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A proposito di “Entusiasmo”. Dialogo con Pablo d’Ors

Pablo d’Ors (1963), nato a Madrid da una famiglia di artisti e scrittori, è sacerdote cattolico dal 1991. Nel 2014 ha fondato l’associazione “Amigos del desierto”, con cui condivide l’avventura della meditazione. Nello stesso anno papa Francesco lo ha nominato consultore del Pontificio Consiglio della Cultura.

Entrevista en castellano

Ogni scrittore dissemina nel testo alcune spie linguistiche che permettono di comprenderlo meglio. Nel tuo caso per me è stato fondamentale quanto scrivi sull’entusiasmo a p. 104: «Pilar non si sbagliava nel suo giudizio: da allora a oggi l’entusiasmo è stato il mio tratto principale. Ovvio, sono anche malinconico, riflessivo, fantasioso… ma sono soprattutto un entusiasta: c’è qualcosa – Qualcuno – che preme dentro di me, e tutto quanto faccio nella vita, assolutamente tutto, obbedisce soltanto al desiderio di farlo uscire». Come si può coniugare il tuo Entusiasmoin un mondo ormai secolarizzato e a quale pubblico ti rivolgi?

Un romanziere si rivolge sempre al pubblico dei romanzi. Per chi scriveva Balzac, Dickens, Dostoevskij o Maupassant? Se vuoi essere letto da tutti (chi legge), devi scrivere romanzi, che è il genere letterario popolare per definizione. La poesia, d’altra parte, così come il saggio, richiedono un lettore molto particolare. Leggiamo romanzi dal momento che siamo interessati alla condizione umana, nel sapere chi siamo. Così, e lo dico con tutta la modestia del caso, tutti quelli per cui i grandi romanzieri classici e contemporanei scrivevano e scrivono sono quelli per cui scrivo anche io.

Entusiasmo può essere letto come la storia di un giovane che ascolta e obbedisce a una chiamata al sacerdozio cattolico, è ovvio: questa è la lettura più evidente e immediata; ma può anche essere letto come l’avventura della gioventù nella sua transizione verso la vita adulta. La questione religiosa è chiaramente in primo piano, cosa che è stata narrativamente molto impegnativa, visto che oggi non c’è quasi nulla che possa essere definito “romanzo religioso”. Ora, il risveglio spirituale a cui mi riferisco qui, nel quadro ecclesiale della Spagna degli anni ’80, è trasferibile – o almeno credo – ad altri contesti sociali ed esistenziali. Una finzione senza pretesa universale cessa di essere arte e diventa un mero documento storico. Il mondo contemporaneo secolarizzato, d’altra parte, ha probabilmente un disperato bisogno che qualcuno ti ricordi che siamo nati per cercare il fuoco. 

Leggendo le pagine iniziali del libro dove parli del tuo incontrare Dio nel Creato, mi sono tornate in mente i versetti di 1Re 19,11-13: «Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo, da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Come l’udì Elia si coprì il volto con il mantello. Uscì e si fermò all’ingresso della caverna. Ed ecco venne a lui una voce che gli diceva: che cosa fai qui Elia?». L’ipotesi mi sembra avvalorata da quanto scrivi a p. 90: «Regnava un’atmosfera tremante ed ebbi l’impressione che, se avessi teso l’orecchio, sarei stato in grado di udire qualcosa che per il momento mi sfuggiva. “Sei Tu?” dissi infine. Non so cosa mi passò per la testa, ma nella mia mente avevo cominciato a parlare con Dio. Non attesi la sua risposta. “Sei Tu!” esclamai». A prescindere dalla giustezza della mia supposizione, quale ruolo hanno i testi sacri nella tua scrittura?

Gli scrittori occidentali hanno avuto a che fare, almeno una volta, con quel testo fondamentale della cultura giudaico-cristiana che è la Sacra Bibbia. Non sono stato un lettore particolarmente affezionato delle Sacre Scritture, lo confesso. Solo da 3 o 4 anni le leggo sistematicamente, con un vero interesse personale, non solo tecnico e liturgico. È difficile parlare o scrivere di Dio senza tenere conto di ciò che è stato detto o scritto su di Lui in passato. Ma, in ogni caso, il libro che mi è servito come riferimento per scrivere Entusiasmo è stato The Seven Storey Mountain del mio amato Thomas Merton, che narra anche la sua vocazione religiosa e il suo abbandono del mondo. Si trattava di qualcosa che la prosa narrativa non aveva affrontato da più di mezzo secolo e Entusiasmo – al di là della sua qualità letteraria – va a riempire quel vuoto. È molto difficile scrivere letteratura su un’esperienza spirituale senza sfociare in un romanzo psicologico, sociologico, storico o persino esoterico. Modestamente, credo di esserci riuscito e che Entusiasmo potrebbe essere letto, per fare un esempio, come il famoso Siddhartha di Hesse.

In aggiunta ai testi sacri, la tua scrittura riflette la profonda conoscenza di molti grandi scrittori, tra cui in primis Hermann Hesse che tu menzioni esplicitamente svariate volte, al punto da creare una sorta di parallelismo tra la sua ultima opera e il tuo Entusiasmo: «Il giuoco delle perle di vetro  è stato l’ultimo romanzo scritto da Hesse ed è, senza dubbio, la sua opera migliore e più ambiziosa: a cui dedicò – come me con questo Entusiasmo – più di un decennio». Come ti rapporti con gli autori del tuo canone quando inizi la stesura di un romanzo? Hai mai avuto il timore di imitare troppo qualcuno?

Mio nonno, il critico d’arte e saggista Eugeni d’Ors, ha scritto che tutto ciò che non è tradizione è un plagio. La mia prima opera di finzione, Il debutto, è una raccolta di storie in cui rendo esplicito omaggio a tutti gli autori del mio canone personale: Kafka, Kundera, Pessoa Thomas Mann, Székély …; in tal modo, ho esplicitamente dichiarato l’orientamento mitteleuropeo in cui la mia letteratura intendeva muoversi. In realtà, riscriviamo gli autori che ci piacciono. La letteratura nasce dalla letteratura stessa, non dalla vita, come alcuni sostengono. Scrivere è l’altra faccia della lettura. L’imitazione è la migliore scuola per l’apprendimento e, quindi, per trovare una propria voce. Sono nato come scrittore pubblico nel 2000 con una voce abbastanza mia; ma quella voce da allora l’ho “ripulita”, e oggi so chi sono e dove mi situo come narratore. Si tratta di qualcosa molto importante, che ci risparmia sforzi inutili. Certo, possiamo sempre scoprire nuovi orizzonti, ma la grande domanda per un romanziere è sempre su cosa scrivere, dato che ci sono così tanti argomenti che uno, almeno in teoria, potrebbe interessarti. La domanda non è, semplicemente, scrivi ciò che vuoi, ma ciò che vuoi scrivere attraverso di te.

Nel tuo Entusiasmo è apprezzabile il fatto che tu non nasconda affatto esperienze che nella tua prospettiva attuale reputi negative: la masturbazione, l’Opus Dei, e così via. È stata una scelta meditata o tutto ciò rientra nella premessa che si tratta di “un libro di finzione”? Ma un sacerdote può manifestare il suo Entusiasmo in un’opera di fantasia, pur ritenendo che “la fantasia non è meno vera della storia”?

La cosa migliore che un prete può fare non è solo essere un prete, proprio come il meglio che una madre può fare non è solo essere una madre: una madre che fosse solo una madre annegherebbe i suoi figli; un prete che fosse solo un prete affogherebbe i suoi parrocchiani (il che non significa che molti sarebbero felici di essere annegati!). Sono uno scrittore e un prete, questo è l’ordine in cui ho scoperto le mie vocazioni. Mi è costato tutta la vita scoprire che non ce ne sono due, ma solo una, il che non significa che ognuno di questi campi, sia religioso che letterario, non abbia le sue regole del gioco. Quando prego, non cerco di rendere belle o eccitanti le mie preghiere; ma quando scrivo, non cerco di edificare il popolo di Dio o di fare catechesi. Per ogni scrittore, sacerdote o meno, puoi solo chiedergli di scrivere, più espressivamente che sappia, ciò che ha dentro. Questo è tutto. Per quanto riguarda la finzione, posso solo dire che è un’altra forma, spesso la più reale, per raccontare la realtà.

Spero di non sbagliarmi ma, a mio avviso, l’ipotesto sotteso a tutta la narrazione sono le Confessioni di Agostino. Come nel suo caso, anche tu ti soffermi a narrare la tua vita prima della conversione, le persone grazie alle quali hai deciso di compiere determinate scelte, l’esperienza di vivere quotidianamente la fede, e in tutto questo inserisci tue considerazioni filosofiche come nel tuo illustre modello.  

Sant’Agostino è probabilmente il miglior scrittore nella storia del cristianesimo. Aveva un enorme talento letterario e artistico, oltre a un’intelligenza straordinaria e una missione ecclesiale molto importante. Mettere la mia opera in relazione alla sua è per me come collegare il mio mondo religioso con quello di Charles de Foucauld o del Mahatma Gandhi, due figure che ammiro molto, o come relazionarmi, nel campo letterario, con John Williams, l’autore di Stoner, o con Stefan Zweig, che non mi stanco mai di rileggere. Ma sì, il mio Entusiasmo è una sorta di “confessione agostiniana”. Spero che la sua lettura tocchi il cuore di qualche mio lettore e, certamente, che nessuno finisca di leggere queste pagine così come le ha iniziate.

 

 

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