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Inma Otero intervista Henrique Monteagudo

Henrique Monteagudo (Esteiro, A Coruña, 1959) è uno tra i più rinomati filologi galeghi, che combina la docenza presso l’Università di Santiago de Compostela con la ricerca in vari campi, tra cui la sociolinguistica, la storia della lingua, la glottopolitica e la letteratura medievale. Occupa altresì diversi incarichi in istituzioni di rilievo, quali il Consello da Cultura Galega e la Real Academia Galega, di cui attualmente è il segretario, oltre ad essere impegnato in comitati editoriali di riviste culturali quali Grial o come editore di classici della letteratura galega. Per questo motivo e per le sue numerose pubblicazioni, Monteagudo è uno dei punti di riferimento degli studi linguistici galeghi.

Entrevista a Monteagudo en versión orixinal

Fra tutte le attività a cui si è dedicato in tutti questi anni – ricercatore, docente e ruolo istituzionale – qual è quella con cui maggiormente si identifica? Quale di esse può apportare un maggiore contributo alla causa della salvaguardia della lingua galega?

Personalmente, penso che quella che più si confà alla mia vocazione e ai miei interessi sia quella di ricercatore. Insegnare, in generale, mi piace, soprattutto per il contatto con gli studenti. Il lavoro istituzionale ha aspetti che mi piacciono (organizzare attività, fare pubblicazioni, preparare studi e relazioni) e altri che faccio solo per senso del dovere (rappresentanza istituzionale, riunioni, presenza mediatica…). Pensando a livello generale, credo che quella che può contribuire di più alla difesa della lingua sia l’attività istituzionale. 

Uno degli sforzi che la Real Academia Galega (RAG) sta portando avanti è quello di rendere dinamica  la comunicazione con l’intera società, in particolare attraverso la sua pagina web. Qual è lo scopo del potenziamento del portale e su che pilastri si poggia?

L’Accademia, con i suoi servizi (Archivio, Biblioteca, Emeroteca, Consulenza) e le sue commissioni di ricerca (Sociolinguistica, Onomastica, Lessicografia, Terminologia, Letteratura, Grammatica, Storia …), sta realizzando un grande lavoro e produce molti strumenti che non hanno la diffusione sociale che meritano, il che favorirebbe un uso ottimale da parte del pubblico. Siamo coscienti che oggi la rete è un ottimo canale per ottenere questa diffusione. La pagina web della RAG, https://academia.gal/ , pretende di mostrare e mettere in evidenza l’eredità che la biblioteca, l’emeroteca, l’archivio, le collezioni istituzionali, l’attività scientifica e i servizi garantiscono alle utenti e agli utenti. Il sito è la via principale d’entrata al Dizionario, che nel 2017 ha superato i 20 milioni di visite, una cifra che conferma come si sia consolidato come strumento quotidiano imprescindibile per la lingua galega, che si completa con altri progetti, come il Portal das Palabras, e altre iniziative, come può essere il voto popolare per la scelta della parola dell’anno. È anche possibile consultare digitalmente una mole ingente di pubblicazioni della RAG, mentre l’archivio offre più di 4.700 documenti digitalizzati tramite l’Archivio Digitale della Galizia, un altro esempio dell’impegno dell’Accademia nel cogliere le opportunità che Internet offre per facilitare la diffusione dei suoi fondi e delle conoscenze che genera.

Queste ed altre iniziative accademiche vengono proiettate, a partire dallo spazio dedicato alle novità dell’Accademia (https://academia.gal/novas), all’interno di una strategia di comunicazione globale che ha rafforzato la visibilità delle iniziative dell’istituzione nei media e sui social network, che sono anche uno dei canali attraverso i quali la RAG gestisce quotidianamente numerose domande linguistiche. Inoltre, la RAG sta anche cercando un dialogo stretto e profondo con la società attraverso una serie di incontri con le generazioni più giovani, incontri iniziati lo scorso maggio con l’aiuto dei centri educativi che portano avanti il progetto “21 giorni in galego” (21 días co galego).

Il galego, pur essendo una lingua minoritaria, era immensamente maggioritario nel territorio galego. Secondo recenti studi sociolinguistici, negli ultimi tempi c’è stata un’accelerazione nella perdita di parlanti senza precedenti. È d’accordo con questa percezione? Se è così, a cosa pensa che sia dovuto?

Sono d’accordo, tra le altre cose, perché io stesso ho condotto studi sociolinguistici che puntano in questa direzione. Il galego è resistito come lingua maggioritaria, in quanto nella maggior parte dei settori della popolazione rimaneva in una situazione precapitalista (lo si chiami sottosviluppo o arretratezza, se lo si desidera). Sfumerei solamente l’espressione “senza precedenti”: i precedenti esistono, e sono da ritrovarsi nel lungo periodo della dittatura franchista, che ha inferto un terribile colpo al galego, dal quale non ci siamo mai più ripresi. Successivamente, con l’avvio della fase autonoma del potere locale, si è aperta una finestra di opportunità per far sì che si associasse  in modo positivo il galego al cambiamento sociale, fornendo alla società e al paese gli strumenti per effettuare un cambio di tendenza riguardo alla minorizzazione della lingua e alla perdita di parlanti, che già era molto pronunciata. Quell’occasione è andata persa e dal 2009 ci troviamo in una fase di brutale retrocesso.

Ecco i fattori di rilievo alla base della situazione di deterioramento degli ultimi decenni, da cima a fondo: a) la globalizzazione neoliberista favorisce l’espansione della lingua inglese e promuove l’omologazione (per esempio, la mercificazione) dei repertori e delle competenze linguistiche; b) lo Stato spagnolo, i media e la maggioranza della società spagnola sono refrattari o direttamente belligeranti contro le lingue coufficiali delle altre nazioni, poiché lo spagnolo si presenta come l’unica lingua della Spagna; c) i gruppi egemonici della Galizia in politica, economia, nei mass media accettano le opzioni (a) e (b) e ritengono che lo spagnolo e l’inglese siano le uniche lingue importanti, mentre la conoscenza e l’uso del galego sono un ostacolo; d) gruppi e settori alternativi non sono stati capaci di offrire proposte positive, anzi sono molto divisi a causa di personalismi, settarismi e fratture interne; e) la reazione della maggior parte della società galega è tra il tiepido e il confuso, senza essere coscienti pienamente di cosa stia avvenendo e di cosa accadrà. La conseguenza di tutto ciò è l’abbandono della trasmissione della lingua galega nelle famiglie, e laddove avviene, viene spesso troncata perché molti ragazzi e ragazze che ereditano il galego in famiglia non hanno né un motivo, né l’occasione per usarlo in maniera sufficiente a scuola o per le loro reti relazionali, nella vita sociale, in generale, o per entrare nel mercato del lavoro. Quando saranno un po’ più grandi, se vorranno recuperare / trasmettere la lingua, si imbatteranno nei fattori a) – c) che lo renderanno molto difficile o impossibile. Se tutti questi fattori o una parte rilevante di essi non cambiano in modo drastico, il futuro appare buio.

Potrebbe invertirsi questa tendenza con una corretta politica linguistica? O con quali altri tipi di misure?

Non saprei dirlo con assoluta certezza, ma quello che so è che bisognerebbe provarci, come stanno facendo nei Paesi Baschi e in Catalogna. In sintesi, le istituzioni della Comunità Autonoma Galega e soprattutto la Xunta de Galicia hanno il dovere legale, politico e morale di provarci, un dovere a cui si stanno sottraendo in modo clamoroso. Dagli inizi dell’Autonomia, avrebbero dovuto mettere in atto una politica attiva, che ricercasse e sperimentasse in modo tale da trovare le misure più efficaci per invertire la minorizzazione e l’abbandono del galego. Questa avrebbe dovuta essere una delle linee prioritarie dell’azione della Xunta de Galicia, ma le autorità non hanno cercato – e quindi non hanno ottenuto – il modello da adattare alla nostra situazione, di recupero e impulso della nostra lingua. Non è mai stato fatto. La promozione della lingua continua a essere vista come qualcosa di letterario o culturale, in un senso elitario o folcloristico, non come una sfida della modernità utile all’intero paese. I punti di snodo sono ben noti: il sistema educativo (dove sono stati fatti dei passi avanti, ma insufficienti, a volte maldestri, e ultimamente anzi di ripiego), i media, le nuove tecnologie, l’infanzia e la gioventù, le esigenze del mercato del lavoro. E, naturalmente, questo va di pari passo con un progetto di paese – o alla mancanza di esso – nei campi dell’economia, dell’organizzazione sociale, della partecipazione politica, del rinnovamento culturale, ecc. Se non riusciamo a salvaguardare la nostra natura e i nostri paesaggi, se non riusciamo ad ottenere un visione urbanistica rispettosa dell’ambiente e delle persone, se non riusciamo ad avere una società dinamica e slegata dalle clientele e dal caciquismo, se non abbiamo un’economia che permetta ai giovani di realizzarsi qui a livello professionale e personale invece di dover migrare, se la nostra popolazione invecchia a un ritmo accelerato e il nostro territorio diventa deserto… Come riusciremo a mantenere la nostra lingua?

Qual è la posizione della Real Academia Galega di fronte a tali queste circostanze?

Gli Statuti dell’Accademia stabiliscono che “è un’istituzione scientifica il cui obiettivo principale è lo studio della cultura galega e in particolare la diffusione, la difesa e la promozione della lingua galega”. Il suo scopo fondamentale è “stabilire le norme per l’uso appropriato della lingua galega”, “studiare e proporre la restaurazione dell’onomastica galega”, “salvaguardare i diritti della lingua galega”, “difendere e promuovere la lingua galega” e “offrire consulenza alle autorità e alle istituzioni pubbliche su questioni relative all’uso corretto della lingua e alla sua promozione sociale”. Cioè, la RAG è un’istituzione che studia, propone, consiglia, difende, ma non legifera, perché non ha i mezzi né le competenze per farlo. Data l’implacabile offensiva contro il galego promossa dai settori centralisti della politica, della società, della cultura e dei media, che si è via via sempre più intensificata dall’inizio di questo secolo, la RAG ha fatto e fa tutto ciò che è alla sua portata per difenderlo, tra cui appelli pubblici, proposte, proteste alle autorità, sostegno alle iniziative parlamentari e popolari, consulenza a imprese, organizzazioni e individui, pubblicazione di studi e anche ricorsi contro quelle misure più chiaramente dannose, come il Decreto del Plurilinguismo approvato dalla Xunta de Galicia nel 2010. Con i mezzi che ha e nelle circostanze in cui viviamo, penso che poco altro avrebbe potuto fare. 

Nel 2009, è avvenuto un cambio di governo nella Xunta de Galicia che ha comportato una modifica dei bilanci e dell’organizzazione del Dipartimento di Politica Linguistica, il che ha suscitato un grande clamore. Una di queste modifiche è stata quella che si è concretizzata nel decreto che riduceva le materie insegnate in lingua galega in ambito educativo. Pensa che abbia influito sul declino dell’uso del galego tra i più giovani? Che ruolo ha l’istruzione nel fomentare più usi linguistici?

È ovvio che l’uso della lingua da parte della popolazione scolastica e studentesca non dipende esclusivamente dall’uso maggiore o minore del galego o del castigliano come lingue veicolari, ma non è tanto meno ovvio che l’uso maggiore del galego in ambito educativo ha una certa influenza sulle competenze che le studentesse e gli studenti posseggono, nelle occasioni in cui devono usarlo e sulla percezione sociale della sua utilità. L’effetto non è simmetrico per il galego e il castigliano: per ovvie ragioni – ben studiate in altri contesti di bilinguismo asimmetrico – le competenze in spagnolo e la percezione sociale della sua utilità sono molto meno influenzate dal suo uso veicolare in ambito educativo rispetto a ciò che accade al galego. Ossia, parlando in termini generali, l’uso di più galego nell’insegnamento porta benefici al galego e non nuoce affatto al castigliano, ma meno galego nell’educazione è molto dannoso per il galego e non ha nessuna conseguenza benefica sul castigliano. Pertanto, la soluzione di dividere l’insegnamento in 50 e 50 non è né equa né efficace per migliorare la situazione del galego.

Detto questo, devono essere fatte tre osservazioni importanti. In primo luogo, il sistema educativo non può servire come area di compensazione per il rimando sociale del galego, o, per meglio dire, può farlo solo con moderazione. Se la comunità educativa (insegnanti e studenti) osserva un forte scompenso tra lo sforzo di promozione del galego nell’educazione e quello che accade in altre aree della vita sociale, il risultato può essere non solo povero ma controproducente. Pertanto, la politica linguistica deve essere coerente e percepita come tale dalla società, e in particolare dai settori che ne saranno direttamente influenzati. Una persona che non è un parlante abituale in galego difficilmente sarà motivato ad imparare in quella lingua – con lo sforzo extra che ciò richiede – se non percepisce che ciò sarà utile per il suo sviluppo vitale e professionale.

Seconda osservazione Il sistema educativo ha perso molte delle sue vecchie capacità “nazionalizzanti” o “acculturanti”. Nel XIX secolo e per gran parte del XX secolo, ha avuto un enorme potere nel modellare gli atteggiamenti e le competenze linguistiche (e, in generale, le identità), oggi ne ha molto meno, dato che ci sono rivali molto potenti: i mezzi di comunicazione, e in particolare, i nuovi media. I ragazzi passano più ore davanti alla televisione e a i nuovi apparecchi informatici e gli prestano maggiore attenzione di quella che hanno durante le ore in classe. Pertanto, la promozione del galego nell’ambiente educativo, per essere efficace, deve anche contemplare la sua presenza in questi altri contesti.

Terza osservazione. Il modello ideale per il galego sarebbe quello chiamato di “immersione” che, per inciso, si tratterebbe di immersione  per le/gli ispano parlanti, vale a dire, l’uso generale del galego come lingua dell’insegnamento. Ma per avviare un modello tale, è necessario avere un consenso sociale ampio, solido e continuo, che in Galizia non esiste. Data la mancanza di esso, penso che la cosa più ragionevole sia un modello flessibile, che fissa un limite minimo per il galego ma non uno massimo. Prima del decreto del 2010, c’erano molti centri educativi in cui il galego aveva una presenza superiore al 50%, giungendo anche fino al 80%, cifra che è stata raggiunta grazie allo sforzo e all’impegno dei docenti e a un maggiore sostegno della comunità educativa, senza grossi problemi né particolari conflitti. Il Partito Popolare, per soddisfare le esigenze dei votanti sociali nelle città (principalmente focalizzati su istruzione privata e, in misura minore, sovvenzionata), non solo ha ridotto il requisito del galego in questi settori, ma ha obbligato a ridurre la presenza del galego negli altri centri in cui era stato utilizzato senza alcun problema (principalmente nell’educazione pubblica dei paesi e del contesto rurale). 

Come vede la situazione del galego nell’insieme delle lingue minoritarie in Europa? Pensa che ci sia una legislazione europea o una maggiore sensibilità negli ultimi anni che potrebbe favorirla?

All’interno dell’Europa, il galego è una delle lingue territoriali minoritarie con una maggiore presenza nella rispettiva comunità, ma il suo riconoscimento non è all’altezza di tale situazione, in gran parte a causa della responsabilità delle stesse istituzioni galeghe. L’istituzione Unione Europea, così com’è, non è particolarmente favorevole né sfavorevole per il galego. C’è stato un tempo in cui la Commissione ha approvato alcune timide misure di sostegno per le lingue minoritarie, ma i conservatori britannici le hanno respinte nel Parlamento europeo e da quel momento si è seguita una linea sempre più desolante. Un’altra cosa è la magnifica Carta Europea per le Lingue Regionali e Minoritarie del Consiglio d’Europa, sottoscritta dalla Spagna nella sua versione più esigente, che ha lo statuto di un accordo internazionale e contempla una serie di misure molto interessanti. Purtroppo, la violazione della più efficace di queste misure è flagrante, senza che le autorità spagnole e galeghe ricevano alcun tipo di sanzione per questo motivo, tranne che per le riconvenzioni da parte delle commissioni di esperti. D’altra parte, alcuni settori delle società europee hanno acquisito una maggiore consapevolezza dell’importanza della diversità linguistica e del valore che le lingue minoritarie hanno nel patrimonio culturale europeo. Inoltre, la cornice europea crea uno spazio collaborativo per le stesse minoranze linguistiche e per le loro istituzioni che ha un potenziale interessante, ma non ancora sufficientemente sfruttato.

Uno dei luoghi comuni della linguistica galega è la preoccupazione per il futuro della lingua. Qual è la sua posizione? Ci sono ragioni valide per un tale pessimismo?

Spesso dico: il pessimismo è uno stato d’animo. Sempre più si ascoltano con maggiore intensità messaggi allarmanti che annunciano l’imminente morte della lingua. Non mi sembra positivo  insistere su questo messaggio. Non credo che ci sia bisogno di nascondere e, occasionalmente, è opportuno dare l’allarme, ma ci sono altri modi di vedere le cose e di presentarle, e far suonare  la sveglia in continuazione non mi sembra che contribuisca a migliorare le aspettative in generale. Ci sono quelli che danno il galego per finito e si consolano pensando che il futuro sia in portoghese. Prima di giungere a questa conclusione, devo confessare che non mi interessa la lingua come astrazione, ma mi interessa in quanto appartenente alla mia comunità. Se il popolo galego non è in grado di salvaguardare la propria lingua, sarà una magra consolazione pensare all’esistenza della lingua portoghese, lingua che, in quanto sorella del galego, so che ci può essere di grande aiuto e di cui riconosco il valore, ma che, sebbene la senta molto vicina, non riconosco come mia.

Ho ripetuto molte volte che i sociolinguisti non sono profeti o indovini. Sono sicuro che la mia generazione non vedrà morire il galego, ma dubito molto, dati alla mano, che i nostri figli e figlie possano – nel caso in cui lo volessero e le circostanze glielo permettessero – riuscire a trasmetterlo alla prossima generazione. Nella risposta che ho dato prima a un’altra domanda, ho elencato i fattori che mi sembravano più rilevanti per il mantenimento o l’abbandono del galego. Credo che alcuni possano cambiare in senso positivo, in modo tale da aumentare le prospettive di mantenimento o incremento della vitalità della nostra lingua, ma viviamo in un periodo storico molto volatile e siamo immersi in un’enorme incertezza verso il futuro. La cosa peggiore che possiamo fare è perdere la speranza e farci trascinare dal vento della storia, come foglie cadute di un albero marcio. Nonostante tutto, la situazione della lingua è reversibile, e non si può perdere la fiducia nella capacità di recupero non solo della società galega, ma della società spagnola e dei popoli dell’Europa e del mondo intero contro un modello economico e sociale disastroso per la stragrande maggioranza, per la nostra specie in quanto tale e per il pianeta in cui viviamo. Un altro mondo e un altro futuro sono possibili e in esso la diversità linguistica sarà apprezzata come un tesoro.

(traduzione di Marco Paone)

L'autore

Inma Otero Varela
Inma Otero Varela
Inma Otero Varela (Carral, 1976) è attualmente professoressa di Lingua e letteratura galega nelle scuole superiori. È stata lettrice di galego nell’Università “La Sapienza” di Roma dal 2003 al 2008. Collabora come critico letterario in “Grial” e “Novas do Eixo Atlántico*. Ha pubblicato studi sulla narrativa galega in svariati volumi e riviste scientifiche (“Critica del Testo”, “Anuario de Estudos Literarios Galegos”, “Boletín Galego de Literatura).