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Dante Alighieri a un passo dal centenario: Maria Gioia Tavoni dialoga con quattro amici

Leggendo, ascoltando, vedendo ciò che ormai è palese, ovvero che il settimo anniversario della morte di Dante Alighieri si consumerà – in piccola parte si è già consumato – in manifestazioni nei luoghi che maggiormente ne hanno perpetuato il ricordo, ho pensato di chiamare a rispondere, non solo per mia curiosità, amici dantisti sui progetti e l’esecuzione di iniziative che possano rinverdire sia gli studi sul sommo Poeta sia quelli di coloro che da anni ne propongono e ne seguono vari itinerari. E ho pensato inoltre che occasione migliore non poteva esserci del cogliere ciò che in nuce si sta organizzando in una città, Ravenna, itinerario dantesco da tempo fra i più apprezzati e seguiti.

Chiamati a rispondere sono due docenti, storici e critici entrambi di letteratura italiana, i quali fin dai tempi del loro curriculum universitario hanno seguito vari itinerari danteschi e, in prima persona, hanno collaborato a molte manifestazioni comprese alcune svoltesi a Ravenna. Ho affiancato loro due “organizzatori culturali”, l’uno proteso a cogliere e rielaborare i progetti che investono tutte le istituzioni ravennati, essendone la maggiore capitudine, l’altro, un “tecnico” della cultura, magna pars della versione organizzativa di un progetto che attende una maggiore divulgazione. Ho riservato poche righe per ciascun protagonista di questa tavola rotonda, anche perché i quattro amici intervistati sono tutti molto noti.

La loro successione rimarrà invariata in tutte le domande che formulerò.

Andrea Battistini (= AB), professore emerito dell’Università di Bologna e socio fondatore dell’ADI (Associazione degli Italianisti). Più di 850 sono le sue pubblicazioni, fra le quali un considerevole numero tradotto in molte lingue, con un forte nucleo dedicato a Dante, investigato anche nelle Lecturae Dantis ravennati, e protagonista del recente volume Dante e la retorica della salvezza (Bologna, il Mulino, 2016).

 

 

Giuseppe Ledda (= GL), professore dell’Università di Bologna. Codirige la rivista di studi danteschi “L’Alighieri”, ed è membro del Consiglio scientifico della Società Dantesca Italiana, e di numerosi Enti e Associazioni le più autorevoli – non solo italiane – sul sommo Poeta, e ascrive i suoi molti e incisivi lavori nel quasi esclusivo suo solco.

 

 

 

Maurizio Tarantino (= MT), con alle spalle un curriculum di studioso e di impegnato dirigente operativo su più fronti, oggi è direttore delle Istituzioni Mar e Biblioteca Classense di Ravenna e dirigente dell’Ufficio Cultura del Comune di Ravenna. L’attuale carica lo vede alla conduzione di un pool di istituzioni alle quali Tarantino ha già riservato proprie risorse sviluppatesi in manifestazioni di notevole prestigio e si accinge ora ad “investire” su Dante Alighieri in un progetto partecipato a vari livelli.

 

 

 

 

Daniela Poggiali (= DP), curatrice delle Collezioni di grafica, Ufficio Tutela e valorizzazione dei beni museali della Biblioteca Classense di Ravenna. La bibliotecaria nella sua funzione di curatrice di beni pervenuti anche per donazione, non è unicamente responsabile di un prestigioso servizio, ma è parte in causa della scelta espositiva, indirizzata di volta in volta ad artiste e artisti, colti dal fior da fiore non unicamente italiano, valorizzando nel contempo le fonti di appartenenza.

 

 

 

 

 

All’origine del perpetuarsi di una memoria c’è spesso un episodio saliente che l’ha originata. A Ravenna, esiste un vero e proprio culto della memoria dantesca, basato innanzitutto sulla tutela delle spoglie mortali del poeta. Con l’avvicinarsi a grandi passi del Centenario, avendo partecipato anche nel passato a rievocazioni storico-letterarie dantesche, credi che pure i prossimi confronti incontreranno l’interesse e pertanto la partecipazione di una notevole presenza di cittadini? Pensi altresì che il richiamo ravennate si avverta oltre le sue mura?

(AB) Storicamente il culto di Dante deriva da due aspetti distinti della sua figura, quella dell’uomo e quella del poeta. Da una parte c’è l’esule, l’uomo integerrimo che denuncia la corruzione, il fustigatore dei vizi che addita la via della virtù e del bene. Dall’altra c’è, come appunto dici anche tu in sede di presentazione, il «sommo Poeta». Queste due facce hanno incontrato nel tempo un’accoglienza molto diversa e stratificata. Se la sua integrità morale e il radicato senso di giustizia hanno sempre destato in tutti unanime favore, diversa è stata la valutazione del letterato. La critica accademica e d’alto bordo ha cominciato ad ammirare il poeta (e per qualcuno si potrebbe addirittura parlare di venerazione) soltanto in tempi relativamente recenti, ossia dal secondo Settecento. Prima, in secoli in cui dominava una poetica di tipo classicista, era Petrarca l’oggetto di culto letterario, mentre Dante era considerato una specie di confusionario, senza regole, prolisso ed eccessivo. Poi ci pensò il Romanticismo a rivalutarlo, grazie alla sua professione di una poetica fondata sulle passioni e sul forte sentire, ritrovate magistralmente in un’opera straordinaria come la Commedia. Quasi opposta è stata invece la ricezione della gente di non eccelsa cultura, del popolo, che ha sempre amato quei suoi eccessi, la sua fantasia fatta apposta per incantare la gente semplice, con i suoi diavoli, i mostri, le metamorfosi, le fosche tragedie, le veementi invettive, le mirabili e fantastiche visioni. A leggerlo e a citarlo non furono solo avvocati, medici, ingegneri, scienziati, politici, educatori, artisti, attori, poeti e poetesse improvvisatori ma anche impiegati, segretari comunali, artigiani e addirittura soldati, carcerieri, contadini, gondolieri. Se Dante fosse stato studiato e apprezzato soltanto dai critici letterari, sarebbe un poeta come tanti altri. A fare la differenza e a farlo amare universalmente, e non solo nei luoghi dove visse o dove riposano le sue ossa, come a Ravenna, è proprio questa sua capacità di fare breccia anche nella gente comune. Per questo le iniziative per il 2021 avranno senz’altro tanto successo, non ristretto ai soli addetti ai lavori.

(GL) Ravenna ha accolto Dante con attenzione e con affetto negli ultimi anni della sua vita, ne ha celebrato solennemente i funerali e poi per sette secoli ne ha custodito il corpo e onorato la memoria poetica. Negli ultimi anni ha saputo rinnovare le forme di questo culto, coinvolgendo in molteplici iniziative l’intera cittadinanza. Tra le tante, ricordo la cerimonia intensamente partecipata del Dantis Poetae Transitus, che si svolge nella notte fra il 13 e il 14 settembre a cura del Centro Dantesco dei Frati Minori Conventuali, e l’“Annuale di Dante”, che si tiene la prima domenica di settembre ed è un evento suggestivo, animato dagli attori del Teatro delle Albe Marco Martinelli ed Ermanna Montanari. In questa chiave di coinvolgimento della cittadinanza va anche la straordinaria produzione teatrale dell’Inferno, realizzata dal Teatro delle Albe nel 2017, e del Purgatorio, messa in scena quest’anno, mentre si attende per il 2021 il Paradiso. Il dantismo ravennate si distingue per la capacità di unire la qualità dei contributi con una dimensione corale e popolare che include e attiva tutti i cittadini. Per questo sono eventi capaci di far sentire la loro forza ben oltre la dimensione locale e di aver un impatto molto più ampio.

(MT) La celebrazione della presenza ravennate di Dante si può far risalire alla data stessa della sua morte. In vita era stato ritenuto una personalità di assoluto rilievo e come tale riverito e incaricato di affari delicati dal signore della città, Guido Novello da Polenta. La società ravennate sentì presto l’eccezionalità di tale presenza, conservandone memoria ed aiutando il Boccaccio nel recupero delle testimonianze a lui legate. Boccaccio, dopo la morte di Dante, visitò Ravenna almeno altre 5 volte tra il 1345 e il 1362 e quanto poté apprendere dalla viva voce di chi aveva conosciuto il poeta dovette aiutarlo non poco. Capitolo importante è quello relativo alla costruzione e all’evoluzione della sua tomba, con tappe significative nel corso del Quattrocento. Il podestà Bernardo Bembo tra il 1482 e il 1483 risistemò il sito affidandosi anche a Pietro Lombardo, autore del bassorilievo che ammiriamo ancora oggi. Nel 1780-1781 Camillo Morigia, diede alla tomba l’odierna forma di tempietto neoclassico. Nella Ravenna della Repubblica Cisalpina un corteo di cittadini illustri procedette verso il sepolcro addobbato per l’occasione. La processione offrì corone d’alloro e fiori al Poeta, spostandosi poi verso la residenza municipale dove Vincenzo Monti tenne un’orazione. Nel corso dell’Ottocento Dante divenne il Padre della Patria, faro per eccellenza dell’identità nazionale. L’evento che però segnò una svolta fu il ritrovamento delle ossa di Dante, il 27 maggio 1865, che proprio nell’anno del VI centenario della morte innescò una serie di festeggiamenti coi quali il neonato Stato unitario intese celebrare sé stesso insieme al Poeta. Fu nel 1921 che il culto di Dante ebbe una particolare fioritura che non sarebbe poi più cessata. In quell’anno, VI centenario della morte, le celebrazioni consegnarono una Chiesa di San Francesco restaurata e divenuta l’attuale “chiesa di Dante”, insieme all’idea dell’“Annuale di Dante”, concepita da Santi Muratori, direttore della Biblioteca Classense, e da monsignor Giovanni Mesini, appassionato cultore della Divina Commedia. Dal 1950 il Comune di Firenze, nel corso di una cerimonia solenne, dona l’olio che arde nel sepolcro per un anno. È questo l’esempio più nitido di questo culto, tra i tanti offerti dal vastissimo programma di “Viva Dante”: una celebrazione memoriale che comprende una cerimonia civile, con la presenza delle autorità presso la Tomba di Dante, preceduta da una solenne lectio magistralis in Classense, e di una cerimonia religiosa costituita dalla “Messa di Dante” tenuta dall’Ordine Minore dei Conventuali francescani. Ma anche le tradizioni più radicate possono essere rinfrescate. Nell 2018 si previde che gli spostamenti tra i quattro luoghi simbolici (Residenza comunale, Biblioteca Classense, Basilica di San Francesco e Tomba di Dante) siano accompagnati da un’animazione “popolare” del Teatro delle Albe, in collaborazione con i cori dei cittadini che hanno operato nell’ambito del Cantiere Dante di Marco Martinelli ed Ermanna Montanari. Dal 2019 (per rispondere all’ultima parte della domanda), la celebrazione vede la presenza di sindaci, assessori e rappresentanti delle città menzionate nella Commedia coi loro gonfaloni.

(DP) Dante viene accolto a Ravenna, dopo faticoso peregrinare, con gli onori degni del geniale letterato e poeta quale era: in anni di felice compresenza in città di personaggi illuminati sia sul seggio vescovile, occupato da Rinaldo da Concorrezzo, che al governo civile, a cui capo era Guido Novello da Polenta, Dante giunge a Ravenna e instaura rapporti amicali non solo con il polentano che lo aveva invitato presso la propria corte ma anche con la cerchia di letterati e giuristi che a quella corte facevano capo e ottiene un ruolo diplomatico che lo vedrà impegnato in delicate missione per conto dell’autorità cittadina. Dante sceglie Ravenna, eleggendola a sede per i suoi studi e per il compimento della Commedia, e la preferisce alla vicina Bologna dove era stato invitato dall’erudito Giovanni del Virgilio. Credo che proprio questa doppia, reciproca scelta – la città che sceglie e accoglie il poeta e Dante che preferisce e sceglie Ravenna – sia alla base degli sviluppi che nel corso del tempo ha avuto e ha tuttora il culto di Dante a Ravenna. Un culto antico perché nasce con l’arrivo stesso del poeta in città, acquista maggior senso appena dopo la sua morte, con la celebrazione delle esequie pubbliche e trionfali, e infine si consolida nel tempo con l’orgogliosa consapevolezza dei Ravennati di avere rappresentato “l’ultimo rifugio” di Dante. Nei secoli la memoria delle vicende dantesche subisce varie sorti ed è soggetta ad alterne fortune ma le spoglie del poeta vengono sempre tenute in considerazione, scrupolosamente custodite dai Frati Francescani prima e dalla municipalità poi, dopo la “riscoperta” del 1865.

Non ho dubbi che la devozione per la memoria dantesca abbia una parte fondamentale nella vita culturale ravennate e d’altronde le celebrazioni annuali della morte del poeta vedono un costante aumento di pubblico, grazie anche ad una vera e propria macchina organizzativa che si vale della competenza e del lavoro di tanti operatori, intellettuali, cittadini cui si deve la progettazione e la gestione delle cerimonie dantesche, che si protraggono a partire dalla domenica più prossima a quella della morte del poeta fino all’autunno inoltrato. La risposta degli ospiti che provengono da fuori città diventa via via sempre maggiore numericamente ma soprattutto sempre più positiva dal punto di vista della soddisfazione: tutto lascia ben sperare anche per il futuro!

Ciò che verrà posto in atto da questo anniversario, secondo il tuo pensiero, può sembrare anacronistico? Giudichi invece che il progetto ravennate abbia in sé motivi per esportarne una parte e che inciderà in futuro sulla vita culturale della città?

(AB) Per quanto ho appena detto sopra, l’attenzione per Dante è tutt’altro che anacronistica perché negli ultimi tempi i mass media ne hanno moltiplicato la popolarità. Mentre i critici letterari storcono il naso ascoltando certe letture di attori come Gassman o Benigni, che a volte commettono anche errori di metrica, la gente comune, grazie alla televisione e a internet, ha fatto di Dante un’audience virale, come si dice oggi. Ormai, essendo diventato fenomeno di massa, la sua popolarità ha anche significative ricadute economiche, a livello di turismo culturale o pseudo culturale, per cui penso che faccia bene la città di Ravenna, anche per ragioni monetarie, a dare al settimo centenario la più ampia rilevanza.

(GL) Non credo che Dante corra il rischio di essere avvertito come anacronistico. Anzi, la sua poesia sembra sempre attuale, tanto che mi viene spesso da dare ragione a quella famosa frase di Gianfranco Contini, secondo cui «la genuina impressione del postero, incontrandosi in Dante, non è d’imbattersi in un tenace e ben conservato sopravvissuto, ma di raggiungere qualcuno arrivato prima di lui» (Un’idea di Dante, Torino, Einaudi, 1976, p. 111). Anzi, Dante è tanto attuale che dobbiamo cercare di tenerlo a distanza per comprenderlo storicamente e criticamente. D’altra parte, forse possiamo essere talvolta noi studiosi e insegnanti a essere anacronistici, cioè a proporre Dante in un modo inefficace e inadatto al pubblico contemporaneo. Per evitare questo pericolo, credo che la strada migliore sia sempre quella di far parlare Dante nel modo più diretto, perché con la forza della sua poesia riesce sempre ad arrivare al pubblico con intensità e freschezza.

Mi pare che i molteplici eventi danteschi in fase di progettazione a Ravenna per il 2021 abbiano l’ambizione di tenere insieme questa fedeltà a Dante con l’applicazione di linguaggi a volte nuovi, capaci di interessare il pubblico anche dei più giovani.

(MT) Direi proprio di no. “Viva Dante” è una perfetta rappresentazione di una temperie strutturalmente “culturale”. Nella città che lo ha accolto esule, che ne conserva gelosamente le spoglie, che più di tutte ne celebra la memoria, si dà vita ogni anno, in autunno, a un ricchissimo e variegato programma un Dante fatto oggetto di convegni internazionali e di un’edizione speciale delle “Letture Classensi” (la più longeva collana dantesca italiana), di omaggi musicali, piacevoli “Conversazioni”, visite tematiche nella pineta di Classe o al Planetario, un Dante raccontato da graffitari e fotoreporter, fumettisti e attori di cabaret, recitato dai cittadini e letto ai neonati. Per l’anno dantesco oltre al programma di eventi che sarà particolarmente ricco e si aprirà con un concerto speciale di Riccardo Muti, sono previsti anche interventi strutturali sul Museo, sulla „Zona dantesca“ e sulla Biblioteca Classense.

(DP) Non credo che un evento che coinvolge l’intera Ravenna e che quest’anno ha portato in città quasi quaranta rappresentanti istituzionali di altri Comuni italiani possa essere considerato anacronistico. Né può essere considerato anacronistico, perché praticato in numeri molto alti, l’omaggio che tanti turisti, anche stranieri, recano alla tomba di Dante ogni giorno: molti sono gruppi o scolaresche che si fermano per una foto, tanti si avvicinano con atteggiamento partecipe, come presso il sepolcro di un parente. La forza di Dante sta anche in questo, nell’essere sentito da tutti come il simbolo universale della poesia.

Il futuro di Dante passa anche dal coinvolgimento delle giovani generazioni e non solo attraverso lo studio scolastico della Commedia: quale la formula migliore per diffondere tra i ragazzi il messaggio dantesco, che può essere legato alla sua epoca ma i cui aspetti sono anche incredibilmente contemporanei?

(AB) I giovani sono oggi disappetenti, la scuola, a cominciare dagli insegnanti, non è stata ricettiva nel cogliere le mutazioni antropologiche delle ultime generazioni. Occorre una nuova didattica anche per far conoscere Dante, che punti un po’ sull’erudizione e sulla storia ma sul fare vedere loro che soprattutto nella Commedia (ma anche nelle altre opere) si parla in primo luogo anche di loro, dei loro problemi, delle loro passioni, dei loro ideali. Dante ha la prodigiosa capacità di parlare a tutti: si tratta solo di mettere i giovani di oggi in sintonia con la sua poesia.

(GL) Fra i tanti problemi che rendono complicato l’insegnamento della letteratura italiana nella nostra scuola, quello di insegnare la Commedia dantesca non sembra il più inaffrontabile. Anzi, come mi capita di sentire talvolta dire dai colleghi, Dante “si insegna da solo”, cattura l’attenzione dei ragazzi e arriva dritto senza troppe difficoltà. Questo vale soprattutto per l’Inferno. Per il Purgatorio e ancora di più per il Paradiso le difficoltà sembrano maggiori, ma è perfettamente possibile costruire percorsi di lettura che possano interessare gli studenti e costruire su tali percorsi un’esperienza forte del testo. Basta affidarsi a Dante, alla forza della sua poesia, e mettersi umilmente al servizio del testo e dei suoi giovani lettori.

Al di fuori della scuola sono moltissimi i mezzi artistici e le modalità comunicative attraverso cui la poesia di Dante viene veicolata, dalla musica alla danza, dal teatro al fumetto, dal cinema alle arti visive. C’è una fortissima presenza di Dante nella cultura popolare, tanto che Dante è stato efficacemente definito una “icona pop”. Ecco, la speranza è che questo dantismo diffuso e “pop” possa accendere la curiosità e l’interesse nei ragazzi per una lettura diretta del testo di Dante, un’attenzione più consapevole per la sua poesia.

(MT) Rispondo con una considerazione: Dante è già popolarissimo tra i giovani, attraverso il cinema e la televisione, i best seller e il fumetto, le canzoni, i videogiochi e la pubblicità. Ciò può anche inquietare gli “intellettuali” che non hanno ancora neppure provato a percorrere i sentieri caotici della postmodernità. Chi però lavora nelle istituzioni culturali pubbliche ha il dovere di percorrerli quei sentieri, di esplorarne le deviazioni, anche quelle più divergenti dalla strada maestra. E magari, percorrendoli, si accorgerà che i suoi “ferri del mestiere”, forgiati in tanti anni di studio del poema e dei suoi esegeti, non sono ancora da buttar via.

(DP) La scuola ha senz’altro un ruolo fondamentale nell’educare i ragazzi alla conoscenza delle opere dantesche e d’altronde una prima conoscenza dei passi più noti della Commedia si affronta fin dalle scuole secondarie di primo grado. Ricordo, però, di avere assistito ad uno spettacolo sperimentale basato sulla recitazione di Tanto gentile e tanto onesta pare e messo in scena da una classe delle scuole primarie, istruita da una maestra lungimirante che ne aveva tratto ispirazione per una coinvolgente drammatizzazione: incredibile quanto l’intera classe fosse riuscita a cogliere la rarefatta dolcezza dei versi e quanto seriamente si atteggiasse nella recitazione. Credo che la ricerca di nuovi stimoli per i ragazzi possa passare anche attraverso lavori di questo genere: teatro, arti figurative, laboratori di poesia sono senz’altro utili per misurarsi con la grandezza senza tempo di Dante.

Dante è la profondità oscura dell’Inferno ma anche la dolcezza paradisiaca delle sfere celesti: immagini con il programma ravennate anche nei suoi passaggi espositivi, un coinvolgimento in cui la sua poetica si dilati e diventi per tutti?

(AB) Come ho appena detto, per farsi coinvolgere da Dante occorre coltivare da un lato l’intelligenza delle emozioni e dall’altro la dimensione civile che si può desumere dalla sua poesia. In altri termini bisogna cercare di provare in prima persona ciò che ha provato Francesca da Rimini nell’innamorarsi di Paolo, o di riuscire a indignarsi nel leggere le nefandezze dei malvagi, o ancora di stupirsi della fede granitica di Dante.

(GL) Ravenna è la città di Francesca e della pineta di Classe, una città indicata con precisi riferimenti alle vicende politiche e sociali nelle prime due cantiche. Ma è soprattutto la città del Paradiso, che qui in parte è stato scritto. Nel cielo di Saturno Dante celebra due santi contemplativi ravennati, Pier Damiani e Romualdo, nei canti XXI e XXII, omaggiando così la comunità che in quegli anni lo sta accogliendo generosamente. È rivelatorio che mentre di Verona il poeta celebra la dimensione politica, con l’esaltazione di Cangrande nel canto XVII, di Ravenna esalta invece la tradizione religiosa, la vocazione contemplativa, la fama di santità.

In questa direzione fortemente paradisiaca va anche l’influenza che i mosaici ravennati hanno esercitato sulla poesia dantesca, soprattutto nella terza cantica, come hanno dimostrato gli studi di Laura Pasquini e come ora è facilmente comprensibile anche al pubblico più ampio, grazie alla bellissima mostra “La bellezza ch’io vidi. La Divina Commedia e i mosaici di Ravenna”, organizzata dall’Arcidiocesi di Ravenna proprio con la consulenza scientifica di Laura Pasquini. È una mostra splendida che celebra insieme Dante e Ravenna in una dimensione paradisiaca.

(MT) Penso che la poesia di Dante possa parlare a tutti a patto che la si legga con tutti gli strumenti possibili, ma sempre con profondità e “serietà”. Nell’introduzione a una recente antologia per le scuole superiori gli autori dichiarano testualmente di aver lavorato per invogliare i ragazzi alla lettura, intesa come attività “consolatoria”. Bene, presa alla lettera, la dichiarazione dipinge esattamente ciò che non mi convince, e che, per essere franchi, mi pare deleterio per la scuola e per la cultura in generale. Se penso a un modello per lo studio e la ricerca, nell’arte come nella letteratura, penso all’invito che lo storico romagnolo Delio Cantimori soleva rivolgere ai suoi allievi, non a rimanere “terra terra” ma a “zappare” in profondità (dove può anche succedere di trovare qualche gemma, ma anche qualche scheletro tutt’altro che “consolatorio”); o alla celebre formula coniata da Aby Warburg: “Gott ist im Detail”. Ma il dio (o il demone), nel dettaglio e attraverso di esso, bisogna cercarlo; e molti, invece, o non lo cercano affatto, fermandosi alla superficie dell’opera, o in quel dettaglio vi si attardano, appagandosi in esso e dimenticando che in quel dettaglio dovrebbe nascondersi Dio (o il demone). Tra i miei modelli, per usare un esempio più concreto ed essere ancora più chiari, ci sono i libri di Gian Carlo Roscioni, che ha saputo scavare nel magma gaddiano, non fermandosi alle trovate linguistiche, ed evitando di risolvere poi tutto con lo stereotipo dell’espressionismo. Roscioni ha fatto per Gadda quello che nessuno o quasi ha fatto per un altro autore capitale della letteratura italiana: Manzoni. Uscire dalle formule (lo scrittore barocco e espressionista, il cristiano conciliante e democratico), e cercare nell’opera – usando tutti gli strumenti, biografici, filologici, testuali e metatestuali che si voglia – il pensiero originale dell’autore. Quella “visione del mondo” che nessuno, credo, dal grande critico al giovane studente, dovrebbe smettere di cercare nelle opere d’arte. Magari con la scusa della caduta (forse opportuna) delle ideologie e dell’abuso (grave) che di esse si è fatto nella storia e nella critica artistica e letteraria.

(DP) Credo che a Ravenna siano già stati fatti passi importanti in questa direzione, almeno per quanto riguarda la Commedia: penso agli spettacoli teatrali di Marco Martinelli ed Ermanna Montanari, che hanno riproposto nel 2017 e nel 2019 la lettura dell’Inferno e del Purgatorio in chiave collettiva, con la collaborazione di centinaia di persone, non solo adulti ma anche ragazzi e bambini, che si sono impegnate in prove e spettacoli quotidiani e hanno messo in scena un vero e proprio, intenso spettacolo corale. Ritengo che uno degli aspetti più significativi di questo lavoro sia la rilettura in chiave contemporanea che è stata fatta dell’opera dantesca, con il risultato di analizzarne e attualizzarne la poetica che è proprio quanto sarebbe auspicabile fare.

Molto si può fare anche dal punto di vista espositivo poiché il linguaggio dantesco ben si presta alla trasposizione figurativa, intriso com’è di metafore, di immagini simboliche, di accenni iconografici: e infatti sono numerosissimi gli esempi di illustrazioni a tema dantesco che possono essere utilizzati per avvicinare il grande pubblico all’opera e alla poetica di Dante. La vera sfida sarà continuare a farlo anche oltre il confine del 2021.

E da ultimo: quale Dante preferisci tra i tanti che ci propone non solo la Commedia e perché? O meglio: quale ruolo assegni prevalentemente al Poeta e come si è venuto configurando nella lunga durata degli studi danteschi?

(AB) In controtendenza a questo mondo apatico e inerte, l’aspetto che più preferisco in Dante è il suo anelito missionario, la forte passione politica, la volontà incrollabile di redimere il mondo che vive «immagini di ben seguendo false». Dante è come un Mosè che vuole liberarci tutti non già dalla cattività egizia, ma da questa società attratta dall’effimero e succube dell’indifferenza. Vuole che cominciamo a credere con tutte le nostre forze in un qualche ideale, non importa quale, purché con la stessa determinazione con cui ha professato i suoi nella Commedia.

(GL) Credo che Dante sia il poeta della molteplicità e dell’universalità, e che qui stia il suo grande fascino. La sua è la poesia del mondo terreno e dell’aldilà, dell’umanità in ogni suo aspetto, nei suoi vizi e nelle sue virtù, e insieme una poesia del divino. Il mondo è presentato in tutti i suoi aspetti, con una volontà di includere il reale nella sua inafferrabile molteplicità. Tutto il molteplice è indagato, raccontato, esplorato nella sua complessità. Ma accanto al molteplice c’è un senso fortissimo dell’unità, della necessità di accogliere tutto in una unità dialettica e responsabile.

(MT) Dante non può avere un solo ruolo; credo che la sua opera possa offrire materia viva per ogni aspetto della cultura e degli studi umanistici, dalla linguistica alla filosofia, dalla filologia alla storiografia. Il Dante che preferisco è quello più sofferto, il Dante “premoderno”, che prova, con Tommaso e Sigieri, ma anche con Averroè e Avicenna, a far “digerire” Aristotele alla cultura cristiana.

(DP) Devo dire che amo Dante sempre, come poeta e come personaggio, come giudice e come ispiratore di alti sentimenti e di un’etica illuminante anche per le nostre inquietudini contemporanee. Mi piace, però, soprattutto la storia della Commedia, il livello di lettura più semplice, che si può ripercorrere anche solo per il gusto di rileggere l’intreccio: il Dante agens, smarrito nella selva, che si affida a Virgilio, che, colmo di pietas, partecipa della pena inflitta a Paolo e Francesca, oppure che assiste al conciso quanto struggente racconto dell’ingiuria subita da “la Pia” (quanta parte della vicenda di Pia de’ Tolomei c’è ancora nelle cronache dei nostri giorni!) o che ascolta le lodi di san Francesco e san Domenico, dittico di campioni di santità. Il Dante “personaggio” di continiana memoria che compie il viaggio, per intenderci, quello che dalle profondità infernali giunge all’Eden e poi alle celestiali visioni del Paradiso: il Dante che ci rappresenta tutti, ancora oggi, e che ci offre una scintilla di luce da seguire per continuare a migliorare noi stessi.

 

L'autore

Maria Gioia Tavoni
Maria Gioia Tavoni
M. G. Tavoni, già professore ordinario di Bibliografia e Storia del libro, è studiosa con molti titoli al suo attivo. Oltre a studi che hanno privilegiato il Settecento ha intrapreso nuove ricerche su incunaboli e loro paratesto per poi approdare al Novecento, di cui analizza in particolare il libro d’artista nella sua dimensione storico-critica. Diverse sono le sue monografie e oltre 300 i suoi scritti come si evince dal suo sito www.mariagioiatavoni.it