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Gabriele De Veris intervista Gino Roncaglia

Gino Roncaglia insegna presso l’Università della Tuscia. Divide i suoi interessi fra la storia della logica tra il Medioevo e Leibniz e il campo dei nuovi media. Nell’ambito della storia della logica si è occupato soprattutto di storia della logica modale, della riflessione logica nella seconda scolastica tedesca, delle discussioni sugli enti inesistenti nella logica tardo scolastica e post medievale e della logica di Leibniz. Nel campo dei nuovi media si è occupato soprattutto di editoria digitale e di libri elettronici, di e-learning e degli strumenti di produzione culturale in rete. Oltre ai recenti L’editoria fra cartaceo e digitale (Ledizioni 2012) e La quarta rivoluzione. Sei lezioni sul futuro del libro (Laterza 2010), è autore o coautore di oltre cinquanta fra libri e pubblicazioni, fra cui la fortunata serie di manuali Laterza sull’uso di Internet (6 volumi e oltre 20 ristampe dal 1996 al 2004), il saggio Il mondo digitale (con Fabio Ciotti, Laterza 2000, 11 ristampe), e un volume sul dibattito logico nella scolastica protestante tedesca (Palaestra Rationis. Olschki 1996). È coautore – con Mirella Capozzi – del capitolo dedicato alla logica moderna nel volume The Development of Modern Logic edito da Oxford University Press. Ha da poco curato la riedizione di Walter J. Ong, Oralità e scrittura. La tecnologia della parola, Bologna, Il Mulino, 2014.

È stato tra i pionieri dell’uso di Internet in Italia, ed è socio fondatore dell’associazione culturale Liber Liber, promotrice del Progetto Manuzio, biblioteca digitale gratuita in rete. In ambito televisivo è stato fra gli autori della trasmissione Rai MediaMente e di numerosi altri programmi televisivi legati al mondo delle nuove tecnologie e delle reti, nonché dei programmi culturali Nautilus e Zettel – Filosofia in movimento.

Dopo le promesse è effettivamente arrivata la riduzione iva sugli ebook. In attesa di vedere le reazioni europee, questo fatto potrà servire a far crescere i lettori? Non dovrebbe essere affiancato da una campagna informativa?

Credo che la riduzione dell’IVA sugli e-book sia importante soprattutto per una questione di principio: riaffermare l’idea che, se i libri su carta sono prodotti che meritano un trattamento fiscale agevolato per il loro rilievo culturale e sociale, allora la stessa considerazione si deve applicare anche agli e-book. E’ questo, credo, il senso corretto che si dovrebbe dare alla campagna #unlibroèunlibro. Tenendo tuttavia sempre presente che per altri versi libro su carta e libro elettronico sono ovviamente diversi: hanno diverse potenzialità espressive, sono legati a situazioni e modalità di lettura almeno in parte diverse, e anche dal punto di vista commerciale hanno comunque meccanismi di vendita diversi (nel caso del libro elettronico, all’acquisto fisico si sostituisce una licenza; nel caso del libro su carta l’agevolazione fiscale era legata anche al meccanismo di gestione delle rese, che in digitale non c’è).

Detto questo, non penso che di per sé la diminuzione dell’IVA sugli e-book possa avere effetti particolari sulla crescita del numero dei lettori: sia perché credo – almeno nel caso degli e-book pubblicati dal mondo dell’editoria professionale e non in self-publishing – che buona parte della riduzione IVA non porterà a una effettiva diminuzione del prezzo per il lettore ma verrà assorbita dagli editori, che in un panorama di grave crisi hanno bisogno di recuperare margini di redditività, sia perché le ragioni del calo nel numero di lettori sono altre: cambiamenti nella dieta mediatica, svalutazione dell’immagine sociale della lettura e della cultura in generale, frammentazione dei contenuti informativi.
È soprattutto sugli ultimi due punti che, in forme diverse, servirebbe lavorare.

La riforma del Mibact: molte contestazioni, soprattutto per il depauperamento delle biblioteche statali e per il fatto che l’apparato centrale ministeriale non sembra ridursi e aggiornarsi.

Che il Mibact abbia bisogno di profonde riforme organizzative è indubbio, l’errore è a mio avviso nella riduzione nel ruolo e nell’autonomia delle biblioteche che sembra implicato dal modello di riforma adottato. Le biblioteche pubbliche italiane vivono un momento di grave crisi nella disponibilità di fondi e personale, proprio nel momento in cui sarebbe invece necessario uno sforzo particolare per ripensare l’idea stessa di biblioteca. Non è una crisi di idee: il mondo delle biblioteche è in questo momento fra i più avanzati, produttivi e propositivi nel panorama culturale italiano. E’ una crisi legata invece specificamente alla scarsa capacità di gestione pubblica del settore dei beni e delle attività culturali. Che pure è assolutamente vitale per la crescita del nostro paese.

Decreto cultura: quali sono i punti di forza?

Ho l’impressione che i punti di forza dell’ultimo decreto cultura siano legati soprattutto a questioni certo importanti ma lontane dal mondo della lettura e del libro: la governance del Progetto Pompei, i sostegni al cinema, quelli alle fondazioni lirico-sinfoniche, il turismo… Credo che per libro e lettura serva un provvedimento legislativo specifico: non per rafforzare l’abitudine tutta italiana alla sovrabbondanza normativa, ma perché serve una cornice efficace che permetta e favorisca lo sviluppo, il più possibile libero da lacci burocratici, delle molte iniziative di promozione della lettura che già esistono. E serve credo anche una riforma del Centro per il libro e la lettura, che – se vogliamo farne davvero uno strumento efficace di promozione della lettura e di monitoraggio della situazione del libro e della lettura nel nostro paese – deve poter lavorare con più forza, più autonomia, maggiore disponibilità di fondi, e capacità concrete di fundraising.

Si legge di più si legge di meno.. anche dopo Più Libri più liberi i dati restano un po’ confusi, almeno ai non specialisti

Il dato credo assolutamente chiaro è che si leggono meno libri. Dopo decenni in cui nel nostro paese la propensione alla lettura era progressivamente cresciuta, facendo sperare in una progressiva diminuzione del fortissimo gap esistente rispetto all’Europa centrale e all’Europa del nord, gli ultimi anni hanno visto uno sconfortante peggioramento. Certo, la tendenza a leggere meno libri non è solo italiana ed è legata a una variazione complessiva nella dieta mediatica: si legge moltissimo in digitale e in rete, ma si leggono soprattutto contenuti organizzati in forme diverse dalla forma-libro: dalle mail ai post di un blog, dai messaggi di stato sui social network ai siti informativi e commerciali. Il problema è che la maggior parte dei contenuti digitali e di rete hanno oggi un basso grado di complessità, pur avendo una vasta capacità di copertura ‘orizzontale’ di ambiti diversi. Per questo la forma-libro – e in generale forme di organizzazione complessa dei contenuti – sono tanto importanti anche in digitale. E per questo è importante che l’arricchimento della dieta mediatica non vada a scapito della lettura di libri. In paesi con una più solida abitudine alla lettura e alla frequentazione della forma-libro, ci si può benissimo permettere una lieve diminuzione nel numero di libri letti, a favore di una dieta mediatica più ricca. Ma nel nostro caso quello che succede è che si torna indietro rispetto a dati già assolutamente insoddisfacenti. Oggi, il 56% della popolazione italiana non legge neanche un libro all’anno. Questo dato fotografa, per riprendere il titolo di un bel libro di Giovanni Solimine, un paese “Senza sapere”: incapace cioè di crescere nel campo più importante, quello delle conoscenze e delle competenze. Il costo – non solo sociale ma anche economico – di questo ritardo è altissimo.

Lettura è donna e digitale. Sei d’accordo?

Che lettura sia donna è sempre più vero. Direi anzi, più in generale, che oggi ‘cultura’ è donna: non solo le donne leggono molto di più degli uomini, ma frequentano molto di più musei e teatri. Ovviamente questo dato può essere visto da due prospettive diverse: l’emancipazione femminile è ormai pienamente anche emancipazione culturale, è questo è un grande risultato, ma è assai preoccupante il crescente distacco fra i modelli di riferimento ‘maschili’ offerti dalla società e il mondo della cultura e dei saperi. Su questo tema dovrebbe forse cominciare a riflettere anche il mondo della scuola.

Che la lettura sia digitale è vero se consideriamo la dieta mediatica allargata di cui parlavo poc’anzi, mentre è meno vero se ci riferiamo specificamente alla forma-libro. La quota di mercato degli e-book in Italia è intorno al 5%: in crescita, ma comunque bassa e ancora lontana dai dati del mercato anglosassone. Nel quale peraltro i dati di diffusione degli e-book mostrano oggi una tendenza al rallentamento: l’impressione è che in particolare negli USA la quota del 25%-30% rappresenti una sorta di scalino. Uno scalino su cui si è ora seduti, e che potrà essere superato solo con innovazioni abbastanza radicali sia nei dispositivi di lettura (la divisione delle due ‘famiglie’ rappresentate da e-reader e tablet è indicativa di una situazione ancora lontana dall’aver trovato soluzioni ottimali) sia nell’ambiente digitale e nei software di lettura, sia infine nei modelli commerciali (in particolare, la scomodità di molti meccanismi di protezione e gestione dei diritti rappresenta oggi un notevole disincentivo alla lettura in digitale).

La guerra della distribuzione (Feltrinelli PDE) e la crisi Carocci. Una tua opinione?

Siamo solo agli inizi. La riconfigurazione del mercato editoriale e distributivo passerà nei prossimi anni per tappe che in molti casi saranno traumatiche. Credo non ci si renda ancora ben conto di quanto radicali siano i cambiamenti che ci aspettano. Naturalmente, sarebbe preferibile affrontarli in una situazione generale di miglior salute dell’economia, e non nel mezzo di una crisi economica grave e profonda come quella che stiamo attraversando. Purtroppo, la Carocci non sarà affatto l’unica casa editrice a uscire a pezzi da questa situazione. Sarebbe importante cercare di salvaguardare e aggiornare le competenze e le professionalità esistenti, guidando e governando il cambiamento anziché subirlo. Ma è molto più facile dirlo che farlo, soprattutto in un mondo editoriale forse un po’ più consapevole di due-tre anni fa, ma ancora decisamente troppo legato a modelli in via di inevitabile superamento

Kindle unlimited: effetti possibili? Sarà come lo streaming in ambito musicale?

Le differenze rispetto allo streaming musicale sono parecchie. La più evidente riguarda, al momento, la copertura assai parziale del mercato: in particolare in Italia, la selezione di titoli offerta da Kindle Unlimited è ancora troppo limitata, e il rischio è paradossalmente quello di restringere lo sguardo del lettore, focalizzandolo su una scelta parziale e arbitraria, anziché allargarlo. Inoltre mentre un utente medio di servizi musicali come Spotify ascolta un gran numero di brani musicali diversi, ciascuno dei quali lo assorbe per pochi minuti, il lettore medio legge pochi titoli (come abbiamo visto, troppo pochi titoli), ciascuno dei quali lo assorbe per molto tempo. I due mercati sono dunque assai diversi, e non è affatto detto che quel che funziona per uno funzioni automaticamente anche per l’altro. Detto questo, il modello degli abbonamenti a pacchetto è senz’altro una novità interessante e direi quasi obbligata, che nei prossimi anni tenderà a svilupparsi. È ancora presto per valutarne appieno gli effetti, legati anche a un campo affascinante ma complesso, quello dell’uso dei ‘big data’ in campo editoriale. Un altro aspetto importante è rappresentato dalle funzionalità degli ambienti di lettura legati ad abbonamenti di pacchetto: sapranno stimolare il lato sociale della lettura? E attraverso quali strumenti? Anche in questo caso, per capire un po’ meglio la situazione bisogna credo aspettare ancora qualche anno.

Negli anni del dopoguerra si discuteva molto sull’importanza della lettura, della lotta all’analfabetismo e della formazione degli adulti: si guardava ai paesi scandinavi e alla Gran Bretagna. Oggi si prende atto di una diffusa ignoranza, di analfabetismo funzionale, ma – a parte il progetto In Vitro – quali sono le risposte o i progetti di investimento per superare questa triste situazione?

L’esperienza di “In vitro” è certo positiva e importante, ma non può essere l’unica linea d’azione portata avanti per promuovere la lettura. Per fare di più, credo sia indispensabile partire dall’enorme lavoro che vede oggi impegnate, dal basso, molte biblioteche, molte scuole, molte librerie, molte associazioni culturali che si occupano di promozione della lettura. Serve uno sforzo organizzato per individuare e censire queste buone pratiche; un lavoro che non sia fine a sé stesso ma aiuti a individuare quelle più efficaci e più facilmente riproducibili, al fine di incentivarne la replica e la diffusione. Serve poi incoraggiare tutte le possibili forme di interazione e di collaborazione fra i diversi soggetti interessati alla promozione del libro e della lettura (autori, editori, librerie, biblioteche, scuole…), che finora si sono mossi troppo spesso in ordine sparso e con uno sguardo limitato al proprio ambito tradizionale d’azione. Serve sfruttare meglio le opportunità offerte dal digitale, che costituisce l’orizzonte comunicativo delle giovani generazioni, facilitando l’incontro con il libro e la lettura all’interno dei social network e costruendo formati e contenuti capaci di far passare in maniera progressiva e guidata dall’informazione più semplice a quella più complessa e articolata. Serve – e si tratta a mio avviso del settore forse più importante – lavorare di più sulle scuole, anche attraverso iniziative come la settimana della lettura a scuola, sulle linee della proposta avanzata da Roberto Casati e ripresa con buon successo da alcuni istituti. Iniziative di questo tipo non possono essere estemporanee e costruite dall’alto (le giornate ‘Libriamoci’ promosse da Cepell e MIUR sono nate con ottime intenzioni, ma avevano un po’ questo limite); devono invece nascere da una riflessione e da una progettazione legata alle specifiche situazioni locali. Un rafforzamento del Cepell dovrebbe servire a mio avviso proprio ad allargare il lavoro nelle direzioni che ho appena indicato, direzioni su cui si è già impegnata, in particolare, l’Associazione Forum del libro. E credo sarebbe opportuno anche riprendere il discorso su un piano nazionale per la lettura: un lavoro che era stato avviato tempo fa dal Ministro Bray e che sembra oggi abbandonato.

Oralità e scrittura di Walter Ong: perché leggerlo/rileggerlo oggi?

Si tratta di un libro ancora attualissimo, non solo perché ormai diventato un ‘classico’ (e i classici sono sempre attuali!), o per le bellissime pagine sulle differenze fra le forme di pensiero dell’oralità primaria e quelle del mondo costruito attraverso la scrittura, ma anche e direi soprattutto per la riflessione sul carattere necessariamente tecnologico di ogni forma di scrittura e di lettura. Certo, Oralità e scrittura (che è del 1982) è stato scritto quando la rivoluzione digitale muoveva solo i primi passi. Per Ong, come per McLuhan, i nuovi media, i media ‘elettronici’, sono in primo luogo radio, telefono, registrazioni audio (ancora rappresentate prevalentemente da dischi e nastri magnetici), cinema, televisione. Quando Ong parla di una nuova età di “oralità secondaria” si riferisce in primo luogo a questi media, e non al computer e ai media digitali. La precisazione è importante, perché spesso negli ultimi anni il termine “oralità secondaria” è stato applicato, in maniera del tutto impropria, a forme di scrittura di rete (dalla posta elettronica ai SMS, dai social network ai blog) che, se pur talvolta caratterizzate dall’uso di registri vicini a quelli del linguaggio parlato, rientrano a tutti gli effetti nella categoria della scrittura e non in quella dell’oralità. Al digitale in sé Ong può fare all’epoca solo alcuni accenni, e la mia impressione è che questi accenni – e la direzione di ricerca più feconda da esplorare – non riguardino tanto il tema dell’oralità secondaria, quanto la nascita di una sorta di ‘scrittura secondaria’, che ha con la scrittura primaria e con il mondo della stampa lo stesso rapporto che l’oralità secondaria ha con l’oralità primaria: una sorta di conservazione-superamento, legata alle tre caratteristiche fondamentali che distinguono lo spazio dell’informazione digitale: multimedialità (o meglio, multicodicalità), interattività, ipertestualità. L’interattività consente alla testualità elettronica di superare uno dei limiti che il Socrate del Fedro rimproverava alla scrittura, l’incapacità di ‘rispondere’ all’interlocutore. L’ipertestualità supera il carattere di ‘testo chiuso’ (dal punto di vista sia spaziale sia informativo) proprio della stampa, allargando in maniera impressionante – anche grazie alle potenzialità della rete – l’orizzonte informativo di riferimento. La multicodicalità suggerisce infine un superamento della stessa dicotomia spazio sonoro – spazio visivo, riconducendo nel dominio indubbiamente analitico della digitalizzazione un insieme di potenzialità espressive del tutto nuove. In una prospettiva come quella di Ong, il tema che si pone a questo punto è quello del modo in cui questi cambiamenti potranno influenzare le forme della nostra conoscenza e, in ultima analisi, il nostro rapporto con il mondo: tema, come è facile capire, di grande attualità e di grande rilievo.


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L'autore

Gabriele De Veris
Gabriele De Veris
Gabriele De Veris è nato a Genova e dal 1982 vive a Perugia. Dal 1985 lavora nelle Biblioteche Comunali di Perugia