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Dante nell’Inferno di Fukushima: Lorenzo Amato intervista Kazumasa Chiba  

Chiba Kazumasa (Kanagawa, 1967) dal 2000 dedica la propria arte alla rappresentazione di scenari ispirati alla Commedia di Dante, traducendone le istanze politiche e morali nel mondo moderno. Come su un palcoscenico teatrale, Chiba si ‘traveste’ da Dante e si muove in grandi paesaggi allegorici costruiti su elementi culturali ibridi, che derivano dal sincretismo di cultura popolare giapponese e tradizioni classiche occidentali e orientali, antiche e moderne. La sua arte è diventata famosa successivamente al conseguimento nel 2012 del prestigioso premio Toshiko Okamoto, ottenuto grazie alla rappresentazione della tragedia di Fukushima come allegoria infernale di tipo dantesco.

Interview in English

 

Galleria Mizuma
Galleria Mizuma

Ho potuto incontrare Kazumasa Chiba e il suo manager, Hatano Ko, per una lunga intervista che si è tenuta in un caffè vicino alla galleria Mizuma, che il signor Hatano gestisce. Proprio nella galleria Mizuma dal 21 agosto al 21 settembre 2019 si è svolta la mostra “Modern Interpretation of Dante’s ‘Divine Comedy’, dove erano esposte al pubblico tante opere di Chiba. L’intervista è stata condotta in italiano e in giapponese, ed è stata resa possibile dalla preziosa collaborazione dell’interprete italo-giapponese Maiko Mancini.

(sito internet: https://mizuma-art.co.jp/en/exhibitions/1908_chiba-kazumasa-modern-interpretation-of-dantes-divine-comedy/),

 

 

 

Da dove deriva il tuo interesse per l’arte? Che cosa ti ha ispirato a imparare pittura e scultura?

Mi è sempre piaciuta l’idea di creare qualcosa con le mani. Da ragazzo mi piacevano molto i modellini in plastica da montare, ad esempio i modellini Tamiya della Seconda Guerra Mondiale. Mi affascinavano moltissimo le divise dei soldati dei vari eserciti, ad esempio USA, tedeschi, o italiani, e ancor di più i mezzi corazzati come i carri armati. Osservavo con attenzione i dettagli realistici di quei modellini. All’epoca non ero consapevole del dibattito europeo sulla rappresentazione di armi e soldati, e soprattutto di soldati nazisti. Ero anche affascinato dai macchinari di ogni tipo, e soprattutto da mezzi di trasporto (aerei, navi, macchine) riprodotti in modo realistico, con fango, ruggine, e simili. In quel periodo si era sviluppata nell’ambito del modellismo la moda dei diorami, ovvero riproduzioni realistiche di scenari di battaglie, con alberi, pietre, case distrutte, e altri elementi di paesaggio, acquistabili come accessori o da costruire, nei quali si collocavano i modellini. Proprio osservando come si facevano i diorami ho sentito la voglia di imparare a dipingere. Volevo disporre i modellini di soldati e mezzi motorizzati in scenari il più possibile coerenti e realistici. Ma poi quando ho iniziato a dipingere impiegavo tecniche di resa dei dettagli realistici che avevo imparato dipingendo modellini, come ad esempio gli schizzi di pennello o i colpi di pennello a secco, e i miei lavori venivano lodati proprio per l’impiego di quelle tecniche. Insomma, io all’epoca disponevo i miei georami su scaffali, uno accando all’altro, sognando di aprire un giorno un negozio di modellini, ma alla fine l’attenzione che dedicavo alla pittura finì per prevalere.

Quindi all’inizio lavoravi soprattutto nell’ambito della modellazione?

Sì, ho iniziato studiando scultura. Le mie prime esperienze riguardano la scultura in pietra e la modellazione di argilla e materie plastiche. Ma mentre la pietra impone modalità di lavoro più meccaniche, l’argilla è più flessibile, e per questo motivo l’ho preferita fin da subito, anche perché a differenza della pietra si può colorare. Quando in classe provavo a modellare e poi colorare le mie opere in argilla ricevevo sempre molte lodi dagli insegnanti, e quindi mi sentivo spinto a continuare su quel percorso.

C’è qualche artista classico al quale pensavi mentre lavoravi con l’argilla?

Mi sono ispirato alla tecnica di Auguste Rodin, che modellava l’argilla, e poi la rivestiva di bronzo. Ho sempre cercato di imitare la tecnica di Rodin, e mi affascina profondamente l’atmosfera delle sue sculture, anche se poi io rappresento soggetti diversi. Inoltre mi interessa molto la spazialità delle opere, cioè il modo in cui ridefiniscono lo spazio [alcune opere in mostra alla galleria Mizuma ricordano molto da vicino Il Pensatore e Le porte dell’Inferno, delle quali c’è una versione davanti al Museo Nazionale d’Arte Occidentale di Tokyo, N.D.I.].

 

Quali artisti o movimenti hanno influenzato il tuo stile e la tua visione artistica?

Come ho già detto all’inizio si è trattato soprattutto di sviluppare elementi e immagini legate ai modellini, all’illustrazione, alla musica, e insomma a vari tipi di sottocultura che esistevano in Giappone. Mi rifacevo a un immaginario collettivo legato anche a film occidentali, come Star Wars, Alien o Predator. Grazie ad Alien, ad esempio, ho potuto conoscere l’arte di H.R. Giger, grandissimo maestro di un tipo fantasia legata al corpo umano. Amavo, anzi amo molto, anche l’immaginario apocalittico derivato dalla saga di Mad Max, e ad esempio il film uscito nel 2015 (Mad Max: Fury Road) ha avuto un’influenza fondamentale in alcune mie rappresentazioni recenti.

Ci sono artisti classici occidentali che ti hanno ispirato?

Nelle mie opere a tema dantesco ho fatto riferimento ad artisti che già avevano rappresentato tematiche simili, come Gustave Doré, William Blake, Hieronymus Bosch, e anche Pieter Bruegel il Vecchio. Ma ho studiato molto anche la fisicità di Michelangelo, Caravaggio, e di Rodin.

 

 

 

 

E ci sono pittori giapponesi che hanno altrettanta importanza nel tuo modo di dipingere?

Sì. Fra i pittori giapponesi che hanno avuto un impatto maggiore sul mio modo di vedere l’arte c’è sicuramente Kanō Kazunobu (1816-1863), che ho potuto conoscere grazie alle mostre che si sono tenute a Tokyo [nel 2006 al Tokyo National Museum, e poi nel 2011 all’ Edo-Tokyo Museum, dove nel 2011 fu esposta la serie completa dei cento rotoli dedicati ai 500 arhat, 五百羅漢図, che ha permesso la riscoperta di questo pittore fino ad allora piuttosto sottovalutato, N.D.I.]. Mi piacciono molto le rappresentazioni di dei e demoni di Soga Shōhaku (1730–1781), e in generale mi sento vicino alla tradizione dei pittori eccentrici [ovvero la linea Kisō-ha, 奇想派, che include oltre a Soga Shōhaku pittori molto famosi per la resa bizzarra e originale di tematiche ereditate dalla tradizione, come Hakuin Ekaku, Itō Jakuchū, e Nagasawa Rosetsu, N.D.I.]. Di questi e altri pittori ho studiato i dipinti che rappresentavano scene di guerra. Fra i pittori di oggi mi piace molto Makoto Aida, Takashi Murakami, Hisashi Tenmyouya, Tetsuya Ishida.

 Quali sono i tuoi strumenti preferiti in pittura? Come scegli i tuoi mezzi artistici?

Nei miei lavori pittorici uso molti tipi di colori, e ho un modo abbastanza personale di preparare il supporto. Lavoro su carta Fabriano, che in Giappone è piuttosto difficile da trovare, o in alternativa sulla Montval della Canson, che preparo con una base scura di caffè istantaneo. Spargo il caffè sulla carta in modo da coprire tutta la superficie, e poi lo inumidisco con un leggero strato d’acqua dato a pennello. In questo modo la base non è uniforme, ma si creano come delle onde scure. Questo è il mio modo di entrare nel mondo di Dante, un filtro scuro che mi permette di visualizzare un mondo diverso. Non credo che riuscirei a dipingere su una tela completamente bianca. A livello di colori posso usare acrilici, pastelli, matite o penne, a seconda dell’effetto che voglio ricreare sul dipinto.

E in scultura?

In scultura continuo a usare argilla, spago bianco, fili morbidi di alluminio, ferro e legno. Come ho detto sopra da un punto di vista tecnico mi sento ispirato dal modo di lavorare di Rodin.

 I tuoi dipinti maggiori sono molto grandi in dimensione e ricchi di dettagli. Quanto tempo impieghi per completare un dipinto?

Credo che per valutare il tempo complessivo si debbano considerare, oltre alla stesura pittorica vera e propria, la raccolta preliminare di informazioni su storie e personaggi da rappresentare, nonché gli schizzi iniziali e i disegni preparatori. In tal caso parliamo di un anno, un anno e mezzo.

 A un certo punto della tua carriera hai iniziato a usare la Divina Commedia di Dante come fonte di ispirazione per i tuoi dipinti. Come hai conosciuto l’opera di Dante?

In principio la mia conoscenza di Dante è stata mediata dalle mie letture di manga giapponesi, e in particolare da Go Nagai. Molti dei lavori di Nagai risentono di idee e immagini dantesche. Ad esempio mi piaceva molto Devilman. Ma di tutti i suoi manga è Mao Dante quello che rielabora in modo più evidente il mito dantesco. È così che ho conosciuto Dante. Dante è pubblicato in Giappone in tante versioni, che hanno rese lessicali diverse e che possono essere anche molto difficili. Ho cercato delle versioni semplici, che potessi comprendere pur non essendo un esperto della storia o della lingua italiana, e ho trovato molto utile ad esempio la traduzione di Bunshō Jugaku (ed. Shūeisha, 1974-1976).

Cosa ti ha interessato maggiormente di Dante? Perché hai deciso di dedicarti a Dante in modo esclusivo?

Come ho detto all’inizio mi sono interessato a Dante grazie alla lettura di Devilman e Mao Dante. Successivamente, però, sono rimasto impressionato dalla profondità di Dante, e di come riesca a mostrare la sua rabbia nei confronti dei problemi sociali e politici del suo tempo mentre descrive i regni ultraterreni. Questo ha influenzato moltissimo il mio modo di vedere l’arte, e ha incanalato la mia rabbia per i problemi sociali del nostro tempo nei miei primi dipinti ispirati a Dante. Da quel momento ho deciso di trattare con l’arte questioni politiche e sociali. Le mie non sono illustrazioni della Divina Commedia, ma sono rappresentazioni di Inferno, Purgatorio e Paradiso che parlano del mondo di oggi.

Nelle tue rappresentazioni di Inferno, Purgatorio e Paradiso il personaggio in rosso, che dovrebbe essere Dante, in realtà è sempre un autoritratto: è Kazumasa Chiba infatti a compiere il viaggio nei regni ultraterreni.

In un certo senso la mia idea è un’idea teatrale. Infatti nel teatro Kabuki è consuetudine che registi diversi rappresentino una stessa storia con scenografie e scelte stilistiche molto diverse. La stessa cosa avviene ad esempio nell’opera italiana. E queste scelte stilistiche influenzano spesso il messaggio che il regista affida alla rappresentazione teatrale, pur usando una stessa storia di partenza. Leggendo Dante, a un certo punto mi sono chiesto come sarebbe cambiata la rappresentazione dei mondi ultraterreni se al posto di Dante ci fossi stato io. Non mi identifico con Dante, ma vorrei avere i suoi occhi per scrutare la società attuale. Uso cioè la Commedia come mezzo per parlare delle contraddizioni e dei problemi che sento più vivi nel mondo di oggi.

 

In futuro continuerai a trarre materia solo da Dante, o anche da altri scrittori?

In molti mi suggeriscono di ispirarmi anche ad altri scrittori, ma al momento non ho intenzione di cambiare modello. Infatti, anche se ho dipinto scene dantesche per tanti anni, credo di avere ancora molto da imparare, e quindi di dover approfondire il più possibile la conoscenza di Dante. Ci sono tanti canti della Commedia che non ho ancora rappresentato!

Qual è stato il momento più importante della tua carriera?

Sicuramente il premio ottenuto alla quindicesima edizione del Taro Okamoto Memorial Modern Art Award (2012) mi ha spinto molto, e mi ha reso molto orgoglioso. In quell’occasione esposi i miei primi dipinti ispirati alla tragedia di Fukushima, ma alcune persone si rifiutarono di vederli, perché facevo vedere nei miei dipinti ‘fantastici’ alcune situazioni reali.

 

 

 

 

In alcuni disegni, e anche in pittura, fai riferimento ad alcuni politici e persone famose giapponesi, talvolta associandoli a simboli negativi o a veri e propri insulti. Questo accade molto di rado nell’arte giapponese, che normalmente evita di confrontarsi con questioni sociali e politiche. Questa scelta decisamente anticonformista deriva dalla lettura della Commedia di Dante?

Dante nomina in modo molto chiaro le persone famose che secondo lui sono colpevoli di qualcosa, anche se sono ancora vive. Diciamo che questo tipo di poesia mi ha mostrato una possibile strada per affrontare con l’arte i problemi del mondo, e quindi anche sfogare la rabbia che a volte provo nei confronti di certe persone, politici o responsabili di avvenimenti importanti, come tutte le persone coinvolte nel disastro di Fukushima. Ogni volta che succedono disastri, o che vengono fatte scelte a livello politico che poi provocano conseguenze negative, provo una forte rabbia. È raro che le persone comuni possano avere un qualche impatto su quelle scelte, e a volte mi verrebbe voglia di mostrare il mio dissenso in forma di protesta anche violenta. In questo senso l’arte è un modo per sfogare questa rabbia, ma anche per lasciare un segno, ovvero per mostrare quello che penso.

 

Passiamo adesso a uno degli aspetti più discussi della tua arte, ovvero la rappresentazione del disastro del 2011 a Fukushima e nelle prefetture vicine. Prima di tutto: quale è il tuo rapporto con Fukushima?

Io sono nato a Tokyo, e non a Fukushima. Tuttavia la mia famiglia è di Fukushima, e a Fukushima ci sono le tombe dei miei nonni. Da ragazzo in estate andavo sempre in vacanza nelle campagne di Fukushima, e di quel periodo della mia vita ho ricordi meravigliosi di giornate passate sotto il sole a mangiare anguria, oppure a fare il bagno nei laghi, o nel mare. A volte pescavamo tutti insieme e mangiavamo il pesce pescato. Fino al disastro del 2011 i miei familiari si occupavano di agricoltura, e tutti gli anni mi spedivano il riso, che era eccellente. Questo rapporto si è interrotto dopo l’11 marzo 2011.

Nel marzo del 2011 infatti vi fu un terremoto fortissimo, seguito da uno tsunami che, oltre a inondare tanti paesi vicino alla costa, causò un gravissimo incidente alla centrale nucleare di Fukushima Daiichi. La fuga di materiale radioattivo ha portato a una crisi ancora in corso dopo quasi dieci anni.

Per me l’incidente del 2011 è stato un grandissimo shock. I miei rapporti con le persone di Fukushima sono completamente cambiati. Il fatto è che gran parte dell’energia prodotta nelle centrali nucleari sparse per il Giappone serve per mantenere gli enormi consumi del Kantō [la regione centrale del Giappone, dominata dall’area metropolitana di Tokyo, N.D.I.]. Molte comunità colpite dal disastro della centrale nucleare hanno quindi identificato le persone di Tokyo come co-responsabili di tutti i loro problemi, e addirittura alcuni dei miei parenti si sono rifiutati di tenersi in contatto con me, a seguito dell’incidente.

Qual è la situazione attuale? Ci sono stati miglioramenti per le comunità colpite?

Dal 2011 non sono più andato a Fukushima. In realtà è difficile sapere come vanno le cose, perché i media non ne parlano, come se il problema non fosse mai esistito. Quel che è certo è che la radioattività è molto alta. L’agricoltura è danneggiata, e mi è stato detto che è assolutamente vietato mangiare pesce pescato nei fiumi, che sono considerati contaminati.

Purtroppo la tragedia di Fukushima ha avuto un impatto di lunga durata su tutti, anche su persone non giapponesi. Io ho iniziato il mio soggiorno in Giappone proprio in quei giorni. Diciamo che i miei programmi, familiari e lavorativi, ne sono stati sconvolti. Anche la tua arte è stata influenzata da questa grande tragedia?

Sì. Già da prima del 2011 dipingevo scene e soggetti ispirati alla Commedia. La tragedia di Fukushima non ha cambiato il mio interesse per Dante, ma lo ha diretto verso una maggiore immersione nell’attualità. Ho creato infatti una serie di disegni specificamente dedicati ad aspetti della tragedia di Fukushima, e alcuni grandi pannelli dell’Inferno e del Purgatorio ne riportano tracce evidenti. Sono soprattutto le allegorie legate al consumo di energia, agli sprechi, al rischio del nucleare, che emergono con più evidenza nelle mie opere. Per me questo è il vero Inferno.

In effetti in uno dei pannelli maggiori esposti alla mostra tenutasi presso la galleria Mizuma possiamo vedere un paesaggio devastato e radioattivo, pieno di demoni e personaggi sofferenti. Nel mezzo siede un Dante-Chiba straziato dal dolore, in lacrime. Cosa ci puoi dire di questo dipinto?

Si tratta di Inferno 4-6. L’ho terminato ed esposto nel 2012, ma avevo iniziato a raccogliere materiale e a fare schizzi per quel dipinto già qualche settimana dopo la tragedia di Fukushima. In quei mesi ero a Nagoya, dove mi ero trasferito per paura di una possibile ulteriore esplosione della centrale nucleare. Il dipinto rappresenta la sofferenza indicibile che provavo. Sentivo che non potevo fare nulla, ero impotente. L’unica cosa da fare era disegnare. Disegnavo e poi dipingevo senza un vero progetto divulgativo, né tanto meno avevo idea di dipingere per vendere, ma cercavo solo di esprimere il mio grande dolore. In quel periodo ero in grande difficoltà personale: avevo tre figli piccoli, ed era difficile anche procurarsi l’acqua da bere. L’acqua del rubinetto era contaminata dalle radiazioni. Per questo, ad esempio, ho rappresentato una bottiglia d’acqua delle Alpi giapponesi: anche questo tipo di acqua, così facile da trovare in ogni convenient store [ubiqui a Tokyo, e aperti 24 ore su 24, N.D.I.], in quei giorni era irreperibile. Mancava anche il carburante per la macchina. In alcuni giorni arrivavo al distributore alle 9 del mattino e riuscivo a rifornire l’auto solo alle 6 del pomeriggio. Nel quadro tuttavia non piango per i miei problemi personali, ma perché di fronte a questa grande catastrofe penso alla fine del mondo.

 

Il quadro è pieno di politici e altri personaggi reali.

Sì. sono le persone che all’epoca erano coinvolte in diversa misura nella pessima gestione della situazione, causando la tragedia, o che avevano una qualche responsabilità nei confronti di tutti i cittadini giapponesi ma l’hanno tradita. A sinistra l’uomo con la testa scoppiata è Naoto Kan [primo ministro all’epoca dei fatti, N.D.I.], che ha in mano un poster rappresentante Hou Ren, Ministro di Stato per gli Affari Speciali. Poi il capo del gabinetto del governo Yukio Edano. L’uomo trafitto dal Minotauro è l’allora Ministro dell’Economia, Commercio e Industria, con delega alla Sicurezza Nucleare, Hidehiko Nishiyama. La testa impalata è quella del Commissario per la Sicurezza Nucleare, Haruki Madarame. Il quadro è anche pieno di mostri, derivanti in parte da Bosch, in parte da Kanō Kazunobu, in parte dalla tradizione più diffusa degli yokai giapponesi o dell’immaginario occidentale.

 

Però ci sono anche personaggi che assomigliano ad alcune delle vittime della catastrofe.

Sì. Ho riportato molte persone che in quei giorni si vedevano nelle foto dei giornali. Ad esempio in alto a destra si vede una donna in rosso che prega di fronte alla catastrofe, mentre nel centro una donna piange davanti al figlio morto: si tratta di immagini reali, famose in quel periodo, che ho riportato in pittura. Anche il paesaggio della città sovrastata dagli elicotteri di soccorso è ripreso da foto di quei giorni. Ho voluto rappresentare l’incendio che seguì allo tsunami a penna, disegnando tratto a tratto. Questo paesaggio raffigura simbolicamente non solo Fukushima, ma tutte le altre prefetture giapponesi coinvolte nella devastazione. Anche Dante con il volto coperto dalla mascherina di carta nasce dal sentimento di quei giorni: in molti all’epoca per paura usavano la mascherina antibatterica, anche se ovviamente era del tutto inutile contro le radiazioni. Ma in tanti non sapevano come fare per continuare a vivere e uscire di casa.

Nel complesso il paesaggio ricorda molto certe fantasie post-apocalittiche, ad esempio Mad Max.

Sì, e non è un caso. In tutti i film di quel genere [ovvero la trilogia originaria di Mad Max di George Miller, uscita fra 1979 e 1985, N.D.I.] è molto presente il tema della mancanza di acqua e di carburante per le macchine, e intorno al dominio di quei beni primari si sviluppano i film. Gli eventi delle settimane successive alla tragedia di Fukushima hanno mostrato come è facile vedere realizzate le peggiori profezie dei film post-apocalittici.

C’è anche molto Bruegel

In generale studiare Bruegel mi ha influenzato molto nel concepire i grandi quadri come un assieme di tanti simboli, ognuno dei quali con un significato specifico. Infatti in Bruegel a ogni personaggio è legato un significato, che andrebbe illustrato [mostra la traduzione giapponese del volume della Taschen dedicato a Bruegel, aprendo la pagina su alcuni dipinti corredati di note nottagliate per ognuno delle decine dei personaggi rappresentati, N.D.I.]. I miei dipinti più ampi di Inferno, Purgatorio e Paradiso richiedono di essere interpretati in modo altrettanto dettagliato. A ogni personaggio e ogni oggetto sono legati simboli e idee relative alla condizione del mondo nel quale viviamo. È stato lo studio dei dipinti di Bruegel, ma anche di quelli di Bosch, così ricchi di creature mostruose e fantasie infernali cariche di simboli, che mi ha ispirato in questo senso. In effetti in precedenza avevo un sito internet personale nel quale collegavo ogni mio dipinto a una serie di note relative a ogni personaggio o oggetto rappresentato. Da quando collaboro con la galleria Mizuma non ho più questo rapporto diretto con il pubblico.

Questo simbolismo è presente in tutti i tuoi dipinti. Ad esempio in altre rappresentazioni dell’Inferno molti demoni sono vestiti da militari, con armature e armi d’assalto, oppure sono mostri che in qualche modo portano su se stessi i simboli della guerra. Rappresenti anche prodotti di consumo quotidiano, soldi e immagini pubblicitarie come elementi infernali. Puoi spiegare a mo’ di esempio alcuni di questi simboli?

Certamente. Prendiamo ad esempio il dipinto chiamato Purgatorio I (primo grande pannello di una serie di tre). Nel dipinto è raffigurata la porta del Purgatorio, che visivamente si ispira molto a Mad Max, così come la macchina Interceptor al centro. Tutto il dipinto rappresenta i desideri materiali umani come fossero pesi che schiacciano le anime. Faccio alcuni esempi: sulla sinistra possiamo vedere una confezione di plastica contenente ramen precotti (cup noodles). Ecco, i ramen mangiati in questo modo non fanno bene alla salute, e tutte queste confezioni di plastica in circolazione, malgrado la facilità di preparazione ne incoraggi l’acquisto e il consumo, sono un problema per l’ambiente e per il mondo.

C’è anche una confezione di gyudon [carne di manzo su riso, servita soprattutto in catene di ristoranti a basso costo, N.D.I.]. Si tratta di cibo da fast-food, di bassa qualità, che fa male alla salute, eppure per crearlo una mucca è stata uccisa. Di prodotti simili se ne consumano a milioni ogni giorno, e quindi parliamo di milioni di animali morti per esser trasformati in spazzatura. Anche il frigorifero rappresenta questo genere di modo di vivere, dettato dal consumo e dai soldi, che rappresentano l’avidità all’origine di tutti questi mali. Infatti nell’immagine si vedono delle persone schiacciate dai soldi, ma anche da un rubino, che in sé è una pietra naturale, ma che diventa nel nostro modo di vivere una fonte di avidità e quindi di male. A questo si ricollegano altri simboli, come a sinistra la bomba, che fa riferimento a Little Boy, la prima bomba atomica della storia che ha devastato Hiroshima.

In un altro dipinto raffigurante il Purgatorio, Purgatorio III, rappresenti un robot che difende il Purgatorio. Quali simboli sono legati a questo dipinto, e a quali riferimenti a elementi della cultura popolare sono legati?

Tanti singoli elementi inerenti i personaggi, ma anche quelli legati alla composizione generale, derivano da sottoculture giapponesi e non solo. C’è molta ispirazione ‘metal’ in tutto il dipinto, a partire dalle scalinate metalliche del Purgatorio: la piramide si ispira da una parte agli egiziani [come si vede da alcune raffigurazioni di persone in preghiera, N.D.I.], ma in generale, come anche i robot attorno, rimanda alla cultura mecha-rock, alla quale si sovrappongono riferimenti visivi ai recenti film sui Transformers diretti da Michael Bay. In basso a destra rimando invece a un immaginario legato ai Low Rider USA e a H.R. Giger. Si vede anche una creatura ispirata a Predator, così come un robot che ha preso spunto da cartoni animati giapponesi come Kyashyan e Gundam. Il mostro meccanico in alto a destra è un mio design, ed è ispirato a grandi macchinari da lavoro (come dimostra il piegamento della gamba). Queste grandi creature meccaniche fanno parte del Purgatorio, ne sono i guardiani. Quella sorta di demoni in rosso, mascherati, che si vedono sulla piramide, sono ispirati alla band Heavy Metal chiamata Sleep Note. Non è tutto: il Purgatorio contiene in effetti i vari tipi di peccatori. Dentro alle nuvole di fumo, che vengono dalle stampe di Doré, si nascondono anime di peccatori. Nella piramide sono poi rappresentate le condizioni di tipi diversi di anime, quindi anime che dormono per sempre, o che corrono per sempre, o che sono in mezzo alle fiamme, ecc.

Anche a Virgilio sono affidati simboli che vanno al di là del dettato dantesco

Virgilio è la guida di Dante, il suo maestro. Normalmente è rappresentato come un uomo civile e posato. Ma proprio perché deve guidare Dante attraverso le intemperie dell’Inferno, ho pensato che abbia bisogno di vari sistemi di difesa, ovvero prima di tutto armi e armatura. Inoltre, poiché Virgilio ha visto e anche vissuto il male dell’Inferno, ha assunto le fattezze dei demoni, anche per auto-difesa. È diventato rosso perché l’Inferno è, in un certo senso, un mare di sangue. Per il vestito di Virgilio mi sono ispirato ai vestiti vietnamiti e in parte alla street-fashion tigrata giapponese e americana.

La rappresentazione dell’Inferno è spesso legata a immagini di guerra.

L’Inferno infatti è uno stato di guerra. Ma allo stesso tempo contiene riferimenti a tanti altri peccati e mali del mondo, che nel complesso derivano dall’avidità degli uomini. Anche la guerra deriva dall’avidità.

Le volte dell’Inferno sono divise in fasce, piene di innumerevoli figure.

Nelle volte dell’Inferno sono rappresentate delle fasce con tutti i delitti e peccati tipici dell’umanità, differenziati per categorie come nei gironi infernali. Nelle fasce sono rappresentati quindi tutti i tipi di crimini, a partire da quelli violenti come gli omicidi o gli stupri, fino alla criminalità organizzata giapponese, ai soldati crociati e all’esercito americano. Infatti nel mondo c’è attualmente un’idea degli USA come rappresentanti della pace e della giustizia nel mondo, mentre l’avidità e il militarismo USA sono la causa di tante ingiustizie e tanti mali del mondo moderno.

 

Dicci qualcosa di più sulla tua idea di Inferno. Per Dante, come in generale per le persone cristiane, l’Inferno è un luogo al quale sono condannate le anime dei malvagi. Cosa è per te l’Inferno?

Per me l’Inferno non è un luogo ultraterreno: l’Inferno è il mondo attuale, è la vita umana. La vita è composta di tanti momenti dolorosi, a partire dalla nascita. Tutti gli esseri umani nascono piangendo, e solo in pochi muoiono in pace e in silenzio. E così in generale il mondo e la storia umana sono un susseguirsi di mali.

Questo modo di vedere il mondo è diffuso in Giappone?

No. Non ci sono molte persone in Giappone che condividano una visione della vita così pessimistica. Potrebbe essere, d’altronde, che la mia idea derivi dalla mia vita, che è stata fin dall’inizio difficile a causa di profondi problemi familiari. Mia madre, che aveva una displasia congenita dell’anca, e quindi difficoltà motorie, soffriva anche di disturbi mentali che avevano un grosso impatto sulle sue interazioni sociali. I miei genitori non volevano che altre persone sapessero dei problemi mentali, e da bambino era veramente difficile vedere mia madre mostrare forti sintomi di disturbi dei quali non si poteva parlare. Mio padre è venuto a mancare prima che potessimo affrontare la questione, e io sono cresciuto con sentimenti contrastanti verso i miei genitori: amore, certo, ma allo stesso tempo un profondo senso di impotenza e anche rabbia. Solo da adulto ho potuto affrontare e in qualche modo elaborare questi problemi. Stando faccia a faccia con i miei figli ho potuto rivedere me stesso da bambino, e creando arte ho potuto liberarmi dalla sofferenza che mi tenevo dentro da anni, ed esprimere i miei sentimenti. In seguit, ovviamente, anche la tragedia di Fukushima ha avuto un impatto notevole sul mio modo di vivere. In questo senso mi sento molto vicino a Dante, che ha avuto un’esistenza difficile.

Credi che l’arte possa aiutare a contrastare il Male del mondo?

Non credo che l’arte sia un’arma per contrastare il male. Piuttosto è un mezzo catartico per l’artista e per il pubblico. Personalmente grazie all’arte sono riuscito a dar sfogo al mio male interiore. Sentivo infatti il bisogno di reagire anche in modo violento a tanto male e a tanta frustrazione, ma ho incanalato questo sentimento nell’arte.

 

 

 

 

Parliamo un po’ del Paradiso: il Paradiso che possiamo osservare nei tuoi dipinti non è il Paradiso di Dante, e sicuramente non è quello descritto dai teologi cristiani. Anzi, è piuttosto evidente la presenza di persone di tante religioni diverse, da quelle pagane come gli dei vichinghi, a quelle moderne come quelle indiane, buddhiste, cristiane. Sono presenti anche filosofi, scrittori, ecc.

Infatti il Paradiso non è un luogo legato a una credenza religiosa. Piuttosto è un luogo filosofico, o meglio una sorta di congresso ultraterreno in cui scrittori, artisti e filosofi discutono di cosa sia la morte e di cosa ci sia nell’universo, e di altri argomenti profondi ed essenziali per definirci come esseri umani.

 

 

C’è una qualche religione o filosofia che ti ha ispirato in questa visione ecumenica del Paradiso come luogo di pacifica discussione?

Da una parte si tratta, appunto, di un’aspirazione a un luogo di pace per tutti. D’altra parte questa idea dell’importanza di una riflessione permanente sul significato del nostro stare al mondo deriva dalla lettura della scrittrice e filosofa Akiko Ikeda [1960-2007, N.D.I.], che alle più profonde tematiche esistenziali ha dedicato numerosi libri. Ikeda sostiene che il progresso umano si è indirizzato in una direzione sbagliata, e che l’esistenza umana ormai si è fossilizzata in una sopravvivenza permanente, senza prospettiva di crescita interiore. La scienza e anche la medicina sono ormai basate su questa idea sbagliata della vita, per cui anziché promuovere una riflessione sulla vita e dare un senso profondo al vivere puntano ad allungare la vita, intesa come mera sopravvivenza. I libri di Ikeda invitano a non smettere mai di riflettere sulla vita. Io ho iniziato a leggerli durante una fase piuttosto negativa della mia vita, e mi hanno ispirato a guardarmi dentro in modo nuovo.

Per questo nel dipinto sono presenti così tanti filosofi? Ad esempio è piuttosto evidente Leonardo, che ricorda molto da vicino il modo in cui lo ha raffigurato Raffaello nelle Stanze Vaticane

Sì, e non solo Leonardo. Ho voluto rappresentare Socrate, Platone, Wittgenstein e molti altri pensatori occidentali. Ma al centro del dipinto sta proprio Akiko Ikeda, che è morta nel 2007. La composizione ruota attorno a lei. In futuro progetto altri dipinti dedicati ad Akiko Ikeda.

 

Qual è il messaggio più importante che vorresti comunicare al pubblico italiano ed europeo con la tua arte?

L’arte è un processo che richiede una lunga elaborazione, ed è necessario un grande lavoro per portare un’opera a compimento. Anche così, ne vale la pena, perché l’arte può comunicare al di là dei confini nazionali. Mi piacerebbe che tutti si ponessero le domande più profonde e anche più scomode a proposito della vita e della morte. Con la mia arte vorrei spingere il pubblico di ogni nazionalità a porsi queste domande.

Quali sono i progetti per il tuo futuro immediato? Continuerai la tua ricerca artistica su Dante?

Ci sono ancora tanti lavori da realizzare, sempre seguendo il magistero dantesco. Intendo quindi continuare su questa strada ancora a lungo.

Hai un messaggio finale per i lettori italiani ed europei?

Finora ho potuto viaggiare poco in Europa, e ho visitato solo la Polonia. Mi piacerebbe mostrare le mie opere a un pubblico italiano, in Italia, e mi impegnerò a realizzare questo sogno. Il mio sogno è di vedere un giorno i miei quadri essere esposti a Firenze, la città di Dante!

lorenzo.amato2014@gmail.com

L'autore

Lorenzo Amato
Lorenzo Amato
Lorenzo Amato è professore di Letteratura italiana presso l'Università di Tokyo