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Su “El desorden que dejas” (“The mess you leave behind”)

El desorden que dejas, la prima produzione della piattaforma Netflix girata interamente nella Comunità Autonoma della Galizia, è uscita l’11 dicembre 2020. Si tratta di un adattamento dell’omonimo romanzo di Carlos Montero, vincitore del Premio Primavera 2016, prodotto dalla Vaca Films. Con i suoi otto episodi essa ci porta a Novariz, un immaginario villaggio galiziano dove Raquel arriva come docente di letteratura, in seguito al suicidio dell’insegnante precedente, un dettaglio che Raquel ignora quando assume il suo nuovo incarico.

Fin dall’inizio constatiamo come le aspettative di Raquel, donna fragile ancora segnata dalla morte per tumore della madre, andranno in frantumi quando incontrerà l’accoglienza ostile riservatale dai suoi studenti. Rachel trova persino un appunto minaccioso tra un esame e l’altro che dice: “Quanto tempo ti ci vorrà per morire?” (1, 51:30)[1]. Questo fatto la spingerà a indagare su quanto accaduto a Viruca, colei che l’aveva preceduta.
Da questo momento in poi, la miniserie di Netflix oscilla costantemente dal passato al presente, stabilendo così un chiaro parallelismo tra quanto è successo a Viruca e quanto sta accadendo a Raquel, ossessionata dalla sua ricerca. L’ombra di Viruca incombe su di lei in ogni momento e la sua presenza diventa così soffocante che Raquel dirà, a un certo punto: “È incredibile come un morto possa essere così presente, così vivo” (6, 02:23). Montero, che è anche il regista della serie, costruisce questo thriller in modo tale che le storie di Raquel e Viruca sembrano destinate a seguire un percorso molto simile e probabilmente a raggiungere lo stesso esito. Ci troviamo di fronte a un deliberato gioco di specchi, favorito non solo dalle circostanze in cui entrambe le donne sono coinvolte, ma anche dalle loro esperienze personali: entrambe vivono le loro relazioni con difficoltà, entrambe hanno fatto ricoverare le loro madri in terapia intensiva, entrambe hanno bisogno di prendere farmaci ansiolitici ed entrambe sono vittime di ricatto.

Mano nella mano con i diversi personaggi si passa dall’aria salmastra di La Marina e della spiaggia di Riazor alla Coruña, dove la finzione inizia e si conclude, alle nebbie delle terme di Orense, passando per gli incredibili paesaggi della Ribeira Sacra. Natura e mistero dominano allo stesso modo l’atmosfera di questo thriller in cui la Galizia non è solo un paesaggio, ma l’anima della serie. Si tratta di una Galizia rurale, interna, che trova il suo cuore a Celanova, un villaggio situato a 24 chilometri da Orense, dove è ambientata la Novariz della finzione e dove si trova il liceo Celso Emilio Ferreiro, un vero e proprio centro educativo all’interno del monastero di San Rosendo, che con le sue mura di pietra e gli enormi corridoi invetriati contribuisce a creare la suspense della trama.
Un ambiente grigio e verde, abbracciato dalla bruma. Perché questa è un’altra delle caratteristiche di questa Galizia fittizia: l’umidità. Non c’è tregua: piove in ogni giorno in cui questa storia si sviluppa e, in questo modo, l’umidità filtra a poco a poco nella mente di alcuni personaggi presi dalle loro miserie, un concetto che il personaggio di Roi sintetizza nel primo tema che scrive per Viruca: “Dicono dell’umidità galiziana, che impregna tutto e che non va mai via. Ma ciò che impregna tutto è la miseria, la fottuta miseria” (2, 19:11).
Una trama ben costruita, paesaggi enigmatici con i loro chiaroscuri che contribuiscono a rafforzare l’inganno, ma ciò che più ha attirato la nostra attenzione, forse per una sorta di deformazione professionale, è il tentativo di superare lo spagnolo standard attraverso la presenza nei dialoghi dei personaggi della lingua galiziana e, soprattutto, dello spagnolo parlato in Galizia.
Per quanto riguarda il galiziano, la prima cosa che possiamo osservare è che questa lingua viene utilizzata principalmente in situazioni informali, che si svolgono in spazi pubblici come i bar o nei rapporti familiari. È il caso, per esempio, della conversazione telefonica che si ascolta nel settimo capitolo:

— Logo que, ides cazar agora os xabarís? Eu, se non acabamos muy tarde, paso a noite con Mijaíl. (07:49);

o di reazioni come Que carallo dis, home! (24,28), presente nel sesto capitolo. Solo in un caso troviamo la lingua galiziana utilizzata in un contesto formale, in particolare quando Raquel si reca presso la caserma della Guardia Civil per denunciare le molestie di cui è vittima da parte dei suoi studenti. Il dialogo tra Raquel e l’esponente della Guardia Civil, in cui spagnolo e galiziano si alternano a seconda di chi parla, è il seguente:

— Boas tardes. Quería poner una denuncia.
— Faga o favor, deixeme o DNI.
— Sí.
— Perfeito. Que pasou luogo?
— Alguien me suplantó la identidad.
— Xa. Entendo. Espere que tomo os datos. Vale, vale. Listo.
(En este pueblo todos se conocen y todos se protegen). [Voce fuori campo di Roi].
— Usted es la mujer de Germán, ¿no? Joer, sentí mucho lo de su padre. ¡Qué cocinero perdió el pueblo! Germán también le da de puta madre a la cocina, ¿eh? Me acuerdo en una acampada, estábamos…
— Perdone, ¿me da el DNI?
— Sí, claro. ¿Marcha?
— Sí, en otro momento. Gracias.

Tuttavia, alla fine del dialogo ci rendiamo conto che, pur essendo in un contesto istituzionale, la formalità della situazione è venuta meno perché l’esponente della Guardia Civil è un caro amico del marito di Raquel.
Inevitabilmente, il fatto che l’azione si svolga in una comunità bilingue, unito, soprattutto, al fatto che la serie Netflix è rivolta a un pubblico potenziale di 190 paesi, implica costantemente il cambiamento del codice linguistico, cioè l’alternanza delle due lingue, spagnolo e galiziano, da parte dello stesso parlante, all’interno dello stesso discorso. Questa alternanza di codice può essere di due tipi: interorazionale, cioè quando il personaggio passa da una lingua all’altra in frasi diverse, e intraorazionale, quando il cambiamento avviene all’interno della stessa unità sintattica orazionale. Nel seguente dialogo abbiamo un caso di code switching interorazionale:

— Hola, ¿me pone un café solo?
— ¿Solo? Non lo queres con lleite millor? A estas horas uno solo perfora el estómago.
— No, mi estómago puede con todo.
— Marchando. Un trociño de bica recién feita? (1, 22:40)

Più numerosi, tuttavia, sono i cambiamenti intraorazionali. Per esempio, “Fue cerrar la fábrica y todo a carallo” (1, 23:05), “Espero que no vengan escarallarnos la fiesta” (1, 36:34), “Mauro, vai dormir, joder” (2, 00:52), “Don Froilán, ¿podemos dar una voltiña a solas por la casa?” (2, 16:42), “Con otro crédito, supoño” (2, 31:23), “Mira, meniña” (2, 42:48), “¿Y por qué me dices eso, minha nena?” (8, 16:23), ecc.
È degno di nota il fatto che i due personaggi che usano principalmente il galiziano, Concha e Demetrio, sono, rispettivamente, il proprietario di un bar e un cuoco privi di grande bagaglio culturale. Nei loro interventi, la lingua galiziana scorre fluida, dandoci espressioni caratteristiche come “Pero tú, toleaches?” (“Ma, sei impazzita?”, 2, 31:11), o legate alla tradizione come tarde piaches (“A buenas horas, mangas verdes”, 6, 24:36, o sia, “alla buonora!”), espressione che in Galizia si alterna alla sua versione spagnola “Tarde piaste”. Al contrario, l’assenza dell’uso della lingua galiziana da parte del corpo docente della scuola o durante le lezioni è degna di nota, e il suo utilizzo appare limitato ai saluti (Bos días, 1, 28:32), alle tipiche interiezioni della zona (“Yo no sé en qué carallo piensan estos de la Xunta mandando alguien como tú”, 1, 29:39) e alle rare interazioni tra gli studenti (“Que dis, gilipollas!” 1, 49:02; “Cala un pouquiño, anda!”, 4, 11:06). È vero che nel 2019 il comitato ministeriale del Consiglio d’Europa ha segnalato un rapido processo di de-galizianizzazione, soprattutto in ambito scolastico, come conseguenza della mancata applicazione delle politiche linguistiche previste dalla Carta europea delle lingue minoritarie (Vizoso, 2019), ma questa scelta degli autori e degli sceneggiatori della serie ci ricorda soprattutto la situazione del bilinguismo in Galizia prima del 1985, un bilinguismo caratterizzato da una forte diglossia, in cui l’uso dello spagnolo o del galiziano era strettamente legato all’appartenenza ad una determinata classe socio-economica e all’interno del quale le rispettive funzioni erano delimitate dai diversi ruoli tradizionalmente attribuiti ad ogni strato della società.
Come sottolineavamo prima, la maggior parte dei dialoghi dei personaggi sono realizzati utilizzando lo spagnolo, ma non si tratta della lingua standard, bensì del cosiddetto spagnolo galiziano, cioè di una lingua che presenta una serie di caratteristiche fonetiche, grammaticali e lessicali che la differenziano dal resto delle varietà dello spagnolo peninsulare. E a questo punto ci sembra importante specificare che non ci riferiamo alle diverse interferenze che possono verificarsi tra due lingue in contatto, ma a una serie di fenomeni tipici di una lingua, in questo caso il galiziano, che sono stati gradualmente assunti dallo spagnolo locale e che nel tempo sono stati integrati nel sistema, trasmettendosi alle generazioni successive, che hanno imparato questa nuova varietà (Blas Arroyo, 1991: 271-273). In altre parole, quella che all’inizio era un’interferenza, diventa una caratteristica sostanziale della varietà linguistica che si ha come prima lingua.
Passando ora alla nostra analisi, la prima cosa che dobbiamo sottolineare è il tentativo di riprodurre l’intonazione dello spagnolo parlato in Galizia, sicuramente una delle caratteristiche più significative per i non galiziani. Infatti, come ha sottolineato García Moutón (1994: 49), “l’intonazione è la caratteristica più marcata di un galiziano che parla spagnolo […]. E produce una melodia inconfondibile alzando molto il tono all’inizio per poi lasciarlo cadere rapidamente alla fine della frase. Si dice che i galiziani cantano, e il loro modo di parlare spagnolo è considerato morbido”.

Inma CuestaNella serie, Carlos Montero è riuscito a riprodurre in gran parte questo accento (Vizoso, 2020), grazie, da un lato, alla scelta di un cast composto da attori cresciuti o formatisi in Galizia[2] e, dall’altro, grazie alla splendida recitazione dell’attrice Inma Cuesta, valenciana di origine, ma cresciuta in un villaggio della provincia di Jaén, Arquillos. E anche se per Carlos Montero l’intonazione non era certamente un aspetto determinante, come dimostra il fatto che uno dei personaggi principali, Viruca (Bárbara Lennie), nata e cresciuta a Novariz come ci viene detto nella serie, non ha la minima inflessione galiziana, la scelta del cast ci permette di apprezzare non solo l’intonazione, ma anche altri fenomeni fonetici come, ad esempio, l’integrazione di parte del sistema vocalico galiziano in quello dello spagnolo standard.
Infatti, in galiziano, l’opposizione tra e aperta /ԑ/ ed e chiusa /e/ e tra o aperta /ᴐ/ e o chiusa /o/ ha un valore distintivo. L’influenza di questa opposizione si ritrova nella serie con parole come café, luego o tienes, in cui la vocale tonica è molto più aperta di quanto non appaia, in generale, nella pronuncia degli spagnoli del resto della Penisola.
Per quanto riguarda le peculiarità grammaticali presenti nella serie, vale la pena ricordare l’uso esclusivo del diminutivo -iño, -iña, adattato dal galiziano –inho, –inha: “Eres más riquiña” (1, 07:20), “Un trociño de bica recién feita?” (1, 22:40), “Don Froilán, ¿podemos dar una voltiña a solas por la casa?” (2, 16:42), “Pensar que estuvo por aquí solo unos días antes de que… Pobriña!” (5, 37:13), “¿Cómo va a desconfiar de unos chavales tan riquiños?” (5, 42:12), “¿Un cafeliño con gotas?” (8, 16:01), “Tranquila, mi niña, tranquiliña” (8, 32:44).
Un altro elemento caratteristico è la totale assenza di forme verbali composte, a differenza di quanto accade nello spagnolo standard. In questo modo, l’opposizione tra passato prossimo (“he cantado”) e passato remoto (“canté”) scompare, e ci ritroviamo con espressioni come “¿Qué pasó? Pues que me dejé las fichas en Coruña” (1, 06:52), “¿No te contó nada? No somos novios” (1, 10:18), “¿Tú viste alguno mejor?” (1, 14:20), “Mauro, ven. Vinieron a por tí” (2, 07:03), “Pues tú no viste los pueblos en los que me toca dar clase” (3, 01:21), “Todo esto es culpa tuya, trajiste la desgracia a mi hijo” (7, 34:04), ecc. La sostituzione del passato prossimo con il passato remoto arriva al punto che è frequente trovare quest’ultima forma verbale con i dimostrativi e gli avverbi che normalmente accompagnano il passato prossimo, come accade nella domanda di Rachel: “¿Me vas a decir por qué me trajiste aquí?” (3, 17:31), invece dello standard “¿Me vas a decir por qué me has traído aquí?” o come vediamo in questo dialogo per la comparsa di un dimostrativo di primo grado accanto a quello indefinito:

— ¿Dejaste que condujera ella? ¡Menos mal que no está tu padre! A mí nunca me dejó que me sacara el carnet.
— Bueno, menos mal que las cosas cambiaron en estos últimos años. (1, 11:45)

Allo stesso modo, il passato remoto sostituisce il passato prossimo in tutte le appendici confermative, cioè in tutte le espressioni interrogative usate alla fine di una frase come rinforzo per sottolineare l’affermazione appena fatta: “Te van a devorar en dos asaltos, ¿oíste?, en dos” (1, 29:39), “Y tú le das clase a quien lo hizo, ¿oíste?” (2, 10:25).
La scomparsa dei tempi composti porta anche ad una serie di cambiamenti nella sintassi, ad esempio, nella costruzione del periodo ipotetico. Così, l’imperfetto congiuntivo “llamara” sostituisce il congiuntivo piuccheperfetto “hubiera/hubiese llamado”, al punto che si perde la differenza tra la proposizione condizionale subordinata irreale del presente “Si llamara, lo oirías” e la condizionale irreale del passato “Si hubiera llamado, lo habrías oído”. È quanto accade in una scena del capitolo ottavo, in cui i due colleghi, Raquel e Mauro, dopo aver trascorso una notte d’amore, discutono animatamente. Il motivo della lite è che Raquel crede di essere stata ingannata da lui e lo accusa di essere l’autore dell’omicidio di Viruca. La risposta di Mauro è la seguente:

—Pero, ¿para qué te iba a pedir yo que investigaras la muerte de mi mujer, si la matara yo?,

dove il congiuntivo imperfetto sostituisce il piuccheperfetto.
Tuttavia, l’imperfetto congiuntivo è sostituito dall’infinito nelle frasi desiderative introdotte da “ojalá”. In questo caso, si rileva una chiara trasposizione dell’infinito flesso galiziano, usato in questo idioma, tra l’altro, per evitare l’abuso del congiuntivo (Castro López, 2010: 160). È il caso della frase che troviamo in uno dei temi che Roi scrive a Viruca quando parla della miseria: “Ojalá escapar de ello, ¿no?” (2, 19:30), mentre questa interiezione in spagnolo standard non può mai essere accompagnata dall’infinito.
Sempre in ambito verbale, colpisce la presenza della perifrasi formata da ir a + infinito senza la preposizione: “Espero que no vengan escarallarnos la fiesta” (1, 36,34), “¿Y qué cara voy tener, hombre?” (8, 38:43). In questi casi, i sottotitoli della serie riproducono la forma corretta.
Le differenze tra galiziano e spagnolo in fatto di costruzione dei verbi pronominali si riflette anche nello spagnolo galiziano, il che ci permette di incontrare nei dialoghi della serie espressioni come “Cago en Dios” (1, 36:33) o “Marcha?” (4, 15:00).
Altre costruzioni sono relative a particolarità lessicali. È il caso dell’assenza dell’articolo determinativo accanto al sostantivo “cama”: “Está en cama, descojonado de risa” (2, 28:50), “¡Qué ganas de meterse en cama!”  (3, 23:01) o l’espressione ¿Y luego? (1, 14:20), una traduzione del galiziano e logo, che serve per chiedere alla persona che ci sta parlando maggiori dettagli su ciò che ha appena detto, o per rispondere a qualsiasi domanda ovvia che egli possa aver posto.
Per quanto riguarda più in dettaglio il lessico, troviamo due tipi di fenomeni interessanti. Da un lato, le parole che esistono in spagnolo standard ma che acquisiscono nuovi significati nella zona galiziana e, dall’altro, le parole galiziane che infiorano la conversazione senza che il locutore si renda conto del fatto che appartengono all’altra lingua. Nel primo gruppo troviamo, ad esempio, l’uso del verbo volver con il significato di ‘devolvere, restituire’: “¡Por fin nos volvieron el cadáver!” (2, 35:31); nel secondo, termini come escarallar o tolear, già menzionati.
Fin qui la nostra analisi. Abbiamo focalizzato la nostra attenzione sulla serie El desorden que dejas soprattutto perché rappresenta un tentativo evidente di superare il cosiddetto “spagnolo neutro”. È comprensibile peraltro che le scelte di Carlos Montero non abbiano ricevuto un’accoglienza unanime da parte del pubblico, e che molti madrelingua galiziani abbiano dimostrato un netto rifiuto del modo di parlare dei personaggi, condannando anche i continui cambiamenti di codice presenti nei dialoghi. Probabilmente, in molti abitanti della regione la serie avrà creato sentimenti un po’ contraddittori, ma resta indubbio il fatto che sia l’uso del galiziano che quello dello spagnolo parlato in Galizia hanno inteso contribuire, da un lato, ad aumentare la verosimiglianza della serie e, dall’altro, a superare i pregiudizi sulla pluralità linguistica ancora presenti nella società spagnola.

mgallen@uniss.it

 

Bibliografía

Blas Arroyo, José Luis, “Problemas teóricos en el estudio de la interferencia lingüística”, Revista Española de Lingüística, Año nº 21, fasc. 2, 1991, pp. 265-290.
Castro López, Mauricio et al, Manual galego de língua e estilo, Sevilla, Abrente Editora, A Esmorga Centro Social, A Fenda Editora […], 2010.
García Moutón, Pilar, Lenguas y dialectos de España, Madrid: ArcoLibros, 1994.
Real Academia Galega, Dicionario da Real Academia Galega, [en línea] https://academia.gal/dicionario .
Vizoso, Sonia, “El Consejo de Europa advierte del grave retroceso de la lengua gallega”, El País, 17 diciembre 2019, https://elpais.com/sociedad/2019/12/13/actualidad/1576259923_731353.html
Vizoso, Sonia, “Las series desafían el imperio del acento neutro”, El País, 21 diciembre 2020, https://elpais.com/television/2020-12-20/las-series-desafian-el-imperio-del-acento-neutro.html .
Xunta de Galicia, Digalego. Dicionario de Galego, [en línea] https://digalego.xunta.gal/es .

 

[1] D’ora in poi citeremo i diversi esempi in questo modo, cioè (capitolo n., minuti:secondi).

[2] È il caso di Tamar Novas (Germán), Roque Ruíz (Roi), Federico Pérez (Demetrio), Susana Dans (Marga), Isabel Garrido (Nerea), Alfonso Agra (Tomás), Ana Santos (Concha). A essi si associano attori come Roberto Enríquez (Mauro), leonese, y Aron Piper (Iago) che, nato a Berlino, è vissuto per anni sulla costa asturiana. Per preparare le proprie parti questi due attori hanno lavorato con consulenti linguistici.

L'autore

Marta Galiñanes
Marta Galiñanes è professore associato di Letteratura Spagnola presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche e Sociali dell'Università degli Studi di Sassari. Dottore di ricerca in Studi filologici presso l'Università di Castilla – La Mancha, si è occupata a più riprese di temi relativi al teatro spagnolo e alla sua ricezione europea e di narrativa spagnola contemporanea. La sua ricerca si concentra attualmente, in una prospettiva diacronica, sulla presenza della lingua e letteratura spagnola in Sardegna e in ambito più strettamente linguistico su aspetti e problemi della traduzione in e da lingue affini per tipologia e origine genetica. Ha pubblicato diversi articoli, traduzioni, monografie e studi, tra i quali spiccano le edizioni critiche de Los diez libros de Fortuna de Amor di Antonio Lofrasso (Aracne, Roma, 2014) e il Processo Original dela sagrada invención de los cuerpos de los ilustríssimos mártyres san Gavino Sabbelli, san Protho y san Januario, di Gavino Manca de Cedrelles (Academia del Hispanismo, Vigo, 2017).