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Massimo Blanco intervista Gianfranco Rubino

Gianfranco Rubino, già ordinario di letteratura francese all’Università di Roma “Sapienza”, si è occupato soprattutto della narrativa del ’900, alla quale ha dedicato uno studio d’insieme e vari contributi monografici, tra i quali dei volumi su Gide, Sartre, sul rapporto immaginario/spazio narrazione (su cui ha anche diretto delle opere collettive) e numerosi articoli specifici su autori e opere. Ha trattato anche problematiche trasversali fra letteratura, filosofia e critica in un libro su Sartre e Barthes.

A partire dalla metà degli anni Novanta si è anche interessato al romanzo del cosiddetto estremo contemporaneo, a proposito del quale, oltre a diversi articoli, ha pubblicato una monografia su Daeninckx e curato un profilo storico nel 2012 nonché molteplici opere collettanee sulla presenza della storia nella narrativa francese dell’ultimo trentennio.

Ha svolto un’intensa attività di coordinamento di ricerche, nazionali e internazionali, impegnandosi per favorire l’aggregazione di studiosi, soprattutto giovani, intorno a linee di indagine innovative. Si ricorda in tal senso l’esperienza del Larc (Laboratorio di ricerche sul contemporaneo).

Prof. Rubino, lei ha curato di recente, con Dominique Viart, due volumi sulla presenza della Storia nel romanzo francese contemporaneo (Le Roman français contemporain face à l’histoire,. Thèmes et formes, a cura di G. Rubino e D. Viart, Macerata, Quodlibet, 2014 e Le Sujet et l’Histoire dans le roman français contemporain. Écrivains en dialogue, a cura di G. Rubino, Macerata, Quodlibet, 2014). Nel primo sono anche presenti due suoi saggi, uno dei quali percorre, con lucidità e autorevolezza, il rapporto tra storia e narrazione nella più recente narrativa francese. Negli ultimi anni lei si è spesso interrogato sulle forme narrative ponendo attenzione alle costanti che emergono nel panorama francese degli ultimi tre decenni. Questo doppio volume su romanzo e storia è un punto di arrivo o un punto di partenza?

Si tratta per così dire di un punto di arrivo in quanto completa una serie comprendente altre due opere collettive precedenti su questo rapporto fra Storia e romanzo francese dell’ultimo trentennio. È stata un’esperienza intensa, condotta con il gruppo di ricerca del Larc (Laboratorio di ricerche sul contemporaneo), che si è giovato volta a volta della collaborazione con altri gruppi italiani e francesi. Per quanto mi riguarda, rappresenta la tappa più recente di un ciclo di studi sulla letteratura francese dell’estremo contemporaneo, da me intrapreso negli ultimi anni del Novecento.

Che rapporto esiste tra i suoi ultimi studi, orientati sull’estremo contemporaneo, e gli studi condotti in passato sulla narrativa del Novecento?

In precedenza, mi ero occupato, oltre che di critica, soprattutto di narrativa del Ventesimo secolo. Ho praticato infatti, in funzione della partecipazione a una storia letteraria, l’esperienza di un approccio complessivo. Contestualmente mi sono interessato dal punto di vista monografico ad André Gide e a Jean-Paul Sartre. Questa visione d’insieme è rimasta come un abito mentale che mi ha portato poi a vedere i fenomeni nelle loro interrelazioni, anche diacroniche. In quest’ottica mi si è posto il problema di cosa accade in Francia dopo quella che è stata o è sembrata, fra la metà degli anni Cinquanta e la fine degli anni Settanta, una crisi del romanzo e della rappresentazione narrativa. Mi sono cioè interrogato sugli esiti della rottura delle consuetudini narrative operata dal Nouveau Roman. Il rapporto con la letteratura contemporanea riveste un carattere più problematico rispetto a quello con epoche letterarie del passato, maggiormente sistematizzato e rispondente a un canone.

Le sue monografie su Gide e su Sartre sono nate accompagnate da una visione diacronica del Romanzo del Novecento. Ha ritenuto che Gide e Sartre fossero particolarmente rappresentativi di alcune costanti del Romanzo francese del Novecento, o altre ragioni le hanno suggerito di dedicare la sua attenzione a questi due autori?

Ci sono state anche motivazioni occasionali. Ma il rapporto con questi autori si è inquadrato altresì nel più ampio contesto prima menzionato. Mi sono imbattuto in altri importanti scrittori della prima metà del Novecento che si sono posti dei problemi esistenziali, ontologici o etici, soprattutto nel periodo tra le due guerre. Si tratta di una letteratura della condizione umana che pone interrogativi capitali.

Nella letteratura dell’“estremo contemporaneo”, si conservano degli interrogativi, ne sorgono di nuovi?

Certe domande e certe impostazioni scompaiono già con il Nouveau Roman. Con l’esaurimento di quest’ultima esperienza cambia anche il tipo di obiettivi degli scrittori. Semplificando molto, il problema diventa quello di tornare a raccontare, ad abbozzare dei personaggi, a tener conto della realtà referenziale. Non si tratta però di ritorni meccanici alla narrativa tradizionale. Né sussistono affinità con la letteratura precedente al Nouveau Roman, nel senso che gli interrogativi frontali posti dai romanzieri della prima metà del Novecento diventano schiaccianti per una letteratura che non vuole e non può più proporsi come “summa” esistenziale e sociale.

Può descrivere il ritorno a forme precedenti nella narrativa francese contemporanea? Si tratta di un recupero acritico di moduli già sperimentati o le forme narrative mutano in modo significativo?

A partire dagli anni Ottanta si delinea, come dicevo, un recupero critico di alcune componenti della letteratura precedente al Nouveau Roman; in particolare, la pratica narrativa non si rassegna a schivare quel reale che l’Avanguardia aveva considerato non rappresentabile. Nell’ambito di questo rinnovato interesse, emerge progressivamente la tematizzazione di episodi ed eventi della Storia, del Novecento soprattutto, ma anche di secoli precedenti.

Qual è il ruolo della memoria nella narrativa contemporanea?

La memoria funge da motore indispensabile della narrativa che evoca il passato a partire da un presente esplicitamente menzionato. Fornisce per giunta quella dimensione soggettiva del vissuto che manca al racconto dello storico. La memoria diretta è basilare laddove l’epoca ricordata sia relativamente recente, mentre per l’evocazione di periodi più lontani si impone anche la mediazione di documenti e tracce molteplici.

Nel romanzo contemporaneo francese c’è dunque uno stretto rapporto tra scrittura e memoria. Quali sono le relazioni tra memoria, documento e soggetto?

Distinguerei quindi fra una memoria iscritta, materiale, documentaria e una personale, psichica, inerente anche alla problematica del testimone. L’una è piuttosto collettiva e culturale, l’altra individuale, ed entrambe rimandano anche alla sfera del biografico e dell’autobiografico, molto coltivata oggi. Per loro tramite il soggetto, sospeso in un presente labile, cerca di definire una propria archeologia e genealogia rivolgendo uno sguardo retrospettivo ai suoi antecedenti personali e ambientali. Comunque il rapporto al passato è solo una tendenza, sia pure importante. Esiste un’ampia produzione ambientata esclusivamente nel presente della società attuale.

La recente produzione narrativa francese intrattiene un qualche rapporto con i media?

I rapporti non mancano, a vari livelli e con varie modalità. I riferimenti al cinema sono molteplici, tanto come citazioni che come suggestioni tematiche e tecniche, soprattutto in scrittori come Jean Echenoz, Tanguy Viel, Christine Montalbetti, Pierre Alferi. Una consapevolezza della ubiquità della sfera mediatica appare indubbia. Pure evidente risulta il fascino della fotografia, anche soltanto descritta in chiave di ekfrasis. Altro esempio: la pratica della cosiddetta non fiction può comportare raccordi e prossimità con inchieste giornalistiche. Viene da pensare all’attenzione di tanti scrittori verso il fait divers, il fatto di cronaca.

Detto questo, mi pare tuttavia che la narrativa attuale sia basata soprattutto su una esplicitazione del tessuto discorsivo. Quindi mantiene una sua specificità di codice espressivo, quanto meno rispetto ai media di tipo visivo. Per quanto riguarda poi in particolare il romanzo attinente alla dimensione storica, accade sovente che lungi dal comportare, come nell’Ottocento e in parte anche nel Novecento, un’immersione diretta in un passato ricostruito, esso interroghi il passato più che raccontarlo. La funzione della parola e della narrazione prevale allora sull’illusione mimetica.

Ma il rapporto con i media va oltre l’influenza sulla creazione per investire la sfera della trasmissione e della circolazione. Penso alle comunità di lettori su internet, del tipo di Babelio, prodighe di una gamma di valutazioni che non mancano di interessare gli editori e di favorire la fortuna di certe opere. Si configura così un’interazione sperimentale ricca di potenzialità imprevedibili.

A quali periodi storici attinge la narrativa francese contemporanea?

Si deve distinguere tra la storia recente e quella più remota. Per quest’ultima, l’interrogazione dei secoli passati, spinta fino all’antichità e addirittura alla preistoria, mira a confrontare le culture e per certi versi a individuare ciò che siamo a partire dalla constatazione di ciò che non siamo più. La storia più recente ha lasciato tracce emotivamente più intense che chiamano in causa la fine delle utopie del Novecento. Questa attenzione per il passato può rapportarsi in effetti, per dirla con lo storico François Hartog, all’esaurimento di un regime di storicità basato sulla valorizzazione dell’avvenire. Alcune situazioni di oggi trovano le loro radici in fenomeni della prima e seconda metà del Novecento: basti pensare alla decolonizzazione e alle problematiche di integrazione degli immigrati magrebini. Appare poi tuttora tormentoso e vivido il ricordo dell’occupazione. Per esempio, l’opera di Patrick Modiano Dora Bruder è basata sul tentativo dell’autore stesso di ricostruire gli ultimi momenti di libertà di una ragazzetta ebrea nella Parigi occupata. A partire da un trafiletto di giornale del 1941 da lui letto per caso, Modiano indaga sulla fuga della ragazza dalla famiglia e dal Collegio. Raccoglie e consulta verbali di polizia, circolari, registri di scuola e altri documenti. Cerca poi di immaginare i movimenti della ragazza nei drammatici giorni del giugno 1942, prima dell’imprigionamento e della deportazione.

Per quanto riferisce su Modiano, può essere plausibile pensare che la narrativa francese attuale riprenda in parte il genere poliziesco che attraversa la narrativa tra Ottocento e Novecento?

A partire dagli anni Ottanta il romanzo poliziesco, con cui comunque Modiano non ha molto da spartire, colloca spesso le chiavi esplicative di certi enigmi criminali nel passato storico collettivo. Non è casuale che alcuni degli autori che esordiscono in quel periodo si rivolgano alla storia e alla politica anche a seguito dell’esperienza del ’68 e della susseguente sconfitta della prospettiva utopica.

Quando e con quale metodo si è accostato allo studio e poi all’analisi dell’estremo contemporaneo?

I miei primi approcci da lettore allo studio dell’estremo contemporaneo francese risalgono alla metà degli anni Novanta. Come dicevo, la curiosità di capire che cosa accadesse dopo l’eclissi dell’avanguardia mi aveva portato a documentarmi su autori e opere che mi sembravano a prima vista interessanti. A questo fine mi sono aiutato all’epoca con le indicazioni della critica giornalistica francese, dato che gli universitari, con pochissime eccezioni come quella di Dominique Viart, non si occupavano ancora di fenomeni così recenti. Procedendo induttivamente, ho cominciato a percepire delle individualità d’autore, a cogliere dei raccordi, a constatare degli orientamenti. Tutti fenomeni in corso di sviluppo, che ho potuto seguire nel loro consolidarsi.

Quando poi ho cercato di tracciare da critico e storico una panoramica sull’insieme del fenomeno, mi sono confrontato con problematiche comuni a chiunque proceda all’elaborazione di una storia letteraria, con in più delle specificità proprie dell’approccio alla contemporaneità. Stabilite delle soglie cronologiche entro le quali delimitare il corpus (e non è facile), ho poi mirato a individuare convergenze tematiche, affinità di genere, tendenze formali, allo scopo di articolare il campo, di configurare degli orientamenti, di abbozzare dei raggruppamenti. Ma naturalmente ho dovuto pormi il problema di non reificare delle categorie elastiche e provvisorie, e soprattutto mi è stato indispensabile non comprimere le individualità di autori e opere entro generalizzazioni forzate e vicinanze artificiose. Ed è indubbio fra l’altro che dal punto di vista qualitativo, sempre difficile da cogliere e attribuire, sia opportuno valorizzare ciò che sfugge agli schemi comuni. Insomma, occorre salvaguardare degli equilibri, tanto più delicati in quanto si tratta di studiare fenomeni in fieri: le traiettorie degli scrittori, per lo più viventi, non ubbidiscono a direzioni lineari e riservano spesso scarti imprevedibili, che smentiscono quanto si poteva credere acquisito. Sono, queste ultime, peculiarità implicate dall’approccio alla letteratura contemporanea, caratterizzata da una sua mobilità intrinseca.

Nei casi in cui mi sono occupato di singoli autori o opere, la strategia critica in sé per sé non differiva sostanzialmente da quelle adoperate per testi e scrittori del passato. Sono sovente le opere stesse a suggerire la prospettiva più vantaggiosa per delucidarne le valenze semantiche o formali.

Quali metodi, studiosi o letture hanno contribuito a determinare le sue scelte critiche?

Distinguerei i periodi e le angolazioni. Sono stato allievo di Giovanni Macchia, e ne ho potuto recepire con ammirazione il respiro di orizzonti e insieme l’acume critico, che accomunavano lo storico al saggista. Si tratta di una personalità che ho compreso sempre meglio con il passare degli anni. Ma, ovviamente del tutto inimitabile. Negli anni in cui ho cominciato a intraprendere una mia attività critica, sono stato molto affascinato da quella che allora fu chiamata “Nouvelle Critique”, e in particolare dalla cosiddetta scuola di Ginevra, con particolare riferimento a Jean-Pierre Richard, Jean Starobinski e Georges Poulet, che delineavano con stupenda maestria i percorsi dell’immaginario, il rapporto di autori e opere con lo spazio e il tempo. Nella mia monografia su Gide, ho tenuto presente quella lezione. Ma devo dire che anche le ricerche del periodo strutturalista, oggi dai più rinnegate con qualche ingenerosità, mi sembravano estremamente utili. In particolare la narratologia costituiva un supporto prezioso, anche didatticamente, per mettere in luce il funzionamento delle opere, la loro tessitura. In quest’ottica trovo i testi di Gérard Genette tuttora indispensabili, non come unica chiave di esegesi ma come parte dell’attrezzatura descrittiva, suscettibile di cooperare all’interpretazione anche sul piano del senso. Potrei poi citare altri punti di riferimento, ma mi limiterò a menzionare un testo di altro genere, che mi ha permesso di capire i rapporti fra i personaggi dei romanzi e tante altre cose, anche al di fuori della letteratura: parlo di Mensonge romantique et vérité romanesque di René Girard.

Se queste letture mi hanno nutrito durante il periodo in cui mi sono occupato dei narratori del Novecento, ce ne sono state molte altre, più spiccatamente monografiche, alle quali devo molto. Ma il discorso si allargherebbe troppo. Per quanto riguarda i punti di riferimento metodologici che hanno fatto da sostegno al mio approccio all’estremo contemporaneo, devo dire che ho cercato di praticare un sostanziale empirismo, senza trascurare, quando pertinenti, nessuna delle acquisizioni conseguite in altre direzioni, e raccogliendo suggerimenti anche in ulteriori discipline, come a proposito del rapporto romanzo/storia (penso a uno studioso come François Hartog).

Quali rapporti esistono in questi ultimi anni tra visione monografica e panorami critici complessivi?

In Italia come in Francia non mancano interventi monografici e inquadramenti generali, questi ultimi spesso a carattere collettivo. Il ritorno (lucido, non meccanico) alla storia letteraria si è manifestato tramite molteplici imprese (in Italia, con la storia europea della letteratura francese diretta da Lionello Sozzi o con i volumi di Istituzioni di letteratura francese a cura del Seminario di filologia francese pubblicati da Laterza). Numerose opere di tipo trasversale provengono da ricerche di équipes dal respiro nazionale e internazionale. In Francia accade lo stesso, con intensità accresciuta. Per quanto riguarda poi la letteratura contemporanea, è da ricordare in Italia la duplice attività, monografica e trasversale, delle unità di ricerca di Bari, Genova, Roma Sapienza. Per quello che concerne la Francia, appare esemplare la duplice impostazione di storico e critico di Dominique Viart, ma anche quella di Dominique Rabaté o Bruno Blanckeman.

Viceversa non appare oggi un interscambio fra teoria (un po’ in disgrazia) e critica.

A che serve la letteratura?

Mi guarderò accuratamente dal rispondere, tanto più che la nozione di letteratura varia nei secoli ed è, in sé, piuttosto fluttuante e onnicomprensiva anche sincronicamente. Suppongo che forse potremmo capirne la funzione se fossimo un giorno confrontati alla sua sparizione integrale (e pure a quella dei surrogati). Ma bisognerebbe interrogarsi anche sull’immaginario…

Il critico esplora parte della propria vita e della propria personalità nella sua attività di studio?

Penso proprio di sì. Certo, c’è una parte molto cospicua di casualità e di contingenza nelle scelte, specialmente quando sono dettate da commissioni esterne. Ma l’individuazione degli autori, delle opere, e/o dei temi, financo degli aspetti linguistici e formali risponde a istanze in buona parte soggettive e personali, anche se non materialmente autobiografiche.

Che cosa si è conservato e cosa invece si è perso oggi dei metodi emersi negli ultimi decenni nell’ambito della Francesistica?

Non viviamo in generale un periodo propizio né alla poetica né alla modellizzazione critica. Certo, in Italia spicca ancora, per fare un esempio, la poderosa casistica degli oggetti desueti di Francesco Orlando, senza dimenticare le esemplari esplorazioni testuali di Stefano Agosti. In un ambito scientifico istituzionalmente più ampio e specifico, storico, teorico e comparatistico, si segnala l’importante riflessione di Guido Mazzoni sul genere romanzo.Non compaiono però nuove ipotesi di griglie descrittive e insieme operative, neppure in Francia. Né va dimenticato il discredito con cui oggi si tende a guardare allo strutturalismo, anche in funzione di un recupero della storia letteraria. Ma va ricordata la buona salute della filologia, arricchita dalle incidenze dell’informatica. D’altronde la francesistica italiana ha sempre fatto esercizio di libertà nel suo approccio ai testi, come dimostra tuttora la pluralità dei suoi apporti, che in questa sede sarebbe impossibile riassumere. Se la sperimentazione metodologica ha cessato di costituire un obiettivo primario, è anche vero che nella pratica esegetica corrente, ivi compresa quella riguardante l’estremo contemporaneo, confluiscono efficacemente, e senza esclusioni dogmatiche, contributi provenienti da metodi vari dell’ultimo quarantennio, nessuno dei quali appare veramente inutilizzabile. In definitiva un eclettismo di buon senso permette di non buttare niente, purché serva a capire meglio i fenomeni testuali. In Francia come in Italia.

Quali sono i criteri di selezione della traduzione in Italia di autori dell’estremo contemporaneo francese?

Per dire la verità, bisognerebbe chiederlo agli editori, perché dall’esterno è difficile capire la logica delle scelte e delle esclusioni. Di fatto si traducono parecchi scrittori francesi, ma spesso da parte di editori di diffusione limitata e, credo, con risultati alterni di mercato. Adesso l’eco della nuova narrativa francese si è accentuata, come mostra un’attenzione giornalistica meno sporadica e distratta che non nel passato. Alcuni generi incontrano successo grazie a tendenze in corso: basti pensare alla forza della non fiction e del biografico, che ha veicolato presso Adelphi la riscoperta di Jean Echenoz con i suoi libri su Ravel, Zatopek, Tesla, nonché quella di Emmanuel Carrère, da tempo avviato su questa strada con L’Adversaire (ripescato da Adelphi dopo l’edizione einaudiana), Un Roman russe, D’Autres vies que la mienne, Limonov, Le Royaume. Spero che questi esiti incoraggino maggiore audacia da parte degli editori maggiori, dei quali si può peraltro capire la cautela. Resta comunque una fioritura vivace e variata di nuovi scrittori, e c’è da auspicare che sinergie intellettuali e critiche concorrano da varie parti ad alimentare le traduzioni di testi oggettivamente attraenti.


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L'autore

Massimo Blanco
Massimo Blanco
Massimo Blanco insegna Letteratura francese presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma “La Sapienza”. I suoi interessi di ricerca vertono sulla poesia francese del XIX secolo (Baudelaire e Mallarmé) e del XX secolo (Paul Valéry, il Surrealismo, la poesia della seconda metà del Novecento). Ha pubblicato numerosi saggi in rivista e ha curato un’edizione delle Poesie di Mallarmé (2014). Tra le sue monografie si ricordano: Cerchi d’acqua. Materiali per Paul Valéry (2003), Vedere il pensiero. Breton, Artaud, Tzara (2010), Corpi nell’intervallo. Da Mallarmé a du Bouchet (2012), Leggere Baudelaire (2013); La poesia operaia in Francia (2016); Edipo non deve nascere. Lettura delle Poésies di Mallarmé (2016). Dal 2011 dirige la rivista on-line «Laboratorio critico».