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La mia strada verso la Bossa Nova. Un ultimo saluto a João Gilberto

Domenica 7 luglio, fa 14 gradi, un giorno freddissimo per Rio de Janeiro, squilla il telefono: è Carlo: “ Guido tu che sei a Rio , lo sai no.??.. è morto João Gilberto!”. “Non è possibile….”. In realtá visto che non si sentiva parlare più di lui, vivendo praticamente recluso in casa da molti anni pensavo fosse giá morto da tempo. E invece viveva a pochi passi da casa mia, tra il suo appartamento di Leblon e quello della Gavea. Appena avuta questa notizia, sono tornato come per incanto indietro nel tempo. Tanti anni fa studiavo proprio con Carlo Filologia romanza e contemporaneamente spagnolo. Fu un viaggio che feci con Paolo, tra Spagna e Portogallo nell”88, che mi avrebbe spalancato un nuovo percorso di vita. Se Paolo conobbe quella che poi sarebbe diventata la sua prima moglie, io incontrai il primo grande mistero che molto presto si sarebbe trasformato in un grande amore: la lingua portoghese.Tornato a Roma, dopo l’estate decisi di cambiare tutto: abbandonai la filologia romanza e lo spagnolo, per capire, decifrare quella lingua oscura che avevo sentito prima in Algarve e poi a Lisboa. L’impatto fu travolgente: prima con le lezioni di letteratura portoghese di Luciana Stegagno Picchio poi con quelle di lingua e cultura brasiliana di Teresinha Pinto. Come posso dimenticare la prima lezione di cultura brasiliana, un samba: .. Viver e não ter a vergonha de ser feliz. Ma com’era possibile che nella lingua di un luogo nel mondo si parlasse con tanta spontaneitá e semplicitá di non vergognarsi di essere felice. Volevo capire come e perché in Brasile l’argomento dominante delle canzoni fosse una sorta di triste ricordo, la saudade che si trasforma poi in felicità. Li capii che era proprio la Bossa Nova che aveva lanciato questo messaggio giá dal 1958 con l’opera di due cantautori Vinicius de Moraes e Tom Jobim, e con la voce irripetibile di João Gilberto. Questi erano gli ingredienti fondamentali del manifesto ideale della bossa nova: la canzone Chega de saudade; questo doveva essere il modo in cui in Brasile si affronta la vita giorno dopo giorno. Già sapevo che da quel momento la mia tesi di laurea avrebbe avuto come ambito di ricerca la poesia e la canzone della bossa. Scelsi di scrivere del Cantabile nella poesia di Vinicius de Moraes.Mi aiutó a ricostruire alcuni passaggi della vita di questo autore il compositore italiano Sergio Bardotti. All’epoca lavorava per la Rai a pochi passi dalla mia casa romana di Piazza del Fante. Fu proprio Bardotti a parlarmi per la prima volta di João Gilberto, lui lo conosceva , un tipo riservato, ma amico, calmo; un maestro per aver inaugurato questo stile sommesso. Non c’era giorno a Roma che non ascoltassi Vinicius de Moraes, João Gilberto, Chico Buarque; mia madre non capiva come mai mi fossi fissato con una musica che apparteneva in realtà più alla sua generazione che alla mia. Fu proprio in quei giorni alla fine dell”89 che ascoltai per la prima volta Desafinado: sembrava che questa musica fosse stata composta per João Gilberto, mentre invece Tom Jobim l’ aveva dedicata a dei cantanti che aveva incotrato in una boate carioca nelle sue serate. Ma all’epoca non lo sapevo, pensavo fosse il manifesto nel manifesto della Bossa Nova e in particolare quello di João Gilberto. Com’era possibile una potenza in un sussurro, un filo di voce con un messaggio che ha fatto il giro del mondo. C’era solo il ritmo della chitarra, non solo la melodia – questa l’innovazione di João Gilberto – e un testo semplicissimo che, con una delicatezza infinita, metteva in condizione chiunque di capire e amare questo tipo di musica. Nel messaggio della Bossa Nova c’era tutto quello che avevo sempre cercato, naturalezza e semplicitá.

Quando Carlo mi ha chiamato, mi sono ricordato che nella mia tesi c’era propio una citazione di João Gilberto, connesso a questi elementi che mi facevano sognare il Brasile, ancora a me ignoto: “Penso che i cantanti devono sentire la musica come estetica, sentirla in termini di poesia e naturalezza. Chi canta dovrebbe essere come chi prega, l’essenziale è la sensibilitá. Musica è suono. E il suono è voce, strumento Il cantante avrà per questo, necessità di sapere quando e come deve allungare un acuto, un grave, in modo tale da trasmettere con perfezione il messaggio dell’emozione”.

C’era tanta armonia e calma, con sogni di amori felici e immagini di donne stupende, nella voce di João Gilberto. Mi ricordo una canzone cantata da lui olha aquela mulata como dança é luxo só, sembrava proprio di vederla questa ragazza: all’epoca non sapevo che si sarebbe potuto trattare di una rainha da bateria di una scuola di samba o di una passista. Oltretutto all’epoca di João Gilberto, non era proibito definire una ragazza con sangue negro mulata, anche se oggi non è più politicamente corretto. Insomma qualcosa è cambiato dal primo tempo della Bossa Nova.

Per tornare alla mia storia, mi laureai in letteratura brasiliana nel luglio del ’90 e decisi di andare a vedere di persona se esisteva veramente quel mondo che veniva cantato da Tom Jobim, Vinicius de Moraes, João Gilberto, Chico Buarque, nella Bossa Nova. Se esisteva quel jetinho sussurrato di esprimersi e sorridere alla vita. Era tutto vero, ho trovato tanti sorrisi anche la mattina presto sui volti di gente semplice che andava al lavoro dopo ore stipati negli autobus. La grazia delle afrodiscendenti (le mulatas della Bossa Nova appunto!) che salivano le scale del morro, la favela. Il sorriso più famoso è ancora oggi quello di uno spazzino, un gari, negro, che – oltre a sorridere sempre, tanto da essere soprannominato appunto Sorriso -, samba come pochi e all’Avenida Sapucai, al sambodromo, oltre a pulire dopo il passaggio della sfilata delle scuole di samba, appoggiato alla sua scopa, balla e sembra proprio lui l’elemento finale della coreografia della scuola.

Per questa ragione ho scelto di vivere nella terra dei sorrisi, e da oltre 20 anni non mi perdo un Carnevale, sia quello dietro ai blocos di strada che la tradizionale festa del Copacabana Palace. Il samba è un amore che non mi è mai passato. Fino a qualche anno fa frequentavo assiduamente anche il Carioca da Gema un locale di samba e Bossa Nova autentico, de raiz, ossia autenticamente carioca. Il samba e la Bossa Nova sono infatti un prodotto esclusivo di Rio de Janeiro. Sono andato anche alle scuole di samba, al Salgueiro e alla Mangueira, e tanti anni fa alla Mocidade Independente de Padre Miguel, anche se la mia preferita in assoluto è Portela e la velha guarda. E devo dire che per essere un italiano sambo discretamente, mi confondo tra gli indigeni, non sembro proprio un gringo. Insomma, non mi sono accontentato di venire ogni tanto per Carnevale o per l’estate a Rio, per vedere se esisteva veramente la Garota de Ipanema, mi ci sono proprio stabilito. E che dire, tra successi e insuccessi, amori e delusioni sono ancora qui. E se ancora oggi sento un ritmo di bossa o un batuque di scuola di samba, mi fermo per la strada e ascolto, in fondo è forse proprio per l’immensa saudade del samba e del balanço da bossa che non sono più tornato in Italia.

 

 

 

 

 

L'autore

Guido Alberto Bonomini
Guido Alberto Bonomini
Guido Alberto Bonomini, è nato a Roma e insegna  Lingua e Letteratura italiana presso l’ Universidade Federal Fluminense (UFF) di Niterói, Rio de Janeiro, dal 2002. Proviene dalla Sapienza di Roma, dove ha seguito i corsi di filologia romanza col prof. R. Antonelli ma si è poi laureato in Letteratura Brasiliana con la Prof. Luciana Stegagno Picchio. Ha un Master in linguistica applicata ottenuto presso l’Universidade Federal do Rio de Janeiro (UFRJ) e un dottorato in Letterature Comparate della Universidade Federal Fluminense (UFF). Si occupa prevalentemente di studi storici linguistici e teoria della traduzione.