conversando con...

Inma Otero intervista Anxos Sumai

Anxos Sumai (Catoira, 1960), scrittrice, traduttrice e documentarista, è una delle autrici più rilevanti della letteratura galega. Comincia il suo percorso narrativo a metà degli anni 80, ottenendo da subito numerosi riconoscimenti letterari. Agli inizi del nuovo millenio lega parte della sua produzione alla rete ottenendo grande successo tra i lettori. È grazie all’appoggio fedele dei fruitori e della critica che continua a pubblicare la sua opera, in cui ogni nuova proposta rappresenta un nuovo processo di ricerca. Anxos da Garda (A Nosa Terra, 2003), Melodía de días usados (Galaxia, 2005), Así nacen as baleas (Galaxia, 2007) e A lúa da colleita (2013) sono i romanzi pubblicati ad oggi. L’intervista che segue si concentra su quest’ultimo romanzo, di cui si pubblica una recensione su questo sito (qui), che ha ottenuto il premio García Barros, il Premio della Crítica Española e il Premio dell’Asociación de Escritores en Lingua Galega.

Facendo un esercizio di sintesi considerevole, si potrebbe dire che A lúa da colleita è un romanzo in cui la protagnista, Nuria, cerca di ricostruirsi. Che importanza ha per te questo tema?

Per me è il tema centrale. Più che la ricostruzione della persona è l’accettazione della parte emotiva e della parte razionale, integrare il tutto in un solo personaggio, con i conflitti che crea quest’integrazione. A me è sembrato molto curioso vedere come l’integrazione delle due parti, per altro portata all’estremo, abbia finito per produrre nella critica una lettura diagnostica a partire da certi sintomi che io non avevo intenzione di mostrare. La mia idea era di vedere l’essere umano come un insieme olistico; siamo tutto questo; possiamo essere persone con luci e ombre, anche se a volte vogliamo rimanere solo con le luci e respingere le ombre come se non fossero nostre, perché ci creano un forte disagio. Accetto ogni tipo di lettura, ma la lettura clinica fa sì che il lettore si allontani, che pensi che la protagonista non stia bene, quindi che a lui non potrebbe succedere mai niente di simile.

Ci sono molti personaggi secondari, fondamentali per avvicinarci all’individuo come tematica generale, a Nuria e a Beth come personaggi principali. Molti di loro, soprattutto le protagoniste, sono personaggi estremi, radicalizzati. Usare una lente d’ingrandimento, riprodurre un’immagine ingrandita ci aiuta a identificarci meglio? A riconoscerci?

Le caratteristiche dei personaggi si devono al mio modo di scrivere. Scrivo molto su ognuno dei personaggi, costruisco vari romanzi paralleli con ognuno dei personaggi. Al momento della riscrittura mi metto a eliminare fino a che non mi restano che le caratteristiche fondamentali. Mi interessano certi personaggi perché stanno attorno al personaggio principale, Nuria, che si costruisce partendo anche dalla loro visione, da quello che pensano gli altri, per questo avevo bisogno di personaggi di forte intensità. Ogni personaggio focalizza determinate ricerche di Nuria. Lei si costruisce, vuole dare un’immagine, partendo dagli altri ma anche per gli altri. È tutto un gioco di possibilità; la costruzione dell’identità da diversi punti di vista: da dentro verso fuori e da fuori verso dentro.

Pensi che il tema dell’identità sia importante nella narrativa attuale?

Sì, considero sia importante, anche nella società. Immagino abbia a che fare con l’autoaffermazione. Se non ci costruiamo come persone, se non diventiamo forti, difficilmente potremo essere parte di una collettività. È anche in relazione con la dispersione del l’identità che c’è in rete. In precedenza, ho fatto un esperimento letterario sul blog Anxos da Garda, giocando a individuare i limiti tra ciò che è reale e ciò che è fittizio. A come ingannare il lettore. Noto una certa insicurezza, da parte nostra, di fronte a un mondo che si trasforma a una velocità incredibile; dobbiamo rafforzarci, dobbiamo accettarci. Nuria sta cercando se stessa, vuole ricostruirsi, ma è un gioco perverso perché Nuria vuole controllare, manipolare, l’immagine che trasmette agli altri.

Torniamo ai personaggi. Tutti apportano un qualche significato al romanzo. Ma sono le donne che spiccano in quanto entità problematiche, intense. Fino a che punto hai voluto approfondire la costruzione dei personaggi in quanto “donne”? Nelle donne ci sono più “versioni”, per imposizione o meno, che negli uomini?

Mi interessa moltissimo l’indagine sui personaggi femminili. Era già successo in Así nacen as baleas, qui è lo stesso. Sarà perché sono donna e proietto nei personaggi femminili le mie stesse ricerche personali. Voglio superare i pregiudizi e imparare, perciò trasferisco su di loro quella ricerca che io sto facendo; sono degli specchi anche per me. Imparo molto assieme a loro, in ogni romanzo mi faccio molte domande e vado avanti. Ma mi interessano anche i personaggi maschili; in questo romanzo ci sono molte questioni che mi interessano e sono trattate dal punto di vista degli uomini, come il tema della solitudine o dell’accumulazione. Ma mi interessa di più lavorare con le donne. Anche se a volte c’è una parte inconscia di cui non mi accorgo, ma he i lettori riescono a interpretare.

Oltre a approfondire personalità instabili, vengono messe in discussione anche le percezioni univoche e i concetti socialmente più stabili come la materia, il tempo, lo spazio. Con che intenzione?

Una delle cose più importanti che volevo trasmettere era la sensazione di instabilità; la persona che legge deve sentirsi sempre sul punto di cadere in un precipizio. Volevo interrogarmi sul passare del tempo; questa donna percepisce il tempo in forma sferica, non vede la linearità del tempo e a me questo sembra meraviglioso. Anche sullo spazio c’è una grande ricerca. Propongo uno spazio che si vede come fossero ologrammi; il paesaggio che circonda la protagonista non ha consistenza. Da qui la ricerca dell’identità personale, per diventare forte in un mondo che vacilla. Di fatto il fattore scatenante la problematica della protagonista è che non vuole nessun tipo di imposizione, di legami, tutto ciò che ha davanti deve essere suo. Lei si mostrerà ribelle istintivamente.

In alcune interviste hai osservato, e la critica è concorde, che percepisci un’evoluzione stilistica nella tua opera, una crescente depurazione e sintesi linguistica. Ma non per questo si perde il potere suggestivo e l’evocazione, sia nel disegnare alcuni personaggi complessi sia negli spazi. Riesci a creare un’atmosfera inquietante. Quali strategie impieghi per riuscire a trasmettere queste sensazioni?

Volevo che chi legge si immedesimasse subito nel personaggio di Nuria. È stata una questione di depurazione linguistica; ho ridotto le strategie letterarie al minimo, sono rimasta unicamente con le immagini per ottenere emozioni. Si tratta di un calcolo. Era mia intenzione che le parole servissero non solo a bagnarsi, ma che le persone affondassero direttamente nell’acqua, letteralmente e senza esitazione. Le immagini che mostro cercano di commuovere e di creare confusione. Mescolo tre piani: la realtà, la possibile irrealtà e i sogni. Utilizzo anche molti verbi per accelerare la narrazione e trasmettere azione. Anche la luce e i colori sono importanti, è come se tutta l’opera fosse sotto un riflettore.

Nel romanzo si insinua la presenza del male, sia attraverso la crudeltà, perfino come manifestazione d’amore, sia attraverso l’invidia e i desideri cattivi. E a volte i cattivi presagi diventano realtà. Da dove nasce il “male” nei protagonisti?

Volevo mostrare una persona con tutte le sue luci e le sue ombre. In parte siamo politicamente corretti, ma abbiamo anche una parte oscura. Per esempio, la gente non ammette che invidia la cattiva, ma io credo che tutti prima o poi l’abbiamo invidiata. Quella donna semplicemente lo pensa, lo dice. Secondo me ha una mentalità aperta e racconto tutto quello che succede.

È stato detto anche che la tua produzione, e soprattutto A lúa da colleita, si appelli sia all’impatto intellettuale sia a quello emotivo con l’intenzione di cambiare il ricettore. Cosa pensi di questa considerazione?

Mi piace, anche se cerco di raccontare in maniera che non sia offensivo, pornografico. Ma il potere delle parole è brutale, non c’è bisogno di definire una storia fino in fondo, fino all’assoluta miseria, perché la gente percepisca ciò che vuoi dire. La dura violenza delle immagini si vede in tv, ma se la racconti a parole comincia a far male; è come se passasse attraverso vari strati fino ad arrivare nel più profondo. C’è gente che si identifica con alcuni tratti del carattere di questa donna; per esempio, sente un impulso particolare riguardo al desiderio di possedere o di essere posseduta da qualcuno, una di quelle cose che uno non vuole ammettere.

Passiamo ora a una prospettiva più generale. A lúa da colleita ha ottenuto grandi riconoscimenti da parte della critica, che gli sono valsi, oltre a recensioni più che positive, il premio García Barros, il Premio della Critica e quello dell’AELG. Ti aspettavi questo successo? Come pensi che si ripercuoterà nella tua carriera?

No, affatto, perché è un romanzo strano, dalla lettura difficile e che poteva essere facilmente ignorato. Mi ha sorpreso molto. Pensavo che sarebbe stato un romanzo di nicchia. Io sono molto riconoscente, molto felice che un lavoro abbia tali riconoscimenti e che si veda la validità della mia proposta. Ma focalizzo ogni opera in modo diverso, la lavoro in maniera distinta; i premi non mi limitano. Farò una proposta letteraria, se non sarà accettata è il mio rischio. Lavoro in assoluta libertà. È uno dei vantaggi di avere un lavoro che mi paga le fatture e mi permette scrivere per conto mio. Potrebbe essere uno dei vantaggi della letteratura galega, per questo penso che ci siano grandi opere qui in Galizia, romanzi meravigliosi che non devono temere quanto ci viene venduto come grandioso di altri sistemi letterari. Siamo all’altezza di chiunque, anche migliori, proprio per questo: abbiamo libertà creativa perché non viviamo della scrittura.

Quali pensi che siano le principali difficoltà nell’esportare la narrativa galega verso altre letterature? Cosa ti manca?

Per me il maggior problema è quello delle traduzioni. Perché non si traduce di più? Immagino per mancanza, in parte, di appoggi istituzionali, forse anche per mancanza di venditori, di agenzie letterarie, di pubblicità all’estero. Per esempio, il lavoro di questo sito è meraviglioso; anche quella di Jonathan Dunne è un’altra bella storia. Ma come si risolve?

Come situi la tua opera dentro la narrativa galega attuale, ti identifichi con qualche linea tematica?

No. sono completamente slegata. Immagino che tutte le persone che scrivono cerchino la stessa cosa, raccontare ciò che siamo, ma ogni persona lo fa da un punto di vista differente, con voce propria, e a me questo sembra meraviglioso. Io voglio costruire una voce mia per raccontare la stessa cosa che raccontiamo tutti. In teoria non ho un modello chiaro, c’è gente che mi affascina, come Blanco Amor o Margarita Ledo, ma non imito nessuno. Ci sono temi che mi interessano e che condivido con altri, un gruppo di amici, Monteagudo, Constela, Antón Riveiro Coello e io; condividiamo molti temi comuni ma siamo così diversi al momento di trattarli, di renderli letteratura, che alla fine è impossibile.

Potrebbe essere il tema dell’identità o della memoria?

Io non so se in altri sistemi letterari normalizzati si lavora tanto sulla costruzione personale. Noi qui, lo facciamo forse per rafforzarci in un mondo che sembra essere sul punto di estinguersi. Forse ha a che vedere con la scomposizione del paese che fa sì che io mi afferri, assieme a altri autori e autrici, al tema dell’identità personale. Nuria è un personaggio in permanente costruzione, come noi, che si trasforma costantemente, attraverso il recupero della memoria ma anche con l’interazione con la realtà e le persone che la circondano.

(Traduzione di Maria Valeria Salinas Soria)

Scarica l’intervista in lingua originale


Creative Commons License
This work is licensed under a Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported License

L'autore

Inma Otero Varela
Inma Otero Varela
Inma Otero Varela (Carral, 1976) è attualmente professoressa di Lingua e letteratura galega nelle scuole superiori. È stata lettrice di galego nell’Università “La Sapienza” di Roma dal 2003 al 2008. Collabora come critico letterario in “Grial” e “Novas do Eixo Atlántico*. Ha pubblicato studi sulla narrativa galega in svariati volumi e riviste scientifiche (“Critica del Testo”, “Anuario de Estudos Literarios Galegos”, “Boletín Galego de Literatura).