L’Italiano fuori d’Italia

Chiara Piola Caselli intervista Filippo Fonio

Filippo Fonio (Novara, 1979), dottore di ricerca in Memoria culturale e tradizione europea all’Università di Pisa, è Maître de conférences in Letteratura italiana all’Université Stendhal – Grenoble 3, dove insegna Letteratura medioevale e Storia della lingua italiana. Le sue ricerche riguardano, in particolare, la letteratura italiana francofona, l’agiografia francese e italiana, la teoria della letteratura e la didattica della lingua e della cultura attraverso le pratiche artistiche, in particolare il teatro.

Qual è stato il percorso di studi che hai intrapreso e che ti ha spinto a scegliere di insegnare in un’università francese?

Ho presto riconosciuto un particolare interesse per la letteratura subita e per quella agita, ovvero tanto per l’interpretazione dei meccanismi costitutivi del testo (letterario e non), quanto per la sua rappresentazione scenica. Il costante interesse per la letteratura comparata si è gradualmente approfondito e affinato permettendomi di circoscrivere l’ambito alla realtà franco-italiana. Ho, pertanto, consacrato la tesi di dottorato allo studio delle fonti classiche e moderne, italiane e straniere del Martyre de saint Sébastien di Gabriele d’Annunzio (1911), lavoro che mi ha permesso di specializzarmi in Francia e di optare per una cotutela tra l’Università di Pisa e il Dipartimento di Italianistica dell’Università di Grenoble. Dopo diversi anni di “pendolarismo” con contratti di insegnamento a termine, ho deciso infine di stabilirmi definitivamente in Francia.

Si è trattato di un percorso semplice?

No, il cammino non è stato sempre agevole, ma in Francia ho potuto proseguire nella carriera seguendo alcune tappe canoniche che si inseriscono in un percorso complessivamente lineare: sono stato assunto prima come lettore di italiano, poi con una posizione di ATER (equivalente a un contratto di post-doc), infine, dopo il conseguimento dell’abilitazione, come titolare della Cattedra. La Francia mi ha portato a misurarmi con una metodologia e con dei paradigmi molto diversi da quelli attraverso cui mi sono formato. Tuttavia, ho capito ben presto come i due approcci fossero complementari e si arricchissero reciprocamente. Questa esperienza, che considero altamente formativa, si costituisce ormai come parte integrante del mio modo di insegnare e di fare ricerca. Inoltre non ho interrotto i rapporti con la mia nazione, tanto più che le discipline che insegno necessitano un aggiornamento costante e uno scambio scientifico con le università e i centri culturali italiani.

Ti sei trasferito nel 2006. Quali difficoltà incontra oggi chi decide di trasferirsi in Francia per fare il tuo mestiere?

È certamente più difficile: i posti di italiano diminuiscono ogni anno, soprattutto gli insegnamenti di letteratura. Posso dire però che, a discapito delle statistiche e dei luoghi comuni, l’eccellenza della formazione italiana è riconosciuta all’estero, specialmente per quanto riguarda l’ambito delle scienze umane e degli studi letterari.

Qual è la situazione dell’italiano nel tuo Ateneo?

Grenoble è una città di frontiera che ha accolto nei secoli una massiccia emigrazione dall’Italia, tanto che oggi circa il 30% degli abitanti è di origine italiana. Questo aspetto ha determinato anche una condizione particolarmente favorevole allo studio della lingua e della letteratura italiana: la prima cattedra di italianistica in Francia nasce proprio a Grenoble alla fine dell’Ottocento e l’Università ha ospitato alcune delle punte di diamante dell’italianismo d’oltralpe: da Henri Hauvette a Henri Bédarida a, più recentemente, Claude Ambroise. A differenza dello studio della lingua italiana – in diminuzione ma non in termini allarmanti –, lo studio della letteratura conosce da anni una crisi preoccupante e forse irreversibile. Per fare un esempio concreto, dal mio arrivo gli studenti del corso di laurea in Lingua e Letteratura italiana sono diminuiti del 70 %. Se, come credo, questo processo non dovesse velocemente arrestarsi, è probabile che assisteremo alla chiusura del corso di laurea in pochi anni.

Quali contromisure prendete per contrastare la crisi che hai descritto? Ritieni che si tratti di un fenomeno locale o esteso a livello nazionale?

Tra le iniziative per far fronte alla crisi, vorrei ricordare quella del master binazionale istituito tra le Università di Grenoble e di Padova che fa leva tanto sulla ricerca quanto sugli studi franco-italiani. Per quanto riguarda l’aspetto della ricerca, Grenoble possiede un patrimonio documentario di prim’ordine che necessita ancora di uno studio approfondito e sistematico. Contiamo, infatti, un certo numero di fondi italiani conservati alla Biblioteca Municipale – tra i quali possediamo uno dei tre manoscritti del De vulgari eloquentia di Dante! –, oltre a una Biblioteca Universitaria tra le più ricche di Francia. Molte sono le iniziative istituite per la valorizzazione della ricerca e, più in generale, della cultura: dalle mostre, ai convegni internazionali, ai seminari. Anche nel campo degli studi in francesistica con una spiccata tendenza a valicare le Alpi, la nostra Università può contare su una lunga tradizione. Fin dal primo Novecento, infatti, gli studiosi hanno consacrato le loro ricerche ai rapporti letterari e culturali tra le due, per dirla con D’Annunzio, «sorelle latine». Ritengo che una delle chiavi di soluzione della crisi possa essere, per Grenoble come per il resto dei dipartimenti di Italiano in Francia, porre l’accento sulla valorizzazione del patrimonio culturale e sullo scambio necessario, e storicamente attestato, tra le culture sorelle; solo così l’italianismo d’oltralpe potrà assumere un’identità propria, non limitandosi a essere un pallido fantasma dell’italianismo italiano. Quanto detto risponde almeno in parte alla seconda domanda: uno degli aspetti più evidenti e preoccupanti per le facoltà di lingue e letterature straniere è la loro trasformazione in maxi-scuole di lingua per il turismo e gli affari a discapito degli insegnamenti specialistici e letterari. La politica dell’Unione Europea, privilegiando l’insegnamento pragmatico delle lingue e il loro aspetto solo professionalizzante, non ostacola ma asseconda questo processo. Il destino dello specifico letterario appare tragico e, quando sopravvive (se sopravvive), appare ridotto a una cultura generale di carattere citazionistico. Probabilmente stiamo vivendo la fine delle formazioni monodisciplinari alla quale noi, corpo docente, dobbiamo necessariamente adeguarci con apertura e intelligenza strategica.

Ritieni che sia possibile rilanciare le discipline letterarie? Con quali mezzi?

Occorre fare in modo che i nostri studenti siano più competitivi sul mercato del lavoro. Due validi esempi pratici possono essere il settore delle umanità digitali e quello dei nuovi approcci pedagogici all’insegnamento delle lingue. La filologia digitale è un settore relativamente recente e in pieno sviluppo grazie anche delle formazioni specifiche, alle scuole di dottorato, allo stanziamento di fondi ministeriali. A Grenoble abbiamo istituito diversi progetti. Ne cito in particolare due: il primo, “Fonte gaia”, è finalizzato alla creazione di una biblioteca digitale franco-italiana commentata ed è associato a un portale per gli studi e la ricerca in italianistica; il secondo, BIPRAM, è consacrato alla ricostruzione delle biblioteche di età moderna, a partire dalla digitalizzazione degli inventari degli scrittori e degli eruditi. Per quanto riguarda i nuovi approcci pedagogici alla didattica della lingua e della cultura, da anni sono impegnato in un progetto che associa il teatro all’insegnamento della lingua straniera e delle lingue classiche. Si tratta di una pratica in uso da diversi decenni ma che, soprattutto in Europa, necessita ancora di un approfondimento teorico e scientifico, tanto più che essa si rivela, in base alla mia esperienza, di notevole efficacia.

Ritieni che ci siano dei progetti utili negli scambi italiani e francesi?

Sicuramente sì. Con varie università italiane (Padova, Bari, Vercelli) abbiamo frequenti scambi di personale e di studenti, progetti in comune, avvenimenti teatrali universitari e altre forme di collaborazione tese a rafforzare i legami con la madre-patria delle nostre discipline. La rete di scambio con l’Italia – ma non soltanto – va del resto rafforzata e diversificata, perché soltanto attraverso una più concreta federazione possiamo garantire la sopravvivenza di discipline che molti giudicano essere scarsamente “al passo coi tempi”.

Come strutturi un corso di letteratura italiana? Rilevi delle differenze con l’approccio italiano?

Nei corsi curriculari, occupandomi in particolare di Letteratura italiana medioevale, propongo dei percorsi tematici che abbracciano i principali autori del periodo, ad esempio sull’amore nel Medioevo italiano, oppure un’introduzione generale alle “Tre corone”. Per quanto riguarda il corso di Storia della lingua italiana, cerco di dare una panoramica diacronica dal Duecento a oggi, tanto in prospettiva specificamente linguistica quanto storico-culturale. Nei corsi opzionali, cerco di proporre percorsi che leghino tematicamente o concettualmente l’antico al moderno, ad esempio sul fascino del Medioevo nella letteratura contemporanea.
Le principali differenze che riscontro rispetto a corsi equivalenti dell’università italiana sono la modalità di preparazione e la tipologia degli esami. Se si pensa alle liste di lettura – sempre più scarse del resto – dei corsi di Letteratura in Italia, in Francia si tende a rinunciare alla lettura integrale delle opere letterarie o dei saggi critici e a preferire, invece, l’analisi testuale accompagnata da una panoramica storico-letteraria assai schematica. Inoltre, salvo poche eccezioni, gli esami sono scritti, in forma di compiti in classe o di tesine (queste ultime solo a partire dalla laurea triennale).
Personalmente propongo le opere in traduzione bilingue italiano-francese. Per quanto possibile assegno sempre la lettura di almeno un’opera nella sua veste integrale, perché preferisco che i miei studenti leggano la Divina Commedia in francese per intero, piuttosto che apprezzino qualche terzina in italiano. È certamente un compromesso e forse una rinuncia, ma è anche l’unico strumento per comunicare loro una visione complessiva dell’opera e, soprattutto, per trasmettere l’idea di una prospettiva articolata ma organica dove la letteratura italiana si inscrive nel sistema delle letterature europee e mondiali. È un contributo non secondario a quel principio di interdisciplinarità che si configura come l’unico concreto mezzo per la sopravvivenza di una disciplina che amo e che insegno.

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L'autore

Chiara Piola Caselli
Chiara Piola Caselli
Chiara Piola Caselli è attualmente ricercatrice presso l’Università degli Studi di Perugia. Ha lavorato a lungo in Francia, insegnando e svolgendo ricerca presso le Università di Poitiers e Grenoble. Si occupa di letteratura italiana tra Sette o Ottocento e di storia della critica letteraria del primo Novecento. Collabora a progetti di ricerca internazionali dedicati alla ricostruzione e digitalizzazione delle biblioteche private d’autore e all’insegnamento delle lingue attraverso il teatro.