Interventi

La virtù degli errori. Freud, Dostoevskij e gli errori di traduzione in “Descrizioni di descrizioni”

Pasolini inizia a leggere Freud (significativamente, come Dostoevskij) negli anni universitari e friulani. Enzo Siciliano ricorda come, a Casarsa, Pasolini leggesse insieme all’amica Kalz, i “Tre saggi sulla sessualità di Freud, che la Kalz leggeva in tedesco, e Pier Paolo, in stralci, su dispense universitarie.”[1].
E lo stesso Pasolini scrive, in un pezzo del 1963 apparso su “Il Giorno” e dedicato appunto a Freud, di come avesse letto gli scritti del fondatore della psicanalisi a Bologna, negli anni Quaranta: “[…] tutto Freud l’avevo […] letto a Bologna […] venti anni fa, e più, atto fondamentale della mia cultura e della mia vita”[2].
Negli anni Settanta, Pasolini riprende con nuovo spirito quella lettura (esattamente come farà con Dostoevskij), anche alla luce di una riflessione rinnovata sulla sua esperienza esistenziale (accompagnata dall’approfondimento degli studi di psicanalisi e antropologia). Una rilettura che, ovviamente, avrà la sua ricaduta nella scrittura letteraria, cinematografica e teatrale.
Pasolini è ora giunto alla conclusione che, all’origine della sua sofferta omosessualità, non stia tanto l’odio nei confronti del padre, quanto il rapporto ossessivo con la madre. Come dirà a Jon Halliday in una delle interviste rilasciate tra il 1968 e il 1971, ha compreso che nella sua infanzia era stato l’amore per il padre, velatamente omosessuale, ad essere più ‘edipico’ rispetto a quello (‘freudianamente normale’) verso la madre (pure fortissimo, ma più sentimentale e ideologico che erotico):

Per molto tempo ho pensato che l’insieme della mia vita erotica ed emozionale fosse il risultato del mio amore eccessivo, quasi mostruoso verso mia madre. Ma abbastanza di recente mi sono reso conto che anche il rapporto con mio padre è stato importantissimo. […] Avevo sempre pensato di odiare mio padre, ma di recente, scrivendo uno dei miei ultimi drammi in versi, Affabulazione, che tratta del rapporto fra padre e figlio, mi sono accorto che, in fondo, gran parte della mia vita erotica ed emozionale non dipende da odio contro di lui, ma da amore per lui, un amore che mi portavo dentro fin da quando avevo circa un anno e mezzo, o forse due o tre, non so …[3]

L’interesse per Freud, e per Dostoevskij anticipatore di Freud (un’immagine dello scrittore russo creata da Freud stesso, che nell’ultimo Pasolini assume una rilevanza particolare), serve dunque al poeta per riflettere sulla propria esperienza di vita, e, in particolar modo, sulla propria omosessualità, in un momento, però, fondamentale anche da un punto di vista ideologico. Dalla metà degli anni Sessanta in poi, l’omosessualità diventa per Pasolini la figura della diversità in senso assoluto, dell’alterità rispetto al potere (assimilata a quella del poeta, del perseguitato, dei dissidenti sovietici, degli ebrei, dei negri d’America), unica possibilità di opposizione reale alla Dopo-storia (cioè all’omologazione neocapitalistica, al nuovo fascismo, alla distruzione dell’antico umanesimo). Pasolini, poeta e omosessuale, getta il suo corpo nella lotta, come indicato da Malcom X, e le fotografie che lo ritraggono, realizzate da Dino Pedriali a Chia (pensate per essere inserite in Petrolio), rappresentano proprio quel corpo – un segno espressivo e politico proiettato nel doppio di un’ombra che ricorda quella dostoevskiana descritta da Gide:

[…] quello che importa soprattutto, in un libro di Dostoevskij come in un quadro di Rembrandt, è l’ombra. Dostoevskij raggruppa i suoi personaggi e i fatti, e proietta su di essi una luce intensa, di modo che questa li colpisca da un solo lato. Ciascuno dei suoi personaggi è immerso nell’ombra, si appoggia sulla propria ombra[4].

Nell’ultima produzione, Pasolini usa Dostoevskij proprio in virtù di quell’ombra, che è anche la sua, della sua esperienza esistenziale non distinguibile ideologicamente dalla creazione e dalla storia (l’ombra dei personaggi dostoevskiani, va ricordato, non ha un’origine psicologica, ma nasce da una struttura ideologica interna alla storia: come notano Gide, Berdjaev e Bachtin, i personaggi dostoevskiani sono portatori di idee non di psicologismi).

Tra il 1973 e il 1974 Garzanti pubblica, nella collana dei Grandi Libri, i maggiori romanzi dello scrittore russo: nel 1973 escono Delitto e castigo e Il sosia tradotti da Pietro Zveteremich, i Demòni e L’Idiota tradotti da Rinaldo Küfferle, e, nel 1974, i Fratelli Karamazov, tradotto da Alfredo Polledro. Pasolini legge queste nuove edizioni dei classici dostoevskiani[5], le studia, le usa per Petrolio, per la saggistica e per la pubblicistica, le cita nella sua ultima raccolta poetica (La nuova gioventù), le rielabora in Salò. Pubblica un saggio su Delitto e castigo e uno sui Fratelli Karamazov, poi raccolti in Descrizioni di descrizioni.
E in entrambi i saggi torna prepotentemente Freud.
Nella lettura di Delitto e castigo (del 4 gennaio 1974), Pasolini enfatizza a tal punto la lettura freudiana del romanzo di Dostoevskij, da renderla chiave interpretativa pressoché esclusiva del delitto di Raskol’nikov.

Un giovane uomo di ventitré anni – un bel ragazzo anche se così pallido e magro – è «traumatizzato» dall’amore della madre (e per ampliazione, della sorella). La situazione è, per noi, classica: si tratta di una passione infantile edipica. […] Egli prova altre attrazioni – che non divengono però mai sessuali – per due altre ragazze giovanissime: una adolescente ubriaca o drogata che se ne va per la strada (ed egli la protegge da un «pappagallo», chiedendo l’aiuto – il che è sintomatico – di un poliziotto) e poi, per un attimo, verso un’altra giovinetta mendicante (che perciò fa pena: e la pena è umiliante, può essere umiliante fino al sadismo)[6].

Impossibile non collegare queste osservazioni alla costruzione della psicologia di Carlo, il protagonista di Petrolio. Carlo ha un rapporto incestuoso con la madre, le sorelle e la nonna, ed è ossessionato sessualmente da “ragazze giovanissime”. In lui, però, il complesso edipico si libera, attraverso il compiersi dell’atto sessuale (Carlo fa l’amore con tutte le donne della sua famiglia), mentre in Raskol’nikov deve sublimarsi nel delitto, che trasforma in odio l’amore per la madre e la sorella (che non può e non deve realizzarsi)[7]. Uccidere la vecchia usuraia e la sua innocente sorella equivale a uccidere simbolicamente le donne amate.

Benché Dostoevskij fondi esplicitamente il delitto di Raskol’nikov sull’idea (di derivazione nietzschiana) dell’uomo superiore che ha il diritto di uccidere chi ritiene inferiore in umanità (interpretazione che Pasolini peraltro ricorda[8]), l’autore di Petrolio si concentra sul fallimento psicologico del personaggio dostoevskiano (elemento evidentemente più funzionale alla sua scrittura, negli anni di Petrolio). È nella liberazione solo simbolica dalla figura materna che si trova la constatazione dell’inutilità del proprio delitto. L’incapacità patologica di amare (anche sessualmente) un’altra donna aldilà della madre, diventa desiderio di autodistruzione, oltre che di distruzione (il sadismo con il quale Raskol’nikov tratta Sonja ne è la dimostrazione, secondo Pasolini[9]).

Per dare credito a questa interpretazione, Pasolini ricorda il sogno del massacro del cavallo che Raskol’nikov fa prima di andare a uccidere l’usuraia. Va detto che Pasolini non sceglie il brano più adatto per dimostrare una tesi peraltro corretta (quella del desiderio di autodistruzione del protagonista di Delitto e castigo). La traduzione di Zveteremich lo induce a un’interpretazione sbagliata del sogno. Nell’edizione Garzanti (ma anche in quella Einaudi, tradotta da Polledro) il cavallo (di genere femminile, in russo), che Dostoevskij indica in vario modo (come ronzino, cavallino, cavallo da tiro) ma sempre con sostantivi di genere femminile, viene tradotto prima con “cavallina” e poi con “cavallino”. Pasolini crede che questa sia la versione dell’originale, e interpreta in senso freudiano l’errore di traduzione:

[…] ammazzando le due vecchie donne, aveva infierito su se stesso. Anche questo è da manuale. Non per niente poco prima di spaccare con la scure la povera, indifesa, tenera nuca della malvagia vecchia (la madre, invecchiando, diventa infantile), il nostro eroe aveva fatto un orribile sogno: dei giovinastri, nella sua cittadina di provincia, per dove egli camminava tenendo per mano il padre (!) ammazzano, seviziandola in modo atroce, una povera, magra cavallina […]: ma il fatto rilevante è che, benché si tratti di una “cavallina”, egli parlandone col padre e con gli astanti, appunto perché infante, la chiama “cavallino”. Dunque, chi è stato torturato, seviziato, massacrato, ucciso: una cavallina o un cavallino?[10]

Aldilà dell’errore di base di questa interpretazione (dovuta alla fede, del tutto comprensibile, che Pasolini ripone nel traduttore), ci si chiede perché Pasolini abbia scelto proprio il sogno del cavallo per indicare ciò che Raskol’nikov dice chiaramente durante la confessione del delitto a Sonja, il momento del romanzo che doveva averlo colpito di più, se ne aveva ricavato il titolo dell’ultima sezione di La nuova gioventù (Tetro entusiasmo):

“E intanto l’avete uccisa! L’avete uccisa!”
“Uccisa sì, ma come? Si uccide forse in quel modo? Si va forse ad uccidere come ci sono andato io? […] Ho forse ucciso quella vecchietta? Ho ucciso me stesso, non la vecchietta! Mi sono ammazzato con un colpo solo, e per sempre![11]

Il punto è che il sogno del cavallo, soprattutto grazie all’errore di traduzione[12], assume delle caratteristiche molto più freudiane della semplice ammissione fatta da Raskol’nikov a proposito del proprio desiderio di autodistruzione. Il sogno di Raskol’nikov richiama facilmente la fobia dei cavalli del bambino curato da Freud, dal cui esame sarebbe nata la teoria del complesso edipico. In Dostoevskij Pasolini crede di ritrovare l’animale simbolico freudiano, e, nella confusione di generi, la giustificazione inconscia dell’impulso a uccidere e a suicidarsi insieme, che effettivamente Raskol’nikov possiede, e che ammette di fronte a Son’ja (con tetro entusiasmo).
Forzando in senso freudiano il romanzo di Dostoevskij, appare evidente come Pasolini rifletta anche sulla sua esperienza edipica (che riporterà poi in Petrolio, meta-letterariamente e meta-psicanaliticamente). La madre di Raskol’nikov, nella descrizione di Pasolini, ricorda in modo indiscutibile Susanna Colussi, come il figlio l’ha descritta in poesia, nel cinema, nelle riflessioni autobiografiche:

Una madre buona, sì, buona, anzi angelica; borghese, ma dotata di tutte le qualità migliori della borghesia provinciale: di quello speciale idealismo, cioè, che non può fare del proprio figlio che un essere adorato e unico[13].

Il rapporto con la madre, per Pasolini, è una grazia e una maledizione insieme. Nell’amore totalizzante per lei il poeta riconosce la dannazione della sua solitudine sentimentale, dell’impossibilità di trovare il sostituto di un legame esclusivo (come afferma esplicitamente nella poesia che le dedica in Poesia in forma di rosa): 

Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.

Per questo devo dirti ciò che è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.

Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.

E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame
d’amore, dell’amore di corpi senza anima.

Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:

ho passato l’infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso. […][14]

Il poeta è convinto che nel complesso edipico irrisolto, nel riconoscimento di un potere materno che condiziona la vita anche quotidiana del figlio maschio, si trovi la radice dell’omosessualità (a partire dalla propria), che, come avviene in Raskol’nikov (secondo la sua interpretazione) porta alla rimozione del sesso. Nell’intervista a Duflot, Pasolini dice:

Forse l’omosessuale ha il senso dell’origine sacra della vita più di chi si vuole strettamente eterosessuale. Il rispetto della santità della madre predispone a una particolare identificazione con essa; direi anzi che nel fondo dell’omosessuale c’è in modo molto inconscio la rivendicazione della castità: il desiderio dell’angelizzazione[15].

Raskol’nikov scioglierà il suo complesso con la morte (naturale) della madre, e ciò gli permetterà di legarsi finalmente a Sonja (scomparsa fisicamente l’edipica fonte esclusiva dell’amore, il figlio può amare):

Ciò avviene di colpo e senza nessuna ragione. Assomiglia un po’ a quella che i cristiani chiamano “conversione” o i filosofi Zen “illuminazione”: cioè un mutamento radicale che si verifica in un momento qualunque o addirittura banale[16].

Concordando con Gide, Pasolini afferma, alla conclusione del suo saggio, che Dostoevskij ha anticipato i fondamenti della cultura novecentesca (Nietzsche, Kafka), ma, soprattutto, ha anticipato Freud:

Non solo Dostoevskij ha prefigurato Nietzsche e tutta la cultura nietzschiana, non solo ha prefigurato Kafka, cioè almeno metà della letteratura del Novecento (basta infatti togliere la descrizione del delitto iniziale, e lasciare tutto il resto così com’è: e Delitto e castigo diventa un enorme e convulso Processo), ma addirittura ha prefigurato, precorso, preteso Freud. A meno che egli non sapesse già tutto ciò che Freud avrebbe scoperto. Questa mia non è che un’umile chiacchierata e un’analisi psicanalitica a braccio; ma potrei però dimostrare, in un saggio documentato, come in Delitto e castigo ci sia un numero impressionante di espressioni “esplicitamente” psicanalitiche. Ciò mi riempie di una sconfinata ammirazione, pari almeno a quella che sento per la impareggiabile «sceneggiatura» del romanzo[17].

Se Pasolini poteva basare l’interpretazione freudiana di Delitto e castigo su una sua intuizione, per i Fratelli Karamazov era addirittura ovvio ricordare il fondatore della psicanalisi, che dedicò proprio all’ultimo romanzo di Dostoevskij il celebre saggio intitolato Dostojewski und die Vatertötung (Dostoevskij e il parricidio). Partendo da questo classico dell’esegesi dostoevskiana, Pasolini introduce la propria analisi dei Karamazov raccolta in Descrizioni di descrizioni. Nella nota introduttiva all’edizione Garzanti del 1974 (che Pasolini esamina[18]) viene citato lo scritto di Freud, nel quale l’autore esprime la più alta stima verso il Dostoevskij scrittore e la totale mancanza di stima verso il Dostoevskij uomo. Pasolini inizia il saggio proprio partendo dalla constatazione del mancato apprezzamento di Freud del Dostoevskij uomo. Psicanalizzando il fondatore della psicanalisi, il poeta afferma che ciò che Freud scrive a proposito dello scrittore russo è giustificato da “ragioni […] convenzionali e di “buon senso” (“sintomo” chiaro, dunque)”.[19] Il riferimento a Dostoevskij e il parricidio, però, finisce qua. La citazione dello scritto freudiano si rivela un pretesto: a Pasolini non serve ricordare Freud per la lettura che il filosofo fa dei Karamazov. Gli occorre solo evocare il tema indicato nel titolo – il parricidio. Infatti, se il saggio su Delitto e castigo è dedicato al complesso edipico e al matricidio metaforico, quello sui Karamazov è dedicato alla rimozione e al parricidio.
In Delitto e castigo il matricida ha da subito un nome; nei Karamazov il parricida si scompone in una serie di possibili colpevoli, e il momento stesso del parricidio è assente, da un punto di vista narrativo. In Delitto e castigo il raddoppiamento della madre è chiaro; nei Karamazov “il fatto che l’unità paterna sia costituita da due persone, non ha sbocchi o giustificazioni riconoscibili, nel racconto” [20]. In altre parole, mentre il matricidio è legato in modo evidente al complesso edipico, il parricidio è legato con altrettanta evidenza alla rimozione.

In realtà il «momento» dell’assassinio del padre è una «lacuna». Dostoevskij – ricorrendo così a un trucco che non ha equivalenti in nessun altro luogo della sua intera opera narrativa – ci mette dei «puntini». Lo passa cioè sotto silenzio, lo rimuove: non lo vuol far sapere, e, forse!, non lo vuol sapere. In questi «puntini» c’è tutto Freud. I fratelli Karamazov sono il poema della rimozione[21].

Il punto al quale fa riferimento Pasolini dovrebbe essere il momento in cui, nel quarto paragrafo dell’ottavo libro (intitolato Nel buio nella traduzione di Polledro) Dmitrij Karamazov prende il pestello di rame per uccidere il padre; in questo momento, in effetti, l’azione viene sospesa (la frase che descrive l’atto di prendere il pestello dalla tasca finisce con i puntini di sospensione). Nell’edizione Garzanti, però, in questo passo compaiono una serie di puntini che staccano nettamente il momento in cui Dmitrij prende il pestello dalla sua ambigua affermazione “Dio allora mi preservò”, come a indicare un pezzo di testo mancante[22]. Una soluzione grafica che non esiste nell’originale, e che non appare neanche in altre traduzioni dei Karamazov. Anche in questo caso, come nella sviante traduzione di “cavallina”/“cavallino” in Delitto e castigo, Pasolini affida a una peculiarità della traduzione Garzanti un’interpretazione fondamentale. Dostoevskij non indica la rimozione in modo così evidente (come suppone Pasolini, prestando fede alla traduzione di Polledro), dimostrando peraltro anche una maggiore genialità narrativa rispetto al suo editore italiano – il flusso della narrazione non s’interrompe in modo visivo, e ciò rende maggiormente straniante il momento del parricidio.
Come nella lettura di Delitto e castigo, dunque, anche in quella dei Karamazov Pasolini trova Freud in un particolare che in Dostoevskij non esiste, ma ciò che importa è che anche in questo caso l’interpretazione freudiana del romanzo (per quanto a volte forzata, come nel caso di quella di Delitto e castigo) sia funzionale alla propria scrittura (di Petrolio, Bestia da stile, Salò). Nei fratelli che operano la rimozione del parricidio (nelle loro azioni, nella loro psicologia e ideologia) si trova il prototipo dei protagonisti di Petrolio, e anche alcune delle premesse ideologiche delle altre opere composte alla fine dei giochi (la crudeltà e il delitto che giustificano un ribaltamento del Potere che è in realtà solo un suo rinnovamento). I puntini dell’edizione Garzanti, che assumono un ruolo importante per indicare, anche stilisticamente, la colpevolezza (e la rimozione della colpa) di tutti i fratelli Karamazov, evocano l’incompiutezza di Petrolio, la voluta sospensione di alcune azioni (nelle quali in un certo qual modo agisce anche la rimozione):

I “puntini” attraverso cui non è detta, o tenuta nascosta, la reale meccanica del parricidio – e il parricidio stesso – sono la “lacuna” in cui si può leggere, attraverso una lettura non letterale, la colpevolezza di tutti quattro i fratelli[23].

Pasolini conclude la lettura dei Karamazov con l’esame dei rapporti tra gli uomini e le donne del romanzo. In esso non si avverte solo l’eco di Freud, ma che quella di Berdjaev (lettura del periodo di formazione[24]).
Concordando con Freud, che ritiene Dostoevskij un omosessuale latente (o quanto meno un bisessuale), Pasolini vede nei legami tra i personaggi maschili un’attrazione omosessuale sfiorata, che, ovviamente, esclude le donne dal ruolo di reale oggetto del desiderio. Pur non partendo dal presupposto di una possibile omosessualità dei personaggi maschili di Dostoevskij, anche Berdjaev giunge alla conclusione che le donne, nei romanzi dostoevskiani, siano delle figure laterali, funzionali agli uomini:

Nell’autore non si potrebbe trovare il culto dell’eterno femminino. […] Nella sua opera Dostoevskij scopre solo il tragico cammino dello spirito maschile, che era per lui il cammino dell’uomo. La donna ha parte importante in questo cammino. Ma la donna è solo lusinga e passione dell’uomo. […] La demonicità femminile interessa Dostoevskij solo come elemento che risveglia la passione dell’uomo e ne sdoppia la personalità[25].

Pasolini va oltre e intende la marginalità delle donne dei Karamazov come sintomo del legame sensuale che lega tra loro gli uomini che pure dicono di amarle:

Come isole sconvolte in mezzo a un mare in tempesta, esse paiono essere fatte di un’altra materia che quella degli uomini, i quali vorticano intorno a loro, dandole sempre per scontate, anche nel momento in cui siano più problematiche e assillanti (per odio o amore): in realtà quegli uomini ruotanti attorno a loro […] si osservano, si attirano e si respingono unicamente fra di loro[26].

Tuttavia, nei protagonisti dei Karamazov come in Raskol’nikov il sesso è rimosso, che sia di natura omosessuale o eterosessuale. E in questo la lettura di Freud compensa Dostoevskij, essendone a sua volta evocata:

E naturalmente si parla solo di sentimenti, perché, quanto ad organi sessuali, gli eroi di Dostoevskij paiono esserne privi. Nella «nostra città» non se ne parla. Il parlarne, per l’appunto, era la frontiera che era destinata a valicare Freud, senza cui la psicanalisi di Dostoevskij sarebbe stata una specie di continente perduto[27].

Dostoevskij, dunque, anticipa Freud, ma senza Freud sarebbe un “continente perduto”. La lettura dell’uno compensa e amplifica quella dell’altro. Ed entrambe sono centrali nel primo Pasolini, ma ancor di più nell’ultimo, tanto che il primo traduttore di Petrolio in russo, Vladimir Luk’jančuk[28], afferma, nell’introduzione alla traduzione, che in Petrolio “leggiamo tutto Dostoevskij o il marchese De Sade lungo la linea tracciata da Freud”. E non a caso, nello stesso numero della rivista nella quale pubblica la traduzione (parziale) di Petrolio, Luk’jančuk pubblica anche la traduzione di Il sesso come metafora del potere (autointervista su Salò pubblicata sulle pagine del “Corriere della sera”), e del saggio pasoliniano sui Karamazov.

francescatuscano@gmail.com

 

 

[1] Enzo Siciliano, Vita di Pasolini, Mondadori Milano 2005, p. 93.

[2] Pier Paolo Pasolini, Freud conosce le astuzie del grande narratore, “Il Giorno”, 6 novembre 1963, in Saggi sulla letteratura e sull’arte, Mondadori Milano 1999, v. 2, p. 2404.

[3] Pier Paolo Pasolini, Saggi sulla politica e sulla società, Mondadori Milano 1999, pp. 1285-1286.

[4] André Gide, Dostoevskij, Bompiani, Milano, 1946; ristampa: Edizioni Medusa, Milano, 2013, p. 100.

[5] Cfr. Graziella Chiarcossi, Franco Zabagli, La biblioteca di Pier Paolo Pasolini, Leo O. Olschki Firenze 2017.

[6] Pier Paolo Pasolini, Fëdor Dostoevskij Delitto e castigo, in Descrizioni di descrizioni, in Saggi sulla letteratura e sull’arte, cit., v. 2, p. 1971.

[7] “Egli così ammazza la madre […] che […] aveva suscitato in lui un amore che, per essere orrendamente colpevole, si era – come vuole il meccanismo – trasformato in odio” (Pier Paolo Pasolini, Fëdor Dostoevskij Delitto e castigo, in Descrizioni di descrizioni, in Saggi sulla letteratura e sull’arte, cit., v. 2, p. 1972).

[8] “ Nella sua teoria – di carattere nietzschiano – il nostro ragazzo considera il delitto un “delitto gratuito”, fatto per dimostrare a se stesso, da una parte, di essere un uomo superiore […] dall’altra, di essere addirittura un “superuomo”, al di là di ogni valore morale istituito” (Pier Paolo Pasolini, Fëdor Dostoevskij Delitto e castigo, in Descrizioni di descrizioni, in Saggi sulla letteratura e sull’arte, cit., v. 2, p. 1973).

[9] “Il sentimento del nostro eroe verso questa ragazza dovrebbe essere d’amore (e infatti lo è): ma si tratta di un amore privo di un elemento essenziale, cioè il sesso. Il quale si manifesta (ancora e irrimediabilmente!) attraverso il sadismo.” (Pier Paolo Pasolini, Fëdor Dostoevskij Delitto e castigo, in Descrizioni di descrizioni, in Saggi sulla letteratura e sull’arte, cit., v. 2, p. 1974).

[10] Pier Paolo Pasolini, Fëdor Dostoevskij Delitto e castigo, in Descrizioni di descrizioni, in Saggi sulla letteratura e sull’arte, cit., v. 2, p. 1975.

[11] Fëdor M. Dostoevskij, Delitto e castigo, cit., p. 472.

[12]  La scelta di tradurre le varianti di “cavallo” usate da Dostoevskij con “cavallina” nella descrizione del sogno, e “cavallino” negli interventi diretti di Raskol’nikov bambino, non è un errore in sé. Il bambino, infatti, non a caso usa un termine diverso da tutti gli altri (lowadka, lošadka) che è un diminutivo-vezzeggiativo anche in russo. Il suo modo di rivolgersi all’animale, come nota peraltro anche Pasolini, è quello di un bambino che avvicina affettivamente a sé ciò che lo circonda e per cui prova affetto o pietà. Tuttavia, aver tradotto con cavallo o ronzino, i termini usati nell’originale per descrivere la bestia, non avrebbe creato confusioni nel lettore. Fino a giungere al paradosso dell’interpretazione pasoliniana.

[13] Pier Paolo Pasolini, Fëdor Dostoevskij Delitto e castigo, in Descrizioni di descrizioni, in Saggi sulla letteratura e sull’arte, cit., v. 2, p. 1972.

[14] Pier Paolo Pasolini, Bestemmia II, Garzanti Milano 1999, p. 640.

[15] Pier Paolo Pasolini, Il sogno del centauro, in Saggi sulla politica e sulla società, cit., p. 1544.

[16] Pier Paolo Pasolini, Fëdor Dostoevskij Delitto e castigo, in Descrizioni di descrizioni, in Saggi sulla letteratura e sull’arte, cit., v. 2, p. 1976.

[17] Pier Paolo Pasolini, Fëdor Dostoevskij Delitto e castigo, in Descrizioni di descrizioni, in Saggi sulla letteratura e sull’arte, cit., v. 2, p. 1976.

[18] “è uscita recentemente una edizione popolare dei Karamazov”, Pier Paolo Pasolini, Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov, in Descrizioni di descrizioni, in Saggi sulla letteratura e sull’arte, cit., v. 2, p. 2124.

[19] Pier Paolo Pasolini, Fëdor Dostoevskij I fratelli Karamazov, in Descrizioni di descrizioni, in Saggi sulla letteratura e sull’arte, cit., v. 2, p. 2124.

[20] Pier Paolo Pasolini, Fëdor Dostoevskij I fratelli Karamazov, in Descrizioni di descrizioni, in Saggi sulla letteratura e sull’arte, cit., v. 2, p. 2125.

[21] Ib.

[22] Fëdor M. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, traduzione A. Polledro, Garzanti Milano 1974, p. 417.

[23] Pier Paolo Pasolini, Fëdor Dostoevskij I fratelli Karamazov, in Descrizioni di descrizioni, in Saggi sulla letteratura e sull’arte, cit., v. 2, p. 2126.

[24] In una lettera a Silvana Mauri del 1946, Pasolini scrive: “Poi ti chiedo un favore, quello di spedirmi il più presto possibile, contro assegno, questi libri: La personalità di Richmond, Introduzione all’esistenzialismo di Abbagnano, L’io e il mondo di Berdjaev (tutti Bompiani)” (Pier Paolo Pasolini, Lettere 1940-1954, Einaudi Torino 1986, p. 265).

[25] Nikolaj Berdjaev, La concezione di Dostoevskij, Einaudi Torino 2002, pp. 87-88.

[26] Pier Paolo Pasolini, Fëdor Dostoevskij I fratelli Karamazov, in Descrizioni di descrizioni, in Saggi sulla letteratura e sull’arte, cit., v. 2, p. 2128.

[27] Ib.

[28] Nel numero 68 del “Mitin Žurnal” (2015) è stata pubblicata l’ultima traduzione in russo di uno scritto di Pier Paolo Pasolini, un lungo stralcio di Petrolio (tratto dall’edizione pubblicata negli Oscar Mondadori nel 2011) seguito dai saggi, poi raccolti in Descrizioni di descrizioni, su Da Cimabue a Morandi di Roberto Longhi, I fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij e su Gogol’, e dagli articoli Io so, raccolto poi in Scritti corsari, e Il sesso come metafora del potere, autointervista su Salò, anch’essa comparsa sul “Corriere della sera”. Traduzione, note e saggio introduttivo ai testi sono di Vladimir Luk’jančuk.

L'autore

Francesca Tuscano
Francesca Tuscano
Francesca Tuscano è nata il 7 settembre 1964. Laureata in Lingua e letteratura russa e in Italianistica, addottorata in Letterature Comparate, si occupa soprattutto di storia dei rapporti tra cultura russa e cultura italiana, sui quali ha scritto diversi saggi. Ha tradotto dal russo testi di B. Akunin, R. Jakobson, Ju. Lotman, V. Chlebnikov, M. Kuzmin, A. Blok, A. Achmatova, N. Kaplan, e saggi di letteratura critica su Pasolini e Leonardo da Vinci (quasi tutti ancora inediti in italiano). Ha pubblicato una monografia sulla Russia nella poesia pasoliniana (La Russia nella poesia di Pasolini, Book Time 2010). Ha pubblicato le raccolte di poesie M.Y.T.O. (Era Nuova 2003), alla quale sono seguite La notte di Margot (Hebenon-Mimesis 2007), Gli stagni di Mosca (La Vita Felice 2012) e Thalassa (Hebenon-Mimesis 2015). Ha scritto anche libretti d’opera e testi teatrali (tra i quali Come si usano gli articoli, pubblicato in I diritti dei bambini, Rubbettino 2005). Nel 2016, per il Mittelfest di Cividale del Friuli, è stata messa in scena l’opera lirica Menocchio su suo libretto (musica di Renato Miani).