“Mamma di linus” è l’appellativo con cui molti ricordano Fulvia Serra, ancora indomita creatrice, organizzatrice e produttrice di giornali, libri, serie televisive prescolari, e film d’animazione per ragazzi che piacciono molto pure agli adulti. Tutte operazioni che si distinguono per ricerca e qualità dei contenuti sempre impegnati su grandi temi, riconoscibili anche per lo sviluppo grafico molto raffinato e originale. Nelle produzioni in animazione il commento musicale, la colonna sonora sono frutto di collaborazione con Maestri e Artisti del nostro tempo, come lei stessa si racconta. Le tesi di laurea sull’esperienza di “linus”, una delle quali conosco perché conservata nella “Biblioteca Raimondi” del Dipartimento di Filologia classica e Italianistica dell’Università di Bologna a cui afferivo, dedicano ampi spazi al profilo di Fulvia Serra, indugiando sugli albori dell’amatissima rivista mensile che come dice l’intervistata è stata“un faro nella notte buia e tempestosa degli anni sessanta”. Linus è il personaggio tormentato e colto della striscia dei Peanuts scelto dal fondatore Giovanni Gandini per il suo nome ‘latino’, adatto alla copertina della sua creatura. Ma grazie alla grafica semplice e pura di Salvatore Gregorietti va ascritto il colpo di fulmine per numerosissimi lettori che ne decretarono il successo a prima vista. E poi lo confermarono anche i contenuti innovativi. Tra questi appassionati, come si racconta, c’è stata anche Fulvia Serra in quell’aprile del ’65.
Una curiosità poi smentita è che Charles M. Schulz abbia a tutta prima dimostrato antipatia per il nome dato alle proprie strisce dalla United Feature Syndicate, che le distribuiva in tutto il mondo. Avrebbe preferito Li’l Folk. Ingenuità d’Autore… quel nome apparteneva ad alcune sue opere già pubblicate in cui apparivano un simil Charlie Brown e un simil Snoopy. Ma tutto fu pacificato dall’incredibile successo che i Peanuts ebbero“all over the world”! E anche qui in Italia e a Milano, come ricorda perfettamente Fulvia Serra.
La storica rivista mensile di cultura e fumetti – dedicata a un pubblico adulto e senza pregiudizi intellettualistici – fin dai primi numeri agì come un grimaldello sul pensiero e sul linguaggio dei lettori, riuscendo a unire divertimento e riflessione. Fulvia Serra è stata dapprima collaboratrice del fondatore Giovanni Gandini, e dalla vendita della casa editrice alla Rizzoli è stata a fianco del nuovo direttore, Oreste Del Buono; poi, nel 1981, ne è divenuta direttore responsabile, fino alla nuova vendita a Baldini&Castoldi con il ritorno di Del Buono, zio del nuovo proprietario nel 1995. Ma Fulvia Serra, giornalista professionista dalla fine degli anni Settanta, è conosciuta proprio per essere stata, sin dalla fine degli anni Sessanta, al centro del lavoro di elevata competenza per tutto ciò che riguarda gli aspetti della comunicazione sia visivi sia di contenuto. Donna, in un contesto prevalentemente maschile, ha saputo sempre difendere e portare avanti le proprie idee, non ponendosi mai in posizione subalterna. Basti un solo esempio. In occasione del convegno per il sessantesimo compleanno dei peanuts che si celebrò il 15 marzo del 2010 all’università di Bologna, nella Sala Prodi, tenne testa a Umberto Eco che aveva imprudentemente asserito che i bambini non conoscono l’ironia. Gli chiese a bruciapelo: «Scusa professore, ma da quanto tempo non frequenti i bambini? Non solo sono ironici ma quando usano l’ironia lo fanno direi con ferocia e senso, mai ripetendo a papera e fuori posto qualcosa ascoltato dai grandi…Però, tu, il Maestro,…io, Margherita!».
Fulvia Serra non ha solo messo in campo le sue profonde capacità organizzatrici: è anche autrice di un gustoso giornalismo con testi pubblicati in “Smemoranda”, l’agenda-libro su cui scrivevano altre stimolanti penne. Non dimenticando anche i suoi editoriali in“linus”, “Echi dal margine…”. Fra le ultime realizzazioni di Gertie, la compagine in cui opera oggi, c’è il film di animazione Iqbal. Bambini Senza Paura, proiettato nel 2015, e di cui Serra è anche produttrice insieme con il fratello Franco. Iqbal, liberamente ispirato a un romanzo, è un grido d’accusa contro lo schiavismo e lo sfruttamento del lavoro minorile. Il film ha riscosso vasto consenso ed è stato premiato da numerose istituzioni e festival non solo in Italia.
Ti ho presentato come la “mamma di linus” come solitamente non solo io ti chiamo. Ma come avvenne questa maternità? Puoi dirci in che cosa consisteva il tuo ruolo prima e dopo la direzione di “linus” che ha fatto storia?
Il mio maternage è stata piuttosto un’affiliazione. La racconto? Avevo abbandonato la facoltà di architettura per un incidente grave di sci che mi aveva costretto a interventi chirurgici, gessi e stampelle per circa 36 mesi. Appena libera e camminante felice sono caduta e ho rotto di nuovo la gamba: altri mesi di patimenti e gesso e stampelle. Una volta guarita, appresi che Gandini – editore di “linus”- cercava aiuti nella campagna di abbonamenti, ed essendo io un’appassionata lettrice dalla prima copertina verde oliva, era il 1967, mi presentai senza arte né parte e fui scelta: “mi pare carina, venga domani da Mila, che le darà tutte le istruzioni”. Questo l’inizio: precaria ante litteram! Mi piacque subito tutto, e mi trovai nel cuore di un gruppo gradevole e senza infingimenti. Dovevo accogliere e conquistare più abbonati nuovi e fui ricompensata per il mio apporto, evidentemente positivo, con una proposta di continuare non più da precaria, ma, per farla breve, da redattrice di libri.
Non esitai un attimo, accettai prima che ci fossero ripensamenti. Da lì partì la mia carriera editoriale. Da zero. Eravamo in due nella redazione libri il dottor Neri Carano e io…Imparai molto rapidamente anche con la complice collaborazione di Ida Omboni, coautrice di Paoli Poli: ero la curatrice delle loro edizioni teatrali. Dal copione al libro. Poi Il nuovo bambino del pediatra più celebre del dottor Spok americano, il professor Marcello Bernardi. Libro complesso con disegni di Guido Crepax, foto di Ferdinando Scianna. E io avevo costruito insieme all’autore anche l’indice analitico! Un impegno che non dimentico: schede e schede e schede da ordinare e correggere. Ma l’impegno era una molla per me irresistibile. Poi il Teatro di Arrabal, e di Roland Topor La principessa Angina, e via editando per non parlar dei fumetti che apparivano in“linus”,raccolti in agili libri che andavano benissimo in libreria. Ma basta così come inizio. Poi incominciai a progettare copertine della rivista, piacevano a Gandini i miei accostamenti cromatici insoliti, ma mi teneva sempre in sospeso. Non mi dava certezze, poi mi esponeva come sue riflessioni le mie proposte… ma la copertina era la mia e questo mi piaceva molto e mi bastava anche come maternità.
Vari sono i passaggi nella tua vita lavorativa di Art director. Quali pensi siano stati i più significativi?
Indubbiamente il più importante fu quando il direttore Oreste del Buono, Odibì, mi nominò Art director e fui, lo dico con orgoglio manifesto, la prima Art director del mondo editoriale in Italia! Poi mi lasciò fare un bellissimo progetto di allegato a“linus”:“L’uno”. So che ancora esiste perché l’hanno raccolto e non conosco chi, in un unico fascicolo che viene venduto in rete. E infine nel 1979 Odibì mi fece studiare e riprogettare“linus”in formato più piccolo per risparmiare sulla carta, che incideva troppo sui costi e avrebbe potuto penalizzarci. Ricevetti una contestazione simpatica e affettuosa da Wolinski che conservo alla parete del mio soggiorno con indicibile rimpianto.
Hai contribuito a portare in Italia, soprattutto dagli Stati Uniti, celebri fumetti da noi sconosciuti. Come valuti le vere e proprie svolte avvenute nel panorama di lettura di quegli anni nel nostro Paese, grazie anche al tuo impegno?
Nel 1983 appena due anni dopo la mia nomina a direttore di tutte le testate della ex Milano Libri Edizioni, diventata una collana con un notevole catalogo e rinominata solo Milano Libri, mi venne in mente di fare una nuova rivista mensile dedicata all’avventura e al viaggio in tutte le modalità, dalla poltrona al mondo, dalla fantasia alla realtà. Ne parlai con Hugo Pratt, che qualche sogno nel cassetto della sua mente l’aveva, ma non trovava consensi. Fare una rivista con il suo bel marinaio Corto Maltese. Questo mi accese subito lampadine nella mente. E pensai e fantasticai su mappe e luoghi del pensiero e del mappamondo e persone e altrove e altro quando. Si sviluppò da quel guazzabuglio mentale un’idea, un progetto, che appassionò anche un autore e viaggiatore sperimentato come lui, Pratt. Chiesi al solito rassicurante Salvatore Gregorietti di studiare un menabò con tutte le mie suggestioni e una testata “Corto Maltese”. Lo fece con la consueta perizia e con una spinta in più determinata dal mio desiderio di avere mappe e non solo, da cui partire anche idealmente per viaggi fantastici. Anche di antropologia culturale. Ci doveva essere una geografia fantastica e passionale attorno a cui inserire pezzi di altrove, e su tutto i miei editoriali studiati nottetempo e mandati dalla tolda dell’Ammiraglia: “Corto Maltese”, appunto. E contenuti affascinanti, sorprendenti sempre anche nell’immagine e nel senso del viaggio. Dalla valigia, al segno, al volo, al sogno a volte incubo ma senza effetti speciali. Occhi e fantasia. Racconto. E per arricchire di senso l’avventura andai a New York a spulciare tra le edizioni DC comics, e ne tornai con una messe di autori spettacolari. Un elenco esaustivo per me è impossibile e rischia di tediare. Un assaggio? Eccolo: Frank Miller, Neil Gaiman, Dave McKean, Alan Moor, Dave Gibbons…basta? Ma da New York tornai anche con i libri dei Muppet e un regalo di Jim Henson, il papà creatore di quelle storie fantastiche, che io riportai in Italia fuori dalla televisione, in edizioni e pubblicazioni per bimbi in crescita e speciali: per apprezzare Hermit the Kermit, il ranocchio che ancora oggi mi accompagna… Mi sono persa nelle parentesi, ma volevo dire che il regalo di Jim Henson è stato un orologio da polso con il famoso ranocchio nel quadrante. Dagli anni ottanta mi guarda e funziona perfettamente.
Quali le differenze nella direzione di due testate storiche come “linus” e “Corto Maltese”? Hai dovuto escogitare diversi e strategici piani di intervento?
Molte e numerose le differenze tra“linus”e “Corto Maltese”. Proprio concettuali. “linus”, la visione del mondo giovane in rapida evoluzione anche barricadera e politicamente scorretta, ma in ricerca tra suoni e profumi di cultura. “Corto Maltese”, il viaggio mobile o immobile verso l’altrove misterioso e sconosciuto dentro o fuori di noi che ti cambia: chi vive l’avventura ha occhi diversi. Lo so io che di avventure d’Autore ne ho vissute e cercate molte. Infatti, sono stata direttore responsabile di altre testate:”Alteralter”, poi diventato “Alter” e poi “Il grande alter”, tutto di sperimentazione grafica e narrativa: sono quindi abituata a creare nuovi assetti e fare interventi e inventarmi rubriche e cercare nuovi autori e collaboratori. Inventai “i martedì del disegnatore”, e la redazione fu sommersa da racconti, visionari e realistici, innovativi e post moderni… Scoprii molti talenti indiscussi e indimenticabili provenienti da su e giù per la penisola e oltre ogni limite geografico. Uno fra tanti Andrea Pazienza, ma dovrei citarne troppi, i Valvoline a esempio, che poi nella storia si raccontarono scoperti da Odibì. Ma anche la mia storia è ricca di falsi d’autore. Fake news ante social network! Per “linus”occorreva che io annusassi il cambiamento o le sue possibilità e probabilità: sono sempre stata molto attenta e curiosa e pronta alle sorprese. Una tensione continua che non mi abbandonava e non mi abbandona ancora oggi. Creare, osservare, raccontare, immaginare, realizzare visioni e sogni, con la mente sempre inquieta per capire, aperta al nuovo che sarà, alla ricerca di nuovo, di futuro, di realtà e anche di solidarietà, che prescinda da questo e da quel pregiudizio. Senza sgomitare per farmi avanti, ma sempre, credo, con la forza delle mie ragioni anche strampalate. E delle mie domande curiose sovente senza risposta. Trovare vie narrative capaci di sviluppi molteplici esemplari nel piccolo che nasconde il grande, nel grande che non riesce ad aprirsi al cambio del vento. La nostra realtà è stata ed è molto complessa, complicata, e i giovani, i più piccoli, sono stati e sono la mia preoccupazione e cura. Desidererei trasportarli in altre realtà raccontando storie normali vicine. Ma ricche di sottintesi da scoprire. Vorrei essere sorpresa dalla loro attenzione. Come è successo a Roma nella Festa del Cinema nella enorme Sala Sinopoli della Casa della Musica, quando proiettammo il nostro film Iqbal. Bambini Senza Paura. 1800 bambini della scuola dell’obbligo hanno respirato e trattenuto il respiro in tutti i momenti cruciali, emotivamente forti, si sono poi abbandonati ad applausi e grida quando la tensione si scioglieva, perché i mostri sfruttatori dei bambini nel laboratorio di tappeti venivano scoperti e portati nel posto di pena più duro con la speranza di redimersi… Si capiva la partecipazione forte del pubblico giovane, forse fino a quel momento inconsapevole che in qualche parte del mondo, ma anche dietro l’angolo, ci potessero essere bambini che lavorano: anziché vivere la propria infanzia costruiscono oggetti che si troveranno poi in cartoleria, se non in negozi di giochi o di scarpe o d’altro.
Ebbene sempre pensando ai bambini nell’età evolutiva delicata ed essenziale per la loro formazione, nel 1986 studiai con Schulz (sempre Sparky per gli amici e noi amici eravamo) “Snoopy”, un mensile di fumetti, giochi, natura, attualità. Durante i viaggi a Santarosa scoprii sul “Los Angeles Times” un paio di strisce strepitose e le volli subito. Una per “linus”Opus (Bloom County) di Berkeley Breathed, e una per “Snoopy”Calvin&Hobbes di Bill Watterson. Anche per questa nuova testata (preferisco creatura) mi avvalsi della grafica di Gregorietti, per me insuperabile, e cooptai tra i collaboratori, come del resto avevo fatto per “Corto Maltese”, Giovanni Gandini il mio primo scout-direttore-editore a cui devo molto e che ricordo con stima anche per la sua indiscussa genialità.“linus”senza di lui non sarebbe mai venuto alla luce, ne sono certa. E chissà, forse neppure io… Ebbene “Snoopy” fu un successo straordinario di vendite e abbonamenti. Me lo ricordo perfettamente perché, nonostante andasse a gonfie vele e l’aumento degli abbonamenti fosse un bollettino quotidiano in ascesa continua, la direzione risolse di affidarlo ad altri per mio eccesso di direzioni di testate, e tutto il mio lavoro sul linguaggio e sui linguaggi se ne andò “per li rami”.
Oggi guidi, insieme con tuo fratello, una casa di produzione che nel 2015 ha riscosso successo con il film Iqbal. Bambini Senza Paura. Come siete pervenuti a questo film di animazione?
La genesi è stata la lettura congiunta del nuovo romanzo del mio amico Francesco d’Adamo. Avevo apprezzato quello precedente tutto visivo cinematografico mentre Storia di Iqbal è un epistolario che ha come protagonista una giovanissima emigrata che vuole notizie di Iqbal. Lei a Milano fa la babysitter. Ma da lì, con un’operazione se vogliamo molto audace, abbiamo dimenticato il libro per raccontare in forma di favola realistica la vicenda umana del piccolo Iqbal, lo abbiamo inserito in un altrove senza confini e nazionalità, ma ben preciso per clima culturale. Lo abbiamo dedicato a tutti gli Iqbal del mondo. Solo in Italia in quegli anni si sapeva di quasi 600000 bambini lavoratori. In Cali (Colombia) l’economia era allora sostenuta dal lavoro minorile editoriale. I pop up book erano fatti e assemblati tutti da bambini: dita minuscole per incollare minuscoli e fragili pezzi di scene che si devono sollevare come per magia per la nostra meraviglia, quando apriamo le pagine del libro realizzato da bimbi coetanei dei suoi lettori. E dita sottili sono necessarie anche per annodare i tappeti più pregiati che hanno appunto nodi minuscoli. E Iqbal ha dita minuscole e agili per fare uno dei tappeti più preziosi e richiesti dal mercato degli stranieri, il Bangapur. Nome suggestivo, ma Iqbal è un eroe, un temerario, un coraggioso bambino che sfida l’orrido orco sfruttatore disumano per famiglia e attività congiunta. E ne esce trionfante. E la favola ha una fine di speranza nel volo della fenice. aperta alla libertà di essere bambini e di crescere senza paura nella loro infanzie e adolescenza.
Quali sono i vostri progetti futuri? Saranno ancora indirizzati ai giovani?
In questo momento abbiamo in costruzione un progetto con intenti narrativi di un particolare micromondo strampalato, che ha radici lontane e un sacco di situazioni ecologiche e di sopravvivenza e di solida amicizia, inframmezzata da presenze inquietanti che tendono a essere nocive con feroce insuccesso e sconfitte dalla natura, di cui non sentono l’importanza, ma che c’è e resiste. È una serie di 52 episodi di 11 che dovremmo produrre con la RAI e un partner francese. Il mini trailer l’ho presentato a Toulouse in una recente edizione di Cartoon Forum, e devo dire con un discreto successo di cui dovremmo raccogliere i risultati entro l’anno. Poi la produzione durerà non poco: i cartoni animati sono molto lunghi come realizzazione e muovono un numero grandioso di professionalità e artigianalità tecnologiche che il cinema, con attori e tutto il resto, non richiede né conosce.
fulvia.serra@gertieproduction.com
L'autore
- M. G. Tavoni, già professore ordinario di Bibliografia e Storia del libro, è studiosa con molti titoli al suo attivo. Oltre a studi che hanno privilegiato il Settecento ha intrapreso nuove ricerche su incunaboli e loro paratesto per poi approdare al Novecento, di cui analizza in particolare il libro d’artista nella sua dimensione storico-critica. Diverse sono le sue monografie e oltre 300 i suoi scritti come si evince dal suo sito www.mariagioiatavoni.it
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