Nel curriculum di Valeria Brancaforte, sapendo cogliere le fasi nelle quali meglio si è profilato il proprio orizzonte artistico, è Valeria stessa a porsi delle domande per appagare esigenze di conoscenza interiori: «Che fattori considero quando inizio a lavorare a un nuovo libro e quanto tempo impiego? Così si chiede l’artista e così si risponde: Il primo duro lavoro, che può essere molto, molto lungo, è indagare, fare ricerca e studiare un testo che soddisfi i miei criteri e requisiti, che sono i seguenti: rispettare la lingua originale del testo, che può essere una lingua qualsiasi, che si possa idealmente associare a una versione in inglese perché il lavoro possa circolare internazionalmente; isolare un testo breve, dal momento che dovrò inciderlo lettera per lettera. Posso anche estrarne alcuni frammenti, ma dovranno avere un senso nel loro nuovo contesto “ridotto”, che dev’essere “filologicamente corretto” rispetto all’originale; sentire una sincronicità emotiva e spontanea verso il lavoro dell’autore».
In queste risposte sta la poetica della Brancaforte, autodidatta come artista, ma intellettuale di punta e «privilegiata», come sempre lei stessa si definisce, per la formazione avuta in famiglia e per la sua laurea in Letterature Slave che le ha consentito di rivolgersi anche a mondi in gran parte sconosciuti ai suoi colleghi.
È soprattutto il libro d’artista, nel quale si esercita il suo ‘sapere’, a segnare l’universo di conoscenze dell’autrice. Di ogni suo libro la Brancaforte sa disegnare le origini spesso colte dal sociale, e gli elementi che lo caratterizzano nell’intenso rapporto parola-immagine al quale l’artista affida il proprio messaggio autoriale. I suoi lavori sono riconosciuti nei maggiori consessi non unicamente europei e vengono collezionati, oltre che da privati, da prestigiose istituzioni. È vincitrice di numerosi premi e le sono tributati i maggiori riconoscimenti del settore. Da molti anni la Brancaforte vive in Spagna dove svolge un’intensa attività proprio a favore del libro d’artista su scala internazionale.
Vivi a Barcellona in Spagna dove svolgi anche la tua attività di promotrice del libro d’artista a livello europeo. Quando hai deciso di trasferirti e come sei riuscita a mantenere saldi i tuoi rapporti con la madre patria? Inoltre come alimenti il settore di tua specifica competenza?
Visitando Barcellona per la prima volta, ebbi modo di conoscere quella che allora era la sua principale scuola di incisione: mi abbagliò talmente che, d’impulso, mi iscrissi per avere libero accesso a quei meravigliosi laboratori. L’idea era di frequentare dei corsi monografici durante quello che avrebbe dovuto essere un anno “sabbatico”, ma poco dopo avrei già maturato la mia decisione definitiva in favore della città catalana.
Con la madre patria mantenere rapporti saldi è cosa naturale, specialmente se alla base ci sono interessi comuni forti come l’arte. Su un terreno circoscritto come quello del libro d’artista, è anche facile creare nuovi legami e inaspettate sintonie.
Sei fra i pochi artisti che dedichi prevalentemente le tue cure e il tuo impegno soprattutto ai libri, traendo spunto e alimento dall’espressionismo tedesco e dall’avanguardia russa fusi con le parole e le immagini del tuo ricco bagaglio interiore. Come hai raggiunto questo obiettivo e qual è il tuo rapporto con le motivazioni sociali che spesso sembrano essere alla base della tua operatività? Che cosa per te riveste maggiore fascino e interviene più prepotentemente nel tuo ‘fare’: le parole e i loro simboli semantici, o le azioni?
La dimensione-libro è stata una conseguenza naturale scaturita da un primo rudimentale accostamento di parola e immagine in uno spazio relativamente angusto: ho iniziato infatti incidendo dei piccoli ex libris, le mie prime commissioni negli anni milanesi, e mi affascinava avere un pretesto per mettere insieme parole e immagini. L’incontro con la stampa mi ha entusiasmato enormemente per la sua potenza, per la capacità di riprodurre artigianalmente blocchi diversi incisi e inchiostrati, consentendone la modulazione e la varietà di combinazioni degli elementi base che costruiscono un libro illustrato, una narrazione con immagini. Sono attenta alle tematiche sociali ma procedo in maniera intimista: è lo stato d’animo che mi muove, è una certa emozione che mi investe e che sento di voler trattenere saldamente, fissandola dentro di me, per poi cercare di trasmetterla. Può scaturire da un’infinità di situazioni, più spesso da letture, anche casuali. La maggior parte delle volte finisco per incorporare il testo nella composizione: la parola, veicolo tra pensiero ed emozione, è la scintilla da cui molto parte, se “attivata” dall’immaginazione. Una volta trovato il testo, le immagini dovranno trovare me, e solo quando entrambi gli elementi mi “appaiono” armonicamente in una medesima coreografia, allora saprò che il progetto può cominciare a esistere.
Tu stessa imprimi i tuoi testi nell’antico metodo dello scavo direttamente su di una matrice, spesso utilizzando il linoleum. A cosa si deve questa tua scelta? È così importante per te tenere unite in un unico approccio artistico parola e immagine?
Io ammiro molto il lavoro di colleghi che costruiscono libri con la sola potenza dell’immagine, ma non credo di averne mai fatto uno: un’opera è formata per me da un elemento di narrazione ed uno di raffigurazione. Nel corso degli anni la “ricetta” di pesi ed equilibri tra testo e illustrazione è mutata moltissimo: se al principio concepivo i due elementi come irremovibili sullo stesso blocco, indissolubilmente uniti nello spazio di una matrice, in seguito ho imparato a giocare con la composizione in modo più fluido, incidendo testo e illustrazione su blocchi di materiali separati, in tempi e spazi differenti sin dal primo momento. Questo mi ha permesso di modulare la tipologia delle opere create fino ad ora, giungendo a “declinare” le pagine di un libro come fossero dei posters, modificando di volta in volta la disposizione delle matrici, utilizzate pertanto come dei veri e propri “caratteri mobili”: il “progetto Shakespeare”, nato inizialmente come unico libro d’artista, si snoda per la prima volta in una serie di stampe di grande formato, come è possibile riscontrare in questo breve video:
Dal punto di vista tecnico, il linoleum è per me il mezzo perfetto per poter lavorare con velocità ed energia, ottenendo un linguaggio grafico nitido e potente.
È un materiale che permette di delineare pieni e vuoti in maniera definita e binaria, che mi obbliga a un affascinante esercizio di sintesi grafica. Una tecnica che a me sembra semplice e sofisticata al tempo stesso.
Quest’altro piccolo filmato
può fornirci un esempio in tempo reale di come è facile intagliare.
Va detto che nel mio quotidiano cerco di coltivare il disegno dal vero e l’acquerello, pratiche fondamentali per la ricerca artistica, e che offrono, a differenza della stampa, una magica immediatezza.
Spesso sei chiamata in consessi internazionali. I tuoi «monologhi», ovvero il tuo fare tutto da sola, abbracciano l’intero spazio destinato al libro. Avverti differenze con i tuoi colleghi? Quali i contesti in cui preferisci esprimerti e perché?
Condividere il proprio lavoro in un contesto professionale è sempre una bella occasione, e ogni volta, che si tratti di una fiera internazionale o di un contesto prettamente accademico, sono lieta di poter condividere il mio lavoro e partecipare di quello dei colleghi; le differenze che percepisco per via della mia formazione da autodidatta ravvivano e solidificano il mio percorso e la mia identità artistica. In quanto al «monologo», devo ammettere che un nuovo libro è ogni volta un’ennesima sfida: raccogliere il guanto significa misurarsi con un insieme di emozioni, di curiosità, di timori e dubbi infiniti che qualsiasi progetto comporta. Dunque, parte la “macchina”: agisco da art director, graphic designer, illustratrice, occupandomi anche della stampa e della rilegatura. Amo molto le collaborazioni con altri colleghi, ma non nego di sentirmi parecchio a mio agio nel mio mondo, e in un processo che avviene perlopiù in solitudine e raccoglimento.
Ogni libro ti costa circa un anno di lavoro che alterni dedicandoti anche a stampe sciolte. Come si pongono le tue stampe nell’universo del tuo procedere artistico? Rivestono una loro autonomia?
Le stampe sciolte possono nascere spontaneamente o da disegni o acquerelli che ho scelto di riprodurre in forma di stampa, il mio linguaggio grafico d’elezione. Queste stampe sono certamente degli “intervalli” e rappresentano un progetto a sé, che fa capolino tra altri più impegnativi, come un contrappunto.
Sostieni non solo in Spagna ma pure in Italia impegnativi workshop. Come vedi l’insegnamento della creatività e a quali aspetti più vicini al tuo sentire dedichi la maggiore attenzione? A quali altri artisti ti riferisci, sempre che tu ritenga utile porre nelle tue lezioni riferimenti diversi da te, intesi anche come modelli cui ispirarsi?
I workshop che ho occasione di impartire hanno di solito un taglio molto pratico finalizzato alla realizzazione di un libro d’artista, spesso un lavoro collettivo in cui chiedo a ogni partecipante di farsi carico di una pagina: è bello vedere, alla fine, il multiforme risultato di “grafie” diverse. Cerco sicuramente di trasmettere la passione che metto nel mio lavoro e com’è nato, raccontando i capisaldi della mia formazione dall’infanzia “siciliana” all’età adulta “cosmopolita”. Le ispirazioni del presente ritornano a cicli: in questo momento sfoglio libri di Hap Grieshaber e Paula Modersohn-Becker, come pure di Bruno Munari e Joaquín Torres García. Trovo spunti interessanti anche in rete, ma la quantità è talmente “bulimica” che si assorbe troppo di più di quanto non si possa o non sia raccomandabile processare! E allora urge restringere il campo. C’è una citazione di Archiloco che amo molto e che mi piace interpretare come un invito alla concentrazione e all’essenzialità: “La volpe sa molte cose, il riccio ne sa una grande”. E sull’onda del poeta greco, nel mio piccolo mondo “monologante” mi piace evocare le immagini più mie e più autentiche, eliminando orpelli e restringendo il campo ottico per mettere a fuoco l’essenza e poter vedere con gli occhi del cuore.
L'autore
- M. G. Tavoni, già professore ordinario di Bibliografia e Storia del libro, è studiosa con molti titoli al suo attivo. Oltre a studi che hanno privilegiato il Settecento ha intrapreso nuove ricerche su incunaboli e loro paratesto per poi approdare al Novecento, di cui analizza in particolare il libro d’artista nella sua dimensione storico-critica. Diverse sono le sue monografie e oltre 300 i suoi scritti come si evince dal suo sito www.mariagioiatavoni.it
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