Il ritratto fotografico di copertina è di Paolo Righi
Docente di fama, certamente uno dei rettori più illustri del Novecento, al quale si ascrivono numerose iniziative non solo culturali ma pure edilizie per la ristrutturazione dell’Alma Mater, Fabio Roversi-Monaco è stato anche Presidente della “Fondazione Carisbo” per la quale non si contano le sue innumerevoli acquisizioni di opere d’arte. Infine, Presidente di Genus Bononiae, massimo artefice di un complesso museale che vanta al suo attivo sei strutture, di cui il Museo della Storia di Bologna rappresenta la perla, il fiore all’occhiello della sua attività per la città.
Spirito indomito, Roversi-Monaco ha conseguito risultati estremamente interessanti anche nell’ambito medico promuovendo gli incontri annuali con il Festival della Scienza Medica, kermesse che dal 2015 fa convergere a Bologna scienziati di fama internazionale e premi Nobel, ricevendo un plauso universale, che gli consente di essere e rimanere un vulcano di iniziative. Anche quando si sono addensate nubi sulla mancanza di ritorno economico dei musei di Genus Bononiae, Roversi-Monaco ha saputo colmare il gap col favorire iniziative culturali sempre più mirate, ospitando mostre di ineguagliabile spessore nel Museo di Santa Maria della Vita e nello splendore carraccesco di Palazzo Fava. A suggello della sua indiscutibile attività di mecenate e di uomo di cultura, ha rivestito il ruolo di rilievo nella Treccani che ha consentito di portare verso il compimento il Dizionario Biografico degli Italiani.
Tra le iniziative sostenute negli ultimi anni, vi sono la mostra sulla Ragazza con l’Orecchino di perla di Vermeer, o le mostre su Arturo Martini e poi il Futurismo, comprese molte altre che continuano a dare lustro e autorevolezza alla città di Bologna, sempre pronta ad accogliere iniziative di rilevante importanza. Attualmente, Palazzo Fava ospita la splendida mostra del Polittico Griffoni che, superando la temporanea chiusura resasi necessaria con il Covid, è stata prorogata al gennaio 2021 per venire incontro alle molteplici richieste di visita che fanno nuovamente di Bologna una città d’arte.
La città di Bologna vanta musei e una pinacoteca di grandissimo rilievo. Non è mai stata tuttavia una “città turistica”, lo è divenuta ultimamente, grazie anche alle tue iniziative. Come sei riuscito a contribuire allo sviluppo del turismo culturale nella nostra città?
È ben vero che nonostante la qualità, spesso altissima, di edifici, di musei e di opere d’arte in genere, Bologna non è mai stata una “città turistica”. È anche vero che Bologna, nella storia degli ultimi secoli, dopo il Rinascimento, è stata una città dove studiosi, artisti e intellettuali dovevano andare per un qualcosa che, si riteneva, Bologna nel suo stesso tessuto urbano e culturale doveva possedere e realmente possedeva.
Nell’epoca attuale, anche una ricerca effettuata in modo molto approfondito da Nomisma ha sottolineato il nuovo sviluppo dato al turismo definito culturale. In questa direzione ha sicuramente operato in maniera importante la mostra sulla Ragazza con l’Orecchino di perla, che ha portato a Bologna una serie di capolavori del Museo Mauritshuis di L’Aia. È chiaro che quanto è avvenuto con il nostro sostegno e anche con la nostra inventiva è stato molto importante e, per certi profili, ha cambiato la città e inoltre ha posto all’attenzione del mondo Palazzo Fava: gli affreschi in esso contenuti e il ruolo dedicato all’esposizione delle opere d’arte vengono gestiti con continuità e, credo, efficacia.
Ma se mi è consentito esprimere anche una valutazione critica, negli ultimi 3 o 4 anni, la città dei taglieri – come mi sono permesso di definirla – ha creato problemi di coerenza e ha suscitato molte, anche legittime, critiche.
Pensi che dovrebbe essere migliorato il ‘passaggio turistico’ a Bologna per non finire come altre città che nella distribuzione delle occasioni urbane registrano una situazione economica positiva, ma anche le traversie e il naufragio delle loro più spiccate caratteristiche? Come si può arginare il fenomeno che rischia di far perdere a Bologna il particolare humus di città compatta e severa nei suoi circuiti anche espositivi, senza minarne l’aspetto economico?
Proseguendo il ragionamento precedente, che contiene anche critiche, il miglioramento del passaggio turistico a Bologna è necessario, perché anche se la storia della città sotto il profilo dei luoghi ha molte caratteristiche positive e una interazione che nei secoli non è mai venuta meno fra la città, i suoi portici, le sue chiese e i suoi palazzi, oggi il rischio di perdere caratteristiche uniche nel territorio nazionale potrebbe diventare effettivo.
Personalmente, vorrei Bologna duramente compatta e severa nei suoi circuiti e nella valorizzazione degli innumerevoli spazi di cultura che, volendo considerare i profili di carattere economico, devono essere curati e sviluppati.
Potresti riassumere la filosofia che sta alla base di Genus Bononiae e che ti ha impegnato tanti anni fino all’apertura del Museo della Città nel prestigioso Palazzo Pepoli? Non solo opere d’arte ma aperture nei confronti dei beni librari e valorizzazione degli strumenti antichi musicali caratterizzano un circuito senza precedenti. Come sei pervenuto a tali risultati?
La filosofia che sta alla base di Genus Bononiae è il frutto di un rapporto forte con cittadini che amano Bologna e con l’Università, specie con Umberto Eco, che teneva molto a confermare giudizi positivi sulle caratteristiche fondamentali della città. Eco ha operato nella formazione dei giovani, ovviamente, ma ha operato fortemente anche per la valorizzazione dei beni librari e delle biblioteche. Infine, ha fatto parte della commissione che, a seguito di un bando per Palazzo Pepoli al quale hanno partecipato cinque o sei dei maggiori Architetti italiani, ha portato alla scelta di Mario Bellini, che ha operato con grande lucidità e grande intelligenza riportando in vita Palazzo Pepoli, vale a dire una parte fondamentale della città conservando al palazzo le sue caratteristiche medievali, ma risolvendo con strumenti di piena modernità i problemi di gestione del palazzo medesimo.
Ma voglio sottolineare particolarmente il fatto che la valorizzazione operata con gli interventi della Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna ha dato una vera e propria sferzata alla valorizzazione degli strumenti musicali antichi, creando effettivamente un circuito senza precedenti. È stata decisiva l’iniziativa generosa di un grande maestro dell’organo e del clavicembalo, Luigi Ferdinando Tagliavini, che ha donato a Bologna e alla Fondazione la sua collezione, probabilmente la principale del mondo nel settore citato. E in piena intesa con me, il Maestro Tagliavini ha posto come obbligo per il Museo di San Colombano di mantenere in vita e effettivamente di far vivere tutti i principali strumenti musicali della raccolta, che ha ormai reso famoso San Colombano nel mondo della musica.
Palazzo Fava, che hai contribuito, insieme ad altre personalità di spicco come Andrea Emiliani, a far rinascere con il restauro del Piano Nobile affrescato da Ludovico, Annibale e Agostino Carracci – prima opera corale dei grandi artisti bolognesi -, ospita ora la mostra del Polittico Griffoni. Potresti raccontarci come sei pervenuto a far sì che i disiecta membra della Pala di Francesco del Cossa ed Ercole de’ Roberti, fossero ricomposte per la prima volta nel più aulico contenitore della città?
È giusto parlare di disiecta membra per il Polittico di Francesco del Cossa ed Ercole de’ Roberti, poiché fu un monsignore presto divenuto cardinale colui che, una volta acquisita dalla famiglia Griffoni la cappella omonima, prima trasportò le opere d’arte nei palazzi che possedeva nel ferrarese, poi, in proseguo di tempo e con l’aiuto di amici e parenti, smembrò prima ed ebbe a vendere poi l’intero Polittico, in modo tale che alla città di Ferrara, cui appartenevano entrambi gli insigni artisti, è rimasta soltanto una piccola tavoletta, un “santino”. Per quasi 300 anni nessuno ha potuto ammirare il Polittico integro; al massimo qualche studioso ha potuto girare il mondo e visitare i nove musei – alcuni importantissimi – che ne avevano acquisito singole parti (sedici). D’altra parte, a ben considerare la situazione, il Polittico è stato fortunato perché l’acquisizione e lo studio delle sue singole parti ne hanno fatto un’opera d’arte aventi particolari caratteristiche. Per riportare in un unico luogo – quello della sua nascita – il Polittico ha dunque aspettato a lungo, quasi trecento anni, nei quali la storia dell’arte e gli storici come singoli non hanno potuto verificare la qualità e la bellezza di quest’opera che è stata presentata in Bologna a partire dal maggio 2020.
Ci si chiede spesso quanto nell’operazione del Polittico Griffoni abbiano giocato la tua grande managerialità e l’altrettanto grande senso artistico che hanno animato tutta l’operazione. Come hai proceduto fin dall’inizio? Come hanno risposto le istituzioni chiamate a collaborare? Di quali collaboratori ti sei avvalso? Come vivi il tuo rapporto con i collaboratori?
Per quanto riguarda il mio ruolo, posso tranquillamente affermare che ne ho concepito l’idea; ho poi acquisito la collaborazione di una serie di studiosi e amici, ma fin dall’inizio ho impostato il tema sul dovere da parte dei musei possessori di singole parti di facilitare anche nel loro interesse un’azione che, una volta per tutte, ha troncato quell’impossibilità di rivedere l’opera nella sua unità che pochi avevano cercato di realizzare.
Come curatore della mostra abbiamo chiamato il Professor Mauro Natale: è stata una buona scelta, per la cultura, l’impegno, la cortesia e la notorietà che il Professore possedeva. Ci sono stati una serie di altri collaboratori, anche per la redazione del catalogo, ma vorrei sottolineare l’operato dell’Architetto Roberto Terra, che a mio parere ha curato in modo magistrale l’allestimento. Le istituzioni tutte, con le quali abbiamo interloquito a più riprese e per un tempo lungo, hanno avuto un atteggiamento di signorile disponibilità a partire dalla National Gallery di Londra, e proseguendo con le altre che mi sento il dovere di richiamare: Pinacoteca di Brera di Milano, Museo del Louvre di Parigi, National Gallery of Art di Washington, Collezione Cagnola di Gazzada (Va), Musei Vaticani, Pinacoteca Nazionale di Ferrara, Museum Boijmans Van Beuningen di Rotterdam, Collezione Vittorio Cini di Venezia.
Ma soprattutto debbo dire che considero un gesto di vera e propria generosità illuminata quello di averci lasciato le opere per un lungo periodo, fino al gennaio 2021, dopo mesi stressanti in conseguenza della pandemia che si era manifestata. Oggi sono numerosi gli studiosi che vengono, pur con le difficoltà che debbono superare, anche da paesi lontani.
Oggi l’operazione del Polittico Griffoni gode di un catalogo molto bene impostato e in grado di documentare analiticamente l’iter storico-critico-artistico e scientifico che ha portato a questo importante avvenimento. Come si è giunti a coordinare le forze in campo che emergono anche nel percorso espositivo, presentato anche da visite guidate di notevole momento?
L’organizzazione della mostra così come la pubblicazione del catalogo sono il frutto di più di due anni di lavoro. Fondamentale è stata anche la collaborazione di istituzioni locali come la Basilica di San Petronio e la Pinacoteca Nazionale di Bologna, con i quali ci siamo coordinati sin dai primi tempi. Il catalogo, edito sia in italiano sia in inglese, ha visto la collaborazione di importanti studiosi e ricercatori, ma l’interesse della comunità scientifica sul Polittico Griffoni e il suo contesto storico-artistico sono stati talmente ampi da indurci a organizzare in ottobre una giornata di studi per approfondire i tanti temi trattati sia nel catalogo sia nell’esposizione. Tengo molto a questa importante occasione di confronto, che si svolgerà in autunno, perché una mostra, oltre a essere uno strumento di valorizzazione del patrimonio artistico, deve anche saper animare il dibattito della comunità scientifica.
In conclusione puoi dirci quali sono i tuoi progetti futuri? Non è solo la città di Bologna a chiederselo.
Ora è tempo di progetti futuri, anche se fino a gennaio 2021 il Polittico rimarrà a Bologna. Ma, come è ormai noto a molti, una copia perfetta del Polittico è stata realizzata con tecnologie modernissime da Adam Lowe e dalla sua fondazione Factum e questo ci consentirà, spero ancora con Adam Lowe, di mostrare comunque un’opera assolutamente e perfettamente identica all’originale. Quest’opera, peraltro, esisterà soltanto a Bologna, riportando alla città quello che le spettava e quello che tanti avrebbero voluto vedere.
L'autore
- M. G. Tavoni, già professore ordinario di Bibliografia e Storia del libro, è studiosa con molti titoli al suo attivo. Oltre a studi che hanno privilegiato il Settecento ha intrapreso nuove ricerche su incunaboli e loro paratesto per poi approdare al Novecento, di cui analizza in particolare il libro d’artista nella sua dimensione storico-critica. Diverse sono le sue monografie e oltre 300 i suoi scritti come si evince dal suo sito www.mariagioiatavoni.it
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