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Dalla kalokagathìa greca a Michelangelo e al Manierismo italiano: a Tokyo una grande mostra sugli ideali di bellezza maschile

Nel ritratto e nella scultura classici del Giappone, legati alla rappresentazione di monaci, personaggi storici, o divinità buddhiste o shintoiste, le figure umane sono mostrate con vestiti che ne connotano la posizione sociale o politico-religiosa. Fino al contatto con la cultura occidentale, nudo e indagine estetica del corpo umano non erano soggetti da ‘arte ufficiale’, ed erano piuttosto relegati ad ambiti popolari e a temi erotici come nei noti shunga, ovvero le stampe che rappresentavano i luoghi e le pratiche di piacere di Yoshiwara (Edo). Se Yukio Mishima nelle Confessioni di una maschera narra la propria iniziazione al culto del corpo virile a seguito della visione del san Sebastiano di Guido Reni, che da ragazzo ammirava di nascosto in un catalogo di arte, lo shock da nudo europeo ha ancora oggi riverberi non insignificanti: ho personalmente conosciuto un pensionato giapponese che, di ritorno dall’Italia, mi ha mostrato le foto della replica del David di Michelangelo di Piazza della Signoria di Firenze, chiedendomi come fosse ammissibile esporre nella più importante piazza pubblica cittadina la scultura di un uomo nudo, pene incluso.

La mostra Michelangelo and the Ideal Body, che si terrà fino al 24 settembre presso il Museo Nazionale di Arte Occidentale di Tokyo (The National Museum of Western Art, Ueno), è stata concepita proprio per indagare i “perché” e i “percome” del nudo virile nell’arte classica occidentale, e quindi illustrare in che modo il corpo sia divenuto elemento importante di rappresentazione artistica anche in contesti non erotici. La mostra, curata da Ludovica Sebregondi e Takashi Iizuka, e patrocinata, oltre che dal Museo, da NHK, Yomiuri Shimbun e Mondo Mostre, presenta un totale di 70 opere fra dipinti, sculture, ceramiche, terrecotte invetriate, gioielli, anelli, medaglie, cammei, xilografie, ecc., che hanno come elemento comune la rappresentazione di nudi virili ‘ideali’. Grazie ai numerosi prestatori italiani sono arrivate a Tokyo opere di altissimo valore, alcune delle quali valgono da sole il prezzo del biglietto d’ingresso alla mostra.

Nelle sezioni sono prevalenti raggruppamenti di tipo tematico. La prima, “The Ages of Man: canons of Beauty from Antiquity to the Renaissance” (cat. 1-41), è la più ampia e complessa, dovendo definire l’importanza del concetto in voga nella Grecia classica di kalokagathìa (l’ideale di perfezione fisica e morale), e il canone estetico di Policleto, ovvero la serie di proporzioni fra le parti del corpo che lo scultore dovrebbe seguire per rappresentare un corpo armonico. Si comincia con una sezione dedicata ai bambini, non contemplati dal canone: rilievi marmorei con putti del I secolo d. C., provenienti dal Museo Archeologico Nazionale di Venezia (cat. 1 e 2) si affiancano ad altre opere antiche, come il bronzo dell’“Ercole che strozza i serpenti” del Museo Archeologico Nazionale di Firenze (cat. 3), e rinascimentali, fra le quali un “Putto con ghirlanda” di Andrea del Castagno (affresco staccato del 1448-49, cat. 5). Bellissimo il “Gesù bambino benedicente” in stucco policromo, copia da Desiderio da Settignano, del Museo Bardini di Firenze (cat. 8). Rappresentazioni del corpo adolescente si vedono ad es. nell’affresco staccato raffigurante “Achille e Chirone” e proveniente dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli (cat. 12).

 

Una stanza è dedicata al ritratto, con una testa virile in marmo del II secolo dal Museo Archeologico di Firenze (cat. 15), che si affianca alla splendida “Effige ideale di una giovane” in terracotta invetriata di Andrea della Robbia, dal Museo Bandini di Fiesole (cat. 16), e alla marmorea testa di Bacco di Baccio Bandinelli dalla Collezione Pratesi (cat. 18).

Seguono sculture e ceramiche che rappresentano corpi di giovani atleti, che sfruttano il movimento diagonale dato dalla tecnica del contrapposto per dare dinamismo a figure di giovani solo apparentemente a riposo. Fra le opere ricordo l’Atleta “tipo Amlung” in marmo del I secolo (cat. 19) e il Cratere attico a figure rosse raffigurante la Centauromachia (cat. 21), entrambi del Museo Archeologico di Firenze, e lo “Scudiero reggistemma” in bronzo del Museo Civico Amedeo Lia di La Spezia, attribuito a un seguace romano del Verrocchio (cat. 23)

Splendide le stanze dedicate agli dei e agli eroi, che ben illustrano il passaggio da un’idea del corpo dell’eroe o del dio della Grecia classica, più idealizzata e meno individualizzata, e con volti di giovanile bellezza che possono indifferentemente rappresentare dei o dee, alla fase ellenistica, più ricca di movimento, dettagli e carica emotiva. Le opere rinascimentali affiancate a quelle antiche dimostrano poi puntuali riprese tematiche, espressive e plastiche (il contrapposto, ovviamente, ma anche tronchi, pietre e altre soluzioni statiche per dare stabilità alle sculture più complesse, delle quali si avvarrà Michelangelo). Fra le opere esposte sono presenti il “Giove in maestà” in bronzo del Museo Archeologico di Firenze (cat. 28), il “Nettuno” di Jacopo Sansovino del Museo Bardini di Firenze (cat. 29), il “Nettuno” di Giovan Angelo da Montorsoli della Collezione Luzzetti (cat. 30), il bronzeo “Hypnos” dell’Archeologico di Firenze (cat. 31), gli affreschi di Ercolano “Teseo Liberatore” e “Eracle che riconosce Telefo”, provenienti dal Museo Archeologico di Napoli (cat. 32-33).

Molto belli anche i pezzi del Museo Etrusco di Villa Giulia di Roma come la Kylix di Oltos del 510 a. C. circa, raffigurante “Ercole e l’Idra” (cat. 36), e la Kalpis di Cleofrade con “Ercole e il Leone Nemeo” del 490 a. C. (cat. 37), da comparare ad esempio alle rinascimentali  placche bronzee del Moderno (Galeazzo Mondella?) raffiguranti le fatiche di Ercole (circa 1500 d. C., cat. 38-40).

La seconda sezione, «Michelangelo: Ideals of Male Beauty» (cat. 42-58), è incentrata in modo più esplicito sul recupero della tradizione antica nel corso del Rinascimento, con attenzione particolare per gli scavi e le riscoperte che a partire dal Quattrocento portarono alla luce capolavori come l’Apollo Belvedere e il Laocoonte.

Dell’Apollo Belvedere sono esposte l’incisione di Hendrik Goltzius del 1592 (cat. 56) e una replica di area veneta di proprietà del Museo Stibbert (cat. 55), mentre del Laocoonte è visibile la raffigurazione xilografica di Marco da Ravenna del 1520-1525 (cat. 57), che certo contribuì a divulgare la conoscenza del gruppo marmoreo, e la versione scolpita nel 1584 da Vincenzo de’ Rossi (cat. 58), che, soprattutto a confronto con copie più fedeli come quella di Baccio Bandineli (non in mostra) si connota non solo per le riprese plastiche e strutturali dell’originale, ma anche per la volontà di discostarsene, divenendo così, manieristicamente, un’opera ispirata al Laocoonte antico piuttosto che una sua mera copia.

Questa sezione ospita, inoltre, le due opere di Michelangelo, ovvero il “San Giovannino” di Úbeda (1495-1496, proveniente dalla Cappella del Salvatore di Úbeda, Spagna, e recentemente restaurato dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze per rimediare ai danni subiti durante la Guerra Civile spagnola, cat. 49) e il “David-Apollo” del Bargello di Firenze del 1530 (cat. 48), che danno il titolo alla mostra.

 

I due capolavori del maestro fiorentino affermano la sua importanza stilistica nella ridefinizione dei canoni di bellezza moderni, mostrando anche la varietà diacronica della sua sperimentazione, che parte dal contrapposto e dalle tecniche di appoggio e scarico del peso della scultura ellenistica per poi confrontarsi con le limitazioni della materia, traendone ispirazione per una concezione del corpo umano che sembra quasi ‘sbocciare’ dalla pietra lavorata. L’aver ottenuto il prestito di questi due capolavori è in sé un grande evento, e sia i pannelli in mostra che le schede a catalogo sottolineano che le due opere, un tempo nella collezione di Cosimo I dei Medici (attorno al 1537), si ritrovano ora riunite per la prima volta dopo quasi cinquecento anni. Le due sculture, tuttavia, sono relativamente isolate, e non solo come collocazione nel percorso espositivo: non vi sono infatti altre opere originali di Michelangelo, neanche disegni o bozzetti, e solo il bronzo del “Ladro crocifisso” attribuito a Zaccaria da Volterra del Museo Bardini (cat. 51), uno “Studio di testa virile” di Battista Franco dal Museo Horne (cat. 52), e la xilografia dell’“Uomo crocifisso” di Melchior Lorch (cat. 53) possono essere indicati come sicure riprese da modelli del Maestro fiorentino. Altre opere, come il “Nudo maschile” del Giambologna del Museo Horne (cat. 54) sono invece direttamente ispirate a opere dell’antichità. Manca, quindi, un numero sufficiente di opere di Michelangelo, o di opere alle sue ispirate, che possano connotare questa sezione come ‘michelangiolesca’, e non piuttosto come “neo-classica” in senso rinascimentale. È infatti illustrato benissimo lo stupore e l’ammirazione che gli artisti del Cinquecento avevano per le sculture che via via emergevano durante gli scavi di ville antiche, e le copie e riproduzioni di queste sale ben documentano il trionfo cinquecentesco e manierista di tecniche, stilemi e ideologie della statuaria antica.

La terza e ultima sezione, «Michelangelo: Images of a Legend» (cat. 59-70), è dedicata a trattati d’arte, medaglie, anelli, e in generale immagini raffiguranti Michelangelo, a partire dall’edizione giuntina delle Vite vasariane (cat. 59) e dalla seconda edizione della Vita di Michelangelo Buonarroti di Ascanio Condivi (cat. 60). Piuttosto scollegata dalle sezioni precedenti, racconta la trasfigurazione dell’uomo Michelangelo in simbolo quasi mitologico di ispirazione artistica.

Il catalogo della mostra (Michelangelo and the Ideal Body, a cura di Ludovica Segregondi e Takashi Iizuka, Tokyo, The National Museum of Western Art, 2018, 212 in bianco e nero e colori su carta patinata), si presenta come un catalogo ‘all’italiana’, ovvero ogni opera in mostra è riprodotta a tutta pagina e affiancata da una scheda (solo in lingua giapponese) che ne fornisce anche una concisa bibliografia per possibili approfondimenti. Saggi di approfondimento a cura di Ludovica Sebregondi (“Man in Michelangelo, Michelangelo the Man”, pp. 187-190), Takashi Iizuka (“The Nascent Period of the Capitoline Hill’s Ancient Sculpture Collection”, pp. 191-198) e Maria Cristina Improta (“The ‘Restitution’ of the San Giovannino of Úbeda”, pp. 199-201), nonché i commentari alle diverse sezioni (pp. 202-205) sono presenti sia in versione giapponese che inglese.

Nel complesso la mostra è ben concepita, e l’idea di affiancare nella prima e seconda sezione i pezzi esposti non per continuità storica o sulla base di tipologie artistiche, ma secondo una prospettiva tematica, favorendo quindi comparazioni diacroniche e in parte antropologiche, si rileva a mio avviso molto stimolante anche per addetti ai lavori. Il passaggio dalla prima alla seconda sezione ben evidenzia gli elementi di continuità e quelli di discontinuità dall’antichità all’arte rinascimentale. Il tutto è accompagnato da esaurienti pannelli multilingua che illustrano le opere esposte, ed è possibile, come sempre nei più importanti musei nazionali giapponesi, noleggiare un’audioguida (anche in inglese) per approfondire la conoscenza dei pezzi più importanti.

Tuttavia, malgrado una impalcatura scientifica solida, e un argomento importante e stimolante, molti miei conoscenti giapponesi che hanno visitato la mostra se ne sono detti delusi. Fra questi una studiosa di archeologia pompeiana, che, credevo, sarebbe stata entusiasta di vedere gli affreschi antichi esposti. Il motivo della delusione, o quanto meno della confusione, è piuttosto semplice: la mostra da me descritta non è, evidentemente, una mostra su Michelangelo. Si tratta, piuttosto, di una mostra dedicata alla rappresentazione del corpo virile nell’arte occidentale, nella quale compaiono anche due prestigiose opere di Michelangelo. In questo senso anche la terza sezione appare aggiunta non in quanto elemento funzionale a un discorso complessivo, ma per aumentare il peso dei riferimenti al Buonarroti.

Giorgio Starace, Ambasciatore d’Italia in Giappone, nel suo Messaggio in principio di catalogo esordisce scrivendo di essere onorato di poter celebrare la mostra “Ideali di bellezza maschile dalla Grecia a Michelangelo”, che più che una traduzione del titolo inglese o giapponese sembrerebbe un diverso titolo, peraltro più accurato di quello ufficiale. Michelangelo infatti ha nel percorso espositivo un ruolo importante, ma non ne è il punto focale. Questione di marketing, probabilmente: il nome (verrebbe da dire il nume) di Michelangelo Buonarroti ha potenzialità commerciali ben maggiori di qualsiasi altra intitolazione. Per rendersi conto del ‘rumore’ pubblicitario creato attorno al ‘brand’ Michelangelo basterà dare un’occhiata ai lunghi articoli relativi all’evento su riviste giapponesi di argomento storico-artistico, o ai volantini, alle recensioni su giornali on-line, al video introduttivo della mostra, a tutti i libri in vendita nella libreria del museo, nonché agli immancabili ‘ricordini’ quali magneti figurine quadernetti cioccolatini e prestigiosi biscotti a forma del David-Apollo, che immagino squisiti pur promettendomi di non assaggiarne neanche sotto tortura.

Ovviamente non c’è niente di male nell’affiancare a un evento culturale una serie di iniziative commerciali parallele, anche quando dissacranti (ché voglio interpretare in chiave comica il poster, in vendita e pure costoso, di un noto wrestler giapponese atteggiato nella posa del David-Apollo, che come operazione commerciale mi ha ricordato la raffinatezza della “Whistler’s Sister” del film di Mr. Bean). E non c’è niente di male nel pubblicizzare una mostra che certo ha avuto un costo considerevole: in questo senso l’apparato pubblicitario ha avuto successo, e proprio per il fascino del nome di Michelangelo tanti visitatori sono accorsi a ingrossare la fila di attesa fuori dal Museo Nazionale di Arte Occidentale. Ma non ritengo legittimo esagerare il ruolo dell’artista più famoso a scapito di altre presenze altrettanto degne, creando così aspettative da mostra monografica che rimarranno necessariamente deluse.

Al di là di tutto ciò la mostra è e rimane bella e significativa: sia per il pubblico giapponese che potrà (forse) iniziare a capire “perché” il pene del David di Michelangelo sia mostrato senza troppi pudori di fronte a Palazzo Vecchio, sia per un pubblico italiano che, pur già a conoscenza di alcune delle opere esposte, potrà però sfruttare gli accostamenti proposti per prendere consapevolezza con i propri occhi di un’evoluzione artistica e antropologica più data per scontata che veramente compresa.

 

MICHELANGELO and the Ideal Body

The National Museum of Western Art, Tokyo

19 giugno – 24 settembre 2018

Organizzatori:

The National Museum of Western Art,

NHK

NHK Promotions Inc.

The Yomiuri Shimbun

link al sito della mostra: http://www.nmwa.go.jp/en/exhibitions/2018michelangelo.html

documento pdf con elenco completo delle opere in mostra: http://www.nmwa.go.jp/jp/exhibitions/pdf/2018michelangelo_list.pdf