Interventi

Dal Vangelo secondo Levi. La Natività rovesciata in “Se non ora, quando?”

Nel 1982 Primo Levi pubblica il suo primo vero romanzo, Se non ora, quando?, composto tra l’11 gennaio e il 20 dicembre dell’anno precedente. Protagonista è un gruppo di partigiani ebrei askenaziti in viaggio nel pieno della Seconda Guerra Mondiale dalla Bielorussia verso la Palestina, meta che non riusciranno a raggiungere (il romanzo si chiude a Milano). La storia narrata è in larga parte reale ed è stata raccontata a Levi da un amico, Emilio Vita Finzi, che nel 1945 aveva prestato servizio proprio a Milano nei centri di accoglienza per profughi e rimpatriati. L’itinerario percorso dalla banda protagonista è invece inventato, seppure plausibile, così come i personaggi che, scrive lo stesso autore in calce al romanzo, sono «tutti immaginari […]. – E aggiunge – Il titolo del libro, mi è stato suggerito da alcune parole che ho trovate nel Pirké Avoth («Le massime dei Padri»), una raccolta di detti di rabbini famosi che fu redatta nel II secolo dopo Cristo, e che fa parte del Talmud».

Non solo il titolo ma l’intero romanzo è intriso di citazioni talmudiche e veterotestamentarie. Non mancano, inoltre (elemento questo quantomeno insolito per un autore di origini ebraiche) evidenti richiami al Nuovo Testamento e nello specifico al Vangelo di Matteo. Le riprese neotestamentarie in Levi vengono qui sapientemente rovesciate allo scopo di esternare una palese pessimistica impossibilità di redenzione in tempi tanto bui come quelli che videro la fine della Seconda Guerra Mondiale.

Primo Levi, ebreo, ateo, cresciuto nel contesto cristiano cattolico della Torino pre e post bellica, realizza con questo romanzo quel momento d’incontro tra la cultura ebraica e quella cristiano-cattolica (sia pure a palese scapito della seconda) di cui tanto intensamente e intimamente sentiva il bisogno. La figura di Piotr, l’unico cristiano polacco della banda colto da una vivace curiosità nei confronti della cultura ebraica, va a rappresentare, oltre che uno degli alter ego letterari dell’autore, anche il ponte tra le due culture religiose.

Un dettaglio che sembra essere passato in secondo piano rispetto ai tanti temi finora sviscerati dalla critica in Se non ora, quando? è la valenza cristologica rovesciata incarnata dal figlio di Isidor e Rokhèle Bianca.

Nonostante i personaggi, ebrei askenaziti, non credano alla venuta del Messia né alla validità delle Scritture neotestamentarie, essi inconsciamente e nella (con)fusione tra le due culture, generata in parte anche dalla guerra in atto, attribuiranno un valore salvifico (che l’autore, invece, sa da principio essere impossibile) al nascituro.

Va evidenziato innanzitutto che nel corso della narrazione al bambino ci si riferisce sempre come ad un maschio ancora prima di conoscerne effettivamente il sesso; quando poi questo verrà annunciato da un’infermiera, dopo la nascita in Italia, sarà persino faticoso per i protagonisti comprendere ciò che già davano per assodato: «- Maschio, maschio – rideva. Nessuno capì, lei si volse in giro, si trovò sottomano Izu l’irsuto, e gli dette uno strattone alla barba: – Maschio, come lui! Tutti si alzarono in piedi». Anche nei Vangeli il sesso del nascituro è noto ben prima del parto, ma esso viene solennemente annunciato ai genitori da figure celesti. In Matteo (I, 21) è un angelo ad annunciare a Giuseppe che avrà un bambino: «Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati»; lo stesso accade in Luca I, 31 nella nota scena dell’Annunciazione a Maria: «Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù».

Si noti che anche nell’iconografia sacra Gesù Bambino è spesso raffigurato nudo, proprio a rimarcarne il sesso maschile, l’unico possibile per il Rex Iudeorum; non è quindi da considerarsi un dettaglio di scarsa importanza il fatto che nel romanzo si continui a pensare al bambino che sta per nascere, simbolo di sperata redenzione, come a un maschio. Il senso salvifico che i personaggi attribuiscono alla nascita del bambino è racchiuso anche nelle parole di Gedale, il capo della banda partigiana, che desidera per il nascituro una terra in cui vivere al sicuro lontano dalle persecuzioni razziali: «Andiamo a cercare un posto nel mondo dove lui possa nascere in pace. -Lui chi?- chiese Line – Il bambino. Nostro figlio, il figlio dei due innocenti -». Tale episodio richiama chiaramente quello neotestamentario legato alla fuga di Maria e Giuseppe in Egitto per sfuggire alla persecuzione di Erode; ancor più evidente si fa, poi, il rimando se si guarda all’annuncio dell’angelo a Giuseppe in Matteo II, 20 che informa il genitore della possibilità di tornare in Terra d’Israele, poiché i nemici sono ormai morti: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va nel paese d’Israele; perché sono morti coloro che insidiavano la vita del bambino». All’interno di Se non ora, quando? tale prospettiva di un sicuro e sereno rientro in patria viene rovesciata poiché, a differenza del Vangelo di Matteo in cui Erode è morto e il pericolo è scampato, la possibilità dell’arrivo in Israele per la banda partigiana rappresenta un ritorno solo apparente alla pace: la guerra è finita, Hitler è sconfitto, è tempo di tornare nella Terra dei Padri. Ciò che essi ancora non sanno, però, è che il pericolo atomico incombe sulle loro vite; il romanzo, inoltre, si chiuderà all’ospedale di Milano senza che il lettore giunga a conoscere l’esito finale del viaggio della banda verso la Palestina.

Anche nelle figure genitoriali, ovvero Isidor e Rokhèle, l’impossibilità della redenzione si manifesta in un palese rovesciamento rispetto alla classica Natività. I trascorsi di Isidor e Rokhèle li mostrano, appunto, a parti invertite rispetto a Giuseppe e Maria: nel romanzo è Isidor ad essere, in senso letterale, un parthenòs (definizione che la Bibbia greca utilizzava in merito a Maria di Nazareth) cioè “troppo giovane” (ha diciassette anni) oltre che “vergine” (Rokhèle è la prima donna che egli abbia mai conosciuto); al contrario la di lui compagna Rokhèle è già vedova e ha ben ventisei anni. Inoltre, il matrimonio tra Isidor e Rokhèle verrà celebrato e consacrato non da un uomo di fede ma da Mendel, orologiaio ateo, vedovo, disilluso dalla guerra ma degno di celebrare le nozze poiché è un uomo giusto. «– Dovresti sposarci,- disse la Bianca arrossendo. Mendel aperse la bocca, la richiuse, e poi disse: – Che cosa ti viene mai in mente? Io non sono un rabbino, e neppure un sindaco [….] è un nonsenso, una narischeit! […] Oltre a tutto, io non sono neppure un ebreo pio. Non ha senso, è come se tu mi chiedessi di volare o di fare un incantesimo.Vengo da te perché sei un giusto, e perché io vivo in peccato». Mendel, sebbene non sia certamente il personaggio più adatto a celebrare un matrimonio canonico, si rivela qui come altrove all’interno del romanzo l’altro alter ego letterario dell’autore, poiché ne incarna il profondo senso di giustizia, oltre che la controversa visione religiosa.

Le possibilità di riscatto e redenzione, invano agognate dai personaggi, sono ostacolate infine dall’evento infausto che segna il giorno della nascita del bambino: 7 agosto 1945, il giorno stesso, cioè, in cui in Italia giunge la notizia dello scoppio della bomba atomica su Hiroshima. Sebbene nell’attesa della venuta del bambino i partigiani si sentano «lavati a nuovo, come pagine bianche, ritornati bambini», il suo arrivo non porta la pace sperata. L’annuncio della nascita giunge qui non da una cometa, come quella che illumina nei Vangeli la via ai Magi (Matteo II, 9-10: «[…] Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia»), ma da una fonte luminosa totalmente diversa e dotata di enorme potenza distruttiva, della cui azione si può leggere tra le pagine di un banale quotidiano scritto in italiano, lingua che nessuno dei protagonisti conosce: «Quel giornale […] recava la notizia della prima bomba atomica lanciata su Hiroshima». I partigiani in attesa della venuta del “Messia” non comprendono il “messaggio luminoso” che annuncia non la redenzione e la liberazione da ogni male ma l’inizio di una nuova e più temibile guerra. La nascita del bambino, inoltre, proprio perché accompagnata da un ordigno aberrante, porta con sé la morte di un’innumerevole quantità di innocenti. Di nuovo un caso analogo a quello di Gesù Bambino, ma con una motivazione di fondo totalmente diversa e una prospettiva ancora implicitamente rovesciata: Matteo II, 16-18 «Erode […] mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio […]. Allora si adempì quel che era stato detto per mezzo del profeta Geremia: Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande; Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più».

La salvezza, dunque, la pace e il riscatto, che i partigiani sperano di trovare nel nascituro, altro non sono che mera illusione: la guerra non finisce, il bambino non porta la pace attesa e sperata e il viaggio non termina in terra d’Israele, ma in un ospedale di Milano alla notizia dello scoppio della bomba atomica. Il “Cristo” troppo umano, generato nel peccato e partorito da una vedova alle seconde nozze non può condurre il suo popolo alla salvezza. Il pessimismo ateo di Primo Levi fa sì che il romanzo si chiuda proprio su questo punto con un senso di sospesa inquietudine.

teresa.agovino@unimercatorum.it 

Postilla bibliografica

Tutte le citazioni elencate si trovano in Primo Levi, Se non ora, quando?, Torino, Einaudi, 1992; Le citazioni dai Vangeli di Luca e Matteo sono reperibili sul sito ufficiale CEI: https://www.bibbiaedu.it/CEI2008 ; Per la bibliografia completa si fa riferimento all’articolo contenuto in Atti del Convegno ADI, Padova, 2014 reperibile al link: https://www.italianisti.it/pubblicazioni/atti-di-congresso/i-cantieri-dellitalianistica-ricerca-didattica-e-organizzazione-agli-inizi-del-xxi-secolo-2016/AGOVINO(2).pdf .

L'autore

Teresa Agovino
Teresa Agovino (1987) ha conseguito il dottorato di ricerca nel 2016 presso l'Università 'Orientale' di Napoli con una tesi incentrata sulle riprese manzoniane nel romanzo storico del Novecento. Insegna Letteratura italiana presso l'Università Mercatorum (Roma) e Metodologie di scritture digitali presso l’Università Europea di Roma. Si occupa di ricerca su Alessandro Manzoni, Primo Levi, Giancarlo De Cataldo, Andrea Camilleri, autori sui quali ha pubblicato numerosi articoli in rivista e atti di convegno. Ha pubblicato i volumi: Dopo Manzoni. Testo e paratesto nel romanzo storico del Novecento e Elementi di linguistica italiana (Sinestesie, Avellino 2017 e 2020); I conti col Manzoni e «Sotto gli occhi benevoli dello Stato». La banda della Magliana da Romanzo criminale a Suburra (La scuola di Pitagora, Napoli, 2019 e 2024);“Non basta essere bravi. Bisogna essere don Rodrigo”: Social, blog, testate online, Manzoni e il grande pubblico del web (Armando editore, 2023). Ha vinto il premio 2023 dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti, Classe di Lettere, con il saggio Da Manfredi all’innominato. Suggestioni dantesche in Manzoni.