetti, e Maurizio Tani, che insegna storia e storia dell’arte. Gli ultimi due che ho nominato, sono docenti contrattisti. A parte l’Università e i due licei cui ho accennato, l’italiano si insegna anche in tre scuole serali dell’area urbana di Reykjavík. Lì i corsi sono frequentati soprattutto da adulti. Inoltre, Jóhanna organizza e gestisce un corso di italiano online molto frequentato.

Vi sono rapporti di collaborazione tra la tua cattedra e l’Italia o le istituzioni che rappresentano la cultura italiana nel mondo?

Beh, la mia cattedra dipende dall’Università d’Islanda, ovvero: io sono stipendiato dall’università, così come i due colleghi contrattisti che ho nominato, Maurizio Tani e Jóhanna Gunnarsdóttir. Ma l’Università d’Islanda è sede di lettorato MAE, per cui il Governo italiano è, diciamo, forse il soggetto più importante per quanto riguarda la “collaborazione” con la sezione di italianistica dell’Università d’Islanda stessa. Infatti, poiché il lettore MAE è stipendiato dal Governo italiano, per l’università si tratta di un bel risparmio. Inoltre, il Governo italiano contribuisce al mantenimento degli standard di insegnamento dell’italiano attraverso una sovvenzione che versa annualmente nelle casse dell’università. Noi, comunque, come sezione di italianistica, non abbiamo contatti diretti con il Ministero degli Esteri italiano, il nostro referente è l’Ambasciata d’Italia a Oslo, che ha la giurisdizione anche sull’Islanda (dato che qui l’Ambasciata d’Italia non c’è e che per motivi di budget il nostro rapporto con l’Istituto Italiano di Cultura di Oslo si è interrotto circa sei, sette anni fa). E devo dire che è proprio grazie alle sollecitazioni fatte dall’Ambasciata di Oslo, che l’Università d’Islanda si è decisa, nel 2006, a bandire il concorso per una cattedra di italiano stipendiata dall’università stessa. Attraverso l’aiuto dell’Ambasciata, la sezione di italianistica ha poi anche la possibilità di organizzare eventi culturali e di ricevere ospiti importanti, soprattutto in occasione della Settimana della Lingua e della Cultura Italiana, che di solito cade a fine ottobre. Negli ultimi anni, sono stati qui da noi Dacia Maraini, Claudio Magris e Carlo Lucarelli. E sempre con il contributo dell’Ambasciata e di altri soggetti, nel giugno scorso (2013) la sezione di italianistica dell’Università d’Islanda ha organizzato il Decimo Convegno degli Italianisti Scandinavi, che si è tenuto qui a Reykjavík per la prima volta e a cui hanno partecipato più di trenta colleghi (italiani e non) che insegnano in diverse università scandinave. Un evento importante. Anzi, storico, direi, perché per l’Islanda si tratta, in assoluto, del primo convegno internazionale tenutosi esclusivamente in lingua italiana. Come organizzatore, sono orgogliosissimo della cosa. Naturalmente abbiamo contatti anche con colleghi che operano nelle università italiane e che spesso vengono qui da noi a tenere brevi cicli di lezioni. I nostri ospiti più frequenti sono professori che provengono dall’Università di Trento, da quella di Bologna e da quella di Chieti-Pescara.
Ma tra i nostri collaboratori permettimi a questo punto di citare anche la Fondazione Vigdís Finnbogadóttir per le Lingue Straniere, che porta il nome della ex Presidente della Repubblica d’Islanda. Questa fondazione, che Vigdís stessa ha fortemente voluto, è, per il Dipartimento di Lingue Straniere dell’Università d’Islanda, un soggetto importantissimo, che ci permette di organizzare eventi culturali, conferenze e congressi e che, attraverso la rivista accademica Milli mála, offre a noi docenti del dipartimento la possibilità di pubblicare annualmente i risultati delle nostre ricerche.

Quali sono, a tuo avviso, le motivazioni che spingono oggi uno studente islandese a studiare l’italiano?

Sarebbe interessante svolgere un’indagine accurata, su questo punto, un’indagine diacronica, magari, che possa far luce anche sulle motivazioni che spingevano gli studenti islandesi del “passato”, a studiare l’italiano. I tempi sono cambiati molto, infatti, anche solo rispetto a quindici, sedici anni fa, epoca in cui io mi trasferii qui. Forse, prima, chi studiava italiano era guidato semplicemente dalla passione per la nostra lingua e per la nostra cultura, magari perché era stato nel nostro paese in vacanza con genitori o amici durante l’estate. Ora è diverso, la crisi e il crollo economico, bancario, finanziario del 2008 hanno portato maggiore pragmatismo. Ora, la gran parte degli studenti che intende prendere il BA in italiano (Baccalaureato, equivalente alla Laurea Triennale), lo fa con uno scopo futuro. Sembra paradossale, perché la crisi sta colpendo tutta Europa e l’Italia in particolare, ma, per esempio, qui, con il calo della corona islandese, il turismo diretto verso l’Islanda è aumentato a dismisura e pensa che persino gli italiani, che tradizionalmente venivano qui tra la metà di luglio e la metà di agosto, adesso sono “spalmati” su tutto il periodo estivo, e girando per le vie del centro, non è rarissimo incontrare gruppi di turisti italiani neppure in autunno o in inverno. Questo significa lavoro, non solo come guide e/o accompagnatori di gruppi, ma anche a livello di collaborazione manageriale tra agenzie turistiche islandesi e italiane. Insomma, significa lavoro nella cosiddetta “industria” del turismo, a tutti i livelli. E poi, altro sbocco, quello delle traduzioni. La letteratura italiana è un mondo ancora tutto da scoprire, per gli islandesi. Non è un caso che molti dei nostri laureati continuino gli studi prendendo il Master in traduzione, e specializzandosi in traduzioni letterarie dall’italiano all’islandese. Devo dire che il Dipartimento di Traduzione/Traduttologia dell’Università d’Islanda negli ultimi anni è cresciuto moltissimo, a livello professionale e di strutture. E questo è un bene anche per noi.
Poi devo aggiungere che l’Italia, crisi o meno, attira comunque, ed è raro che i nostri laureati non decidano di trascorrere almeno un semestre nelle università italiane come studenti Erasmus. Spesso questi mesi sono decisivi, per le loro future decisioni. Conosco diversi ragazzi e ragazze che dopo il loro periodo Erasmus, hanno deciso di prolungare la permanenza nel nostro paese, hanno addirittura trovato lavoro, e così via. Devo dire che i giovani islandesi (come un po’ tutti i giovani dei paesi nordici e scandinavi), già dall’età di 15-16 anni, in periodo estivo, finita la scuola, si cercano piccoli lavoretti, per non dipendere da mamma e papà e anche perché così vuole la tradizione e la cultura del luogo. Questo facilita molto, in futuro, la loro pratica e la loro adattabilità anche a mondi, a condizioni lavorative diverse, magari precarie, difficili, ma sempre prese con la coscienza che se non ci si sta bene si cambia. Scusa, adesso sono uscito dal mio campo, mi sono messo a fare il sociologo da strapazzo. Ritorniamo pure a noi.

Quali sono gli autori italiani più letti o più richiesti nel tuo corso?

Beh, è difficile che uno studente di BA prenda l’iniziativa di “richiedere” un autore piuttosto che un altro, a meno che non lo conosca già (il che è raro), oppure a meno che non ne sia rimasto particolarmente colpito studiandolo durante i corsi. Devo dire che Dante comunica sempre una certa impressione, e prima o poi credo che mi deciderò a tenere un monografico su di lui, magari in inglese, in modo da “attirare” anche studenti di altre facoltà. Un collega islandese, Hjalti Snær Ægisson, che insegna alla facoltà di letteratura (non a quella di lingue), un paio di anni fa ha tenuto un corso su Dante (in islandese) che ha avuto molto successo. Hjalti è stato un mio studente (brillantissimo) ai corsi di italiano per principianti, poi è andato a studiare in Italia, prima a Bologna e poi a Roma e insomma ha fatto strada. Ma i suoi risultati li considero un po’ anche merito nostro. E con questo siamo andati a ricollegarci un po’ alla tua prima domanda, su che cosa significa insegnare la cultura, la letteratura e – aggiungo io – ovviamente la lingua italiana, all’estero.
Tornando agli autori: in genere, durante i corsi di letteratura del secondo/terzo anno, gli studenti devono leggere almeno due romanzi a scelta di autori del Novecento. Si tratta dei nostri classici, da Pirandello a Sciascia, ma tra le opzioni si trovano anche autori dei nostri giorni, come Lucarelli, la Maraini, Baricco, Tabucchi, Ammaniti, De Luca, la Pariani e così via. Per quanto riguarda le scelte autonome degli studenti, beh, ultimamente ho seguito tesi sulla Ginzburg, su Pasolini, su Sciascia e su Moravia. Il prossimo semestre primaverile (2014) terrò un corso “inedito”, sulla letteratura femminile del ’900, che conta già un buon numero di iscritti e che credo avrà sviluppi interessanti sui gusti dei miei studenti. Vedremo.

Sono letti in italiano o in islandese?

Rigorosamente in italiano. Per i testi più antichi, medievali e rinascimentali, a volte (non sempre) utilizziamo il testo a fronte in italiano contemporaneo, per il resto, tutti testi in lingua originale.

Quanto e chi arriva invece tra gli autori contemporanei, anche in traduzione?

Non moltissimo. Come ti dicevo, il mondo della letteratura italiana è ancora tutto, o quasi, da scoprire. Comunque: nel 2010 è uscita la Commedia di Dante in versione integrale in prosa, un lavoro eccellente. Il traduttore è Erlingur E. Halldórsson, oggi purtroppo scomparso. Un’opera eccellente, quella di Erlingur, che quando ci si metteva puntava davvero molto molto alto, se pensi che, a parte Dante, nella sua carriera ha tradotto il Satyricon di Petronio, i Canterbury Tales di Chaucer, il Gargantua e Pantagruel di Rabelais, e beh, sì, anche il Decameron, in effetti, quasi mi dimenticavo. Il grande poeta e scrittore islandese Thor Vilhjálmsson, anche lui recentemente scomparso, nel 2006 aveva tradotto Il nome della rosa, di Eco. Thor adorava l’Italia, negli anni ’50 e ’60 viveva tra Roma e Parigi e sono memorabili i racconti dei suoi incontri con i personaggi più in vista della nostra cultura dell’epoca, da Quasimodo (di cui ha anche tradotto qualcosina), a Fellini, a Pasolini, e così via. Un altro grande scrittore islandese, Guõbergur Bergsson (autore, tra l’altro, de Il cigno, che ha avuto grosso successo anche in Italia, tradotto da Silvia Cosimini), nel 2001 aveva tradotto Gli occhiali d’oro, di Bassani. Nel 1999, Kolbrún Sveinsdóttir aveva tradotto Seta, di Baricco e nel 2000, Carta bianca, di Lucarelli. Tra le ultime cose, nel 2008, Hjalti Snær (che ho già nominato) ha tradotto Come Dio comanda, di Ammaniti e nel 2010 La solitudine dei numeri primi, di Paolo Giordano, mentre nel 2004 Paolo Turchi aveva tradotto Io non ho paura, sempre di Ammaniti. E poi abbiamo Il cavaliere inesistente, di Calvino (tradotto nel 1991 da Árni Sigurjónsson). Forse ora dimentico qualche titolo, ma non c’è moltissimo più di questo che ti ho nominato, devo dire, a parte vecchie traduzioni, come Cristo si è fermato a Eboli, di Carlo Levi (la cui versione in islandese risale al 1959), La Romana, di Moravia (traduzione del 1951), Il segreto di Luca, di Silone (traduzione del 1961), Il Gattopardo, di Tomasi di Lampedusa (traduzione del 1963) e, pensa, una traduzione del 1975 de Le ceneri di Gramsci, di Pasolini. I miei studenti, ultimamente, si stanno dedicando con sempre maggior frequenza a traduzioni di racconti di autrici e autori italiani, sia per le loro tesi di BA, sia per altri loro lavori all’interno dei corsi. Ormai abbiamo raggiunto materiale sufficiente per pensare di raccoglierlo e pubblicarlo appunto come lavoro degli studenti di italiano. Sarebbe una “prima assoluta”, non semplice da realizzare, ma questo è uno dei progetti a cui si sta lavorando all’interno del nostro dipartimento.

Suggeriresti qualche nome di autore contemporaneo che ti augureresti venisse tradotto in islandese?
Nel mio cassetto, da un po’ di tempo c’è l’idea di tradurre, insieme alla mia studentessa Guõrún Erna Högnadóttir, Se questo è un uomo, uno dei libri (dico proprio “libri”, non solo romanzi) più importanti del Novecento. Sono contento che Ammaniti e Giordano siano approdati qui, e auspico che anche altri scrittori e scrittrici di fine/inizio millennio possano venire tradotti per il pubblico islandese, a me personalmente piacerebbe far conoscere Elena Ferrante e alcune delle opere del gruppo dei Wu Ming, ma mi piacerebbe anche che si traducesse almeno qualcuno dei nostri “classici” del Novecento. C’è solo l’imbarazzo della scelta. A parte Moravia, Silone, Pasolini, Calvino e alcuni altri, di cui però, come ti ho detto, abbiamo pochissimo, mancano più o meno tutti i “giganti”: Aleramo, Pirandello, Svevo, Deledda, Morante, Vittorini, Pavese, Gadda, Ginzburg, Primo Levi, Fenoglio, Sciascia, eccetera, eccetera, eccetera. Speriamo nei nostri ex e nei nostri futuri laureati. E chissà che un giorno non esca un Gadda anche in islandese, magari.

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