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«Correggersi un po’, non è reato». Libri con varianti autoriali. Studio e valutazione

L’immagine di copertina è di Enrico Pulsoni

Invitato a tenere una lezione all’interno della “Mostra del libro antico” di Città di Castello, qualche anno fa proposi una relazione sulle dediche autoriali, sostenendo che la loro presenza può incidere sul valore del libro anche del 20-30 %, a giudicare dall’importanza dell’autore e dal contenuto della dedica stessa. Come sa bene qualsiasi bibliofilo o libraio, non si tratta comunque dell’unico elemento che può far lievitare il costo del manufatto.

In questa sede, in una sorta di continuazione ideale della precedente conversazione, vorrei portare la mia esperienza riguardo a libri relatori di varianti autografe, e di come queste ultime, alla stregua delle dediche, accrescano il valore del testimone che le riporta. Nella gran parte dei casi, le varianti sono reperibili nelle prime edizioni, vere e proprie Sacro Graal di ogni collezionista, soprattutto se si sono conservate intonse. Mi giunge voce che un bibliofilo “doc” sia solito comprare, laddove possibile, due copie della stessa opera, di cui una “sfogliabile” con le pagine aperte, mentre l’altra rigorosamente intonsa e come tale da custodire. Anche chi scrive è caduto una volta nel miraggio della copia intonsa: desideroso di possedere l’edizione poundiana di Guido Cavalcanti, Rime. Edizione rappezzata fra le rovine (Genova, Marsano, 1931), per motivi di studio (R. Capelli – C. Pulsoni, ”My thanks are due to Dr. W. P. Shepard”. Note sull’apprendistato filologico di Ezra Pound, in «Giornale Italiano di Filologia», 67, 2015, pp. 359-382), ne trovò online due copie, di cui una intonsa più costosa dell’altra di circa 300 euro. Non ci pensò due volte e optò per quella più cara, salvo accorgersi alla ricezione del libro, che avrebbe dovuto tagliare le pagine, con tutti i rischi di una mano non esperta, avendola acquistata per studiarla (mi sono sempre chiesto se l’acquisto di una copia intonsa non richiami il desiderio maschile della deflorazione…).

Possedere la prima edizione di un’opera rappresenta per il bibliofilo una gratificazione unica, come scrive Roberto Calasso nel suo recente Come ordinare una biblioteca (Milano, Adelphi, 2020): «La prima edizione di un libro è parte non secondaria di un’opera. Ed è un aiuto per capirla. Aiuto fisico, tattile, visivo innanzitutto. Non sostituibile da altro. Il bibliofilo che non osa neppure tagliare le pagine di una prima edizione per non lederne l’integrità è il contrario del vero lettore. Il feticismo, per essere salutato, implica l’uso, il contatto. Come ha scritto Kraus, “sotto il sole non c’è essere più infelice del feticista che brama una scarpa da donna e deve contentarsi di una femmina intera”. A rigore, sarebbe bene leggere tutto nelle prime edizioni. Non perché sono più rare e preziose. Ma perché sono il risultato di una combinazione di elementi – imposti all’autore o suggeriti dall’autore o semplicemente accaduti all’autore – che vengono a fare parte dell’opera, come la stampigliatura del tempo nelle sue pagine. Non è cosa da poco».

Da non collezionista, posso però affermare che anche lo studioso arriva a provare lo stesso appagamento del bibliofilo, quando si imbatte in una copia dell’opera relatrice di varianti autografe. Come già accennato in precedenza, in queste pagine mi limito a fornire la mia esperienza personale, nella speranza che possano essere utili non solo al lettore ma anche agli amici bibliotecari nella catalogazione dei libri. Il primo esempio riguarda il postillato autografo delle Prose di Pietro Bembo, scoperto dall’amico Fabio Massimo Bertolo in una biblioteca privata e che successivamente è stato oggetto di una monografia (F.M. Bertolo – M. Cursi – C. Pulsoni, Bembo ritrovato. Il postillato autografo delle Prose, Roma, Viella, 2018). Si tratta di una copia della princeps (Venezia, Tacuino, 1525) che riporta tutte le correzioni confluite nella seconda edizione dell’opera (Venezia, Marcolini, 1538 da) e successivamente nella terza (Firenze, Torrentino, 1549).

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Gli interventi ivi presenti appaiono prevalentemente sotto forma di postille negli ampi margini dei fogli. Solo per dare un’idea dell’immenso lavoro di revisione condotto da Bembo, basterà dire che egli apportò 20 interventi nel I libro, 21 nel II, e 59 nel III. L’esemplare ha così acquisito un valore economico molto più consistente rispetto alle altre copie della princeps, al punto che è stato acquistato a una cifra superiore ai 100.000 euro, oltrepassando di una trentina di volte il valore di mercato. Si tratta ovviamente di un caso straordinario, dato dal fatto che siamo in presenza del testo fondante della nostra lingua.

Un caso analogo è quello della copia pergamenacea de Le cose volgari di Messer Francesco Petrarcha, conservata nella John Rylands Library di Manchester, con la segnatura 20957. Si tratta dell’esemplare in cui Bembo torna a rivedere il testo che lui stesso aveva pubblicato nel 1501, inserendovi varianti spesso inedite, annotazioni sulle fasi redazionali dei componimenti e correggendo refusi (C. Pulsoni – M. Cyrsi, Bembo correttore di sé stesso. Postillati petrarcheschi veri e falsi, in «Studi petrarcheschi», XXX, 2017, pp. 7-38). Di particolare interesse è quanto appare a c. f5r: a margine del verso 45 della canzone 105 «Mi meni a pasco homai tra le sue gregge», egli riporta la lezione alternativa «passo» in luogo di «pasco», facendola seguire dall’indicazione «Ita poetae manu», sulla base dell’originale del Canzoniere di Petrarca, che aveva da poco acquistato per il tramite del Quirini («Ho avuto il Petrarca quando meno lo credea avere, vedendo la cosa essersi ridotta a Padova. Ma l’amorevole prudenza vostra ha potuto e saputo più che altri a questa volta. E quelli zecchini sono stati l’amo che ha tratto questo pesce fuori dell’acqua. Siane ringraziata Vostra Magnificenza senza fine. Non vi potrei dire quanto l’ho caro. Se l’amico mi desse ora cinquecento zecchini appresso a quelli, non gliele darei. È di mano dell’auttor suo senza nessun dubbio»). Questa copia si rivela pertanto significativa non solo per la revisione testuale operata da Bembo, ma anche per il fatto che il letterato veneziano riconosce esplicitamente nel Vaticano latino 3195 l’autografo di Petrarca. Un ulteriore valore aggiunto di questo esemplare riguarda la confessione del furto di questo libro dalla ricchissima collezione di libri di Bembo compiuto da Traiano Boccalini: «Ego Traianus Boccalinus furatus sum inter copiosissimam ipsius Bembi librorum faraginem». Si tratta di una nota, a mia conoscenza, rarissima se non del tutto inedita nel mondo dei furti librari (sui ladri di libri si veda il raffinatissimo pamphlet di Maria Gioia Tavoni)  Considerato che questa copia non è vendibile essendo conservato in una biblioteca pubblica, mi limito a segnalare che se un esemplare cartaceo del Petrarca aldino vale circa 15000 euro, uno pergamenaceo, tirato in soli quindici esemplari, potrebbe aggirarsi sui 250000 euro, e pertanto l’esemplare di Manchester sul mezzo milione di euro.

Con un brusco scarto temporale mi spingo avanti di tre secoli. Qualche anno fa mi è capitato di rinvenire alcuni varianti autografe di Carducci tra i libri del Fondo Pelaez, conservati nella Biblioteca Monteverdi della Sapienza Università di Roma (C. Pulsoni – F. Bausi, «Alla mensa dell’amico». Nuovi autografi carducciani tra le carte e i libri di Mario Pelaez, in «Studi di filologia italiana», 77, 2019, pp. 307-346). Ad esempio nel caso dell’Ode Alla città di Ferrara nel XXV aprile del 1895 (Bologna, Zanichelli, 1895), vi sono una serie di correzioni apportate da Carducci che confluiranno nella gran parte nella successiva tiratura del volumetto. Si prendano i seguenti casi:

1, 163
sii maledetta, o vecchia vaticana lupa fetente [cruenta,]
sii maledetta, o vecchia vaticana lupa cruenta,

1, 172
risorti da Camillo per la novella Roma. [Solima nostra]
risorti da Camillo per la Solima nostra

Una copia di questa edizione dell’Ode vale circa 30 euro: nel caso dell’esemplare della Sapienza Bertolo la stima 1000 euro.

Tre autori infine del secolo scorso. Il primo riguarda Giuseppe Ungaretti e in particolare il componimento Gridasti: Soffoco. Esso vide la luce per la prima volta in «Inventario», II, n. 2, estate 1949. In una collezione privata, ho rinvenuto la copia della rivista posseduta da Ungaretti, il quale, non soddisfatto evidentemente del testo che aveva pubblicato, iniziò a ritoccarlo, apponendovi correzioni e varianti alternative, sulle quali mi propongo di tornare in sede scientifica. Una copia di quel fascicolo di «Inventario» non ha praticamente un valore commerciale (fascicoli delle riviste del periodo si trovano spesso nelle bancarelle a pochi euro). Nel caso della copia in questione, essa è stata invece venduta a 800 euro, quasi 400 volte in più del prezzo standard del fascicolo. Ovviamente un rimbalzo simile può aver luogo solo se il libro in questione è privo di valore economico, mentre non sarebbe possibile con una quotazione già di per sé elevata, come nel caso delle Prose, menzionate in precedenza.

Da Ungaretti passo a Montale, del quale segnalo la copia del suo “Quaderno di traduzioni” da T. S. Eliot (T. S. Eliot tradotto da Eugenio Montale, Milano, All’Insegna del Pesce d’Oro, 1958), che regala nel 1968 al compositore Goffredo Petrassi (il libro appartiene a una collezione privata). Qui infatti si ha una variante autografa nella versione del Canto di Simeone: a margine del verso 5 «come piuma nel dorso della mano» Montale inserisce «sul» in luogo di «nel». In tal caso alla valutazione del libro di 20 euro, si dovrà pertanto aggiungere non solo la correzione autografa ma anche la dedica, motivo per cui Bertolo lo stima intorno a 800 euro.

Decisamente più interessante si rivela la copia della princeps di Ossi di seppia (Piero Gobetti, Torino, 1925), che Eugenio Montale regala il 2 settembre 1927 a Mario Praz. («A Mario Praz con viva cordialità il tuo dev. Eugenio Montale»). Essa conserva non solo tracce di lettura e note di commento, ma anche alcune carte al suo interno. In questa copia, appartenente alla Biblioteca della Fondazione Primoli di Roma, vi sono infatti un mannello di fogli, tra cui meritano di essere innanzitutto segnalate le pagine del fascicolo di giugno 1927 di «Solaria» contenenti la poesia Arsenio di Montale. Queste pagine, strappate da Montale dalla rivista per essere inviate al suo sodale, presentano delle varianti autografe, che corrispondono alla redazione del componimento come vedrà la luce qualche mese dopo nella seconda edizione di Ossi di seppia (Fratelli Ribet, Torino, 1928). Così, nel caso del v. 25 «dei violini, scomparso spento quando rotola» si legge la modifica testuale «spento» in sostituzione di «scomparso» e si trova, in calce alla pagina, anche un commento dello stesso Montale in merito alla variazione da lui apportata: «c’era (ed era forse meglio): // dei violini, scomparso quando rotola // 3 sillabe». Di seguito si ha la prima stesura manoscritta della traduzione di Arsenio fatta da Praz, che uscirà nella rivista «The Criterion» del giugno 1928. Questa traduzione, fitta di numerosi ripensamenti e cancellature, non solo tiene già conto delle varianti di Montale sopra menzionate, ma permette anche di dimostrare con certezza l’intervento di Thomas Stearns Eliot, direttore della rivista, nella revisione testuale complessiva e più in particolare nella scelta di alcuni lemmi. Il volume contiene inoltre due fogli che trasmettono cinque parodie di Praz contro il fascismo, elaborate partendo proprio dai testi di Ossi di seppia. In attesa dello studio complessivo che sto realizzando con Antonio Ciaralli, rispetto alla valutazione standard della princeps di Ossi di seppia (circa 6000 euro), qui entrano in gioco svariati valori aggiunti, al punto che la stima potrebbe aggirarsi, come mi suggerisce Bertolo, sui 20000 euro.

Chiudo questa breve carrellata con un autore straniero particolarmente legato al nostro paese: Ezra Pound. Nella copia del volume Thrones 96-109 de los cantares (Milano, All’Insegna del Pesce d’Oro, 1959), conservata presso la biblioteca della figlia Mary de Rachewiltz, si ha nel Canto 103 e più in particolare sui versi «France, after Talleyrand started / no war in Europe» una grande “X” e a margine la postilla autografa «’until ‘70». Si tratta pertanto di una correzione autografa al testo, confluita successivamente nell’edizione dei Cantos, dove effettivamente si ha «France, after Talleyrand,  started / no war in Europe ’until ‘70». Anche in questo caso Bertolo accenna a un valore di 1500 euro, rispetto al valore di 500 euro di una copia standard.

Nel tirare le fila di questa divagazione, si può affermare che «correggersi un po’, non è reato», anzi, se ben guidati nel riconoscimento di interventi manoscritti all’interno dei libri, vuol dire anche «amarsi un po’», visto il valore aggiunto che le varianti autografo danno al manufatto.

 

 

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