In primo piano · L’Italiano fuori d’Italia

L’italiano in Germania con una prospettiva italiana: Anna Raimo intervista Tatiana Bisanti

Interview auf Deutsch

Tatiana Bisanti , laureata a Pisa, ha conseguito il dottorato di ricerca in letteratura italiana a Saarbrücken (Germania). Insegna letteratura e cultura italiana presso l’Università del Saarland e nelle sue pubblicazioni si occupa soprattutto di letteratura e di cinema italiano. Ha lavorato nel direttivo di varie associazioni di docenti di italiano organizzando convegni, attività formative ed eventi per l’insegnamento e la promozione della lingua italiana all’estero.

Innanzitutto, cara Professoressa Bisanti dell’Università di Saarbrücken, la ringrazio di aver accettato questa intervista per mostrarci la prospettiva di un’insegnante di lingua italiana in Germania. Nella mia recente conversazione con il Console Enrico De Agostini, abbiamo parlato dell’italiano, che fra le lingue straniere studiate in Germania è al sesto posto. Secondo lei perché?

Purtroppo è così. Nella classifica delle lingue più studiate a scuola, l’italiano, sia in Germania che in tutta Europa, occupa solo il sesto posto. In Germania l’italiano a scuola viene imparato nella maggior parte dei casi come terza lingua straniera: si tratta, per molti, di una materia facoltativa, e per giunta in concorrenza con altre lingue straniere, in primis lo spagnolo, considerato più utile perché più diffuso a livello internazionale. Sommando il numero totale degli studenti di italiano a scuola la nostra lingua è preceduta da inglese, francese, latino (considerato nelle scuole tedesche alla stregua delle altre lingue straniere), spagnolo e russo. Nelle Volkshochschulen, le cosiddette università popolari, la situazione va un po’ meglio: lì l’italiano è al quarto posto, il che è dovuto al fatto che il pubblico dei corsi serali apprende spesso una lingua straniera non tanto per utilizzarla in ambito professionale, quanto piuttosto per motivi personali, per ragioni turistiche o per interesse verso la cultura di un paese. Anche nelle Volkshochschulen, tuttavia, il calo degli studenti di italiano è un dato di fatto. La situazione delle università è ancora più drammatica: in questo caso il numero degli iscritti ai corsi di laurea d’italianistica negli ultimi venti anni è diminuito di un terzo. Ovviamente i motivi variano da contesto a contesto. In generale, però, si può dire che l’italiano ha perso terreno perché viene sempre di più considerato una lingua di nicchia. Chi studia italiano oggigiorno non lo fa perché pensa di poterlo utilizzare a scopi professionali, ma soprattutto perché ha radici familiari in Italia (e questo è uno dei motivi principali, se si considera che la comunità di origine italiana in Germania è fra le più numerose). L’interesse per l’Italia in quanto paese di cultura, che costituiva l’elemento trainante ancora qualche anno fa, oggi non sembra più avere un ruolo fondamentale: si preferiscono lingue più “sexy”, ovvero legate ad un’idea di divertimento e leggerezza. Se una volta l’italiano, più di altre lingue, aveva molto successo all’estero perché veniva associato alla gioia di vivere, a quella “dolce vita” di cui già parlava Fellini, un regista amatissimo in Germania, oggi sembra che lo spagnolo riesca molto meglio a trasmettere questa idea di spensieratezza e simpatia. È vero che le ragioni addotte da chi preferisce lo spagnolo all’italiano sono soprattutto di ordine professionale: la maggiore diffusione dello spagnolo, a detta di tanti, lo renderebbe più spendibile sul mercato del lavoro. Tuttavia resto dell’opinione che, al di là delle motivazioni razionali, ci sia anche una forte componente emotiva. Per dirla in modo un po’ provocatorio: se in Italia negli ultimi anni avessimo prodotto più canzoni come Despacito e meno politici considerati all’estero come imbroglioni, buffoni o cialtroni, probabilmente anche la lingua italiana verrebbe presa maggiormente sul serio o perlomeno avrebbe un maggior seguito.

Dal suo studio emerge che lo spagnolo è maggiormente studiato, ritiene quindi che l’italiano sia poco utile?

Quella dell’utilità è, come dicevo, la giustificazione che molti forniscono per spiegare la propria scelta in favore della lingua spagnola. Tale motivazione si rivela tuttavia basata su un pregiudizio che non rispecchia affatto la realtà. Se infatti andiamo a verificare il volume dei rapporti economici fra la Germania e il resto del mondo, si scopre che l’Italia è il sesto partner commerciale per la Germania a livello di esportazioni e importazioni. Molto più avanti della Spagna, che occupa invece il dodicesimo posto. Per non parlare del mondo ispanofono, che gioca un ruolo molto meno rilevante  (fonte Statisches Bundesmat). È evidente, quindi, che, dati alla mano, per chi lavora nell’economia la conoscenza dell’italiano non è per niente inutile, e comunque non più inutile dello spagnolo. La rete di rapporti commerciali che lega il nostro paese alla Germania è forte e consolidata, e a questo si aggiungono strette relazioni anche nel settore dei media e della cultura.

Al termine del suo articolo afferma che: “Puntare solo sui corsi di laurea tradizionali e sulla formazione di specialisti di linguistica e letteratura potrebbe rivelarsi una strategia perdente […]. Allargare il raggio d’azione ancorando lo studio della lingua a corsi di studio di taglio interdisciplinare si è rivelata in molti atenei una scelta oculata e lungimirante. Per porre un argine alla situazione paradossale per cui proprio in un mondo sempre più globale l’insegnamento delle lingue sta perdendo terreno, è fondamentale fare rete a livello di istituzioni, associazioni e gruppi di ogni genere, creando network di studenti, docenti e operatori del settore. Solo cercando di dare una risposta alle esigenze della nuova didattica (professionalizzazione, interdisciplinarità, internazionalizzazione) si andrà incontro ai nuovi bisogni e alle sfide del futuro”. Come si può cambiare ulteriormente questa situazione?

Io parlo ovviamente a partire dalla prospettiva tedesca. Per promuovere l’italiano in modo efficace bisognerebbe muoversi su più livelli. Per quanto riguarda gli studi universitari, sarebbe auspicabile una modernizzazione dei contenuti. Fermo restando che la formazione di specialisti di letteratura e linguistica italiana resta uno degli obiettivi di un percorso di studi universitari, non bisogna perdere di vista il fatto che la richiesta di formazione da parte degli studenti di oggi si rivolge anche verso indirizzi più innovativi, trasversali, professionalizzanti in un senso più ampio. Non tutti vogliono diventare ricercatori e professori universitari. Pochi potranno diventare insegnanti di scuola, perché le cattedre di italiano nella scuola tedesca purtroppo scarseggiano. Si potrebbe attirare un maggior numero di studenti se il percorso universitario fosse il trampolino di lancio verso una professione più dinamica: le conoscenze umanistiche, coniugate alle competenze interculturali e alle possibilità offerte dai nuovi media, si rivelerebbero non tanto un accessorio superfluo, decorativo ma sostanzialmente inutile, quanto piuttosto uno strumento valido per affrontare le sfide del nuovo millennio.
Per quanto riguarda il mondo della scuola, il discorso è molto complesso e il campo di azione per chi si trova all’esterno molto limitato. Lì pesano, purtroppo, sia le scelte dei singoli istituti che, a monte, le scelte ministeriali, le quali variano da Land a Land (il federalismo tedesco è decisivo nel settore dell’istruzione, che è di competenza delle singole regioni). Negli ultimi anni l’insegnamento dell’italiano è stato fortemente ridimensionato, e per riuscire ad avviare una controtendenza ci vorrebbero non solo scelte coraggiose, ma anche cambiamenti di rotta a livello di opinione pubblica. Si dovrebbe diffondere la convinzione che la conoscenza dell’italiano costituisce un valore aggiunto all’interno di una società che si definisce europea. È proprio per questo che nel mio articolo parlavo dell’esigenza di fare rete. Oggi più che mai, è solo attraverso il networking, a livello istituzionale, nelle associazioni, fra privati, che si può richiamare l’attenzione e rivendicare un ruolo di maggior rilievo.

Secondo lei altre collaborazioni accademiche e scolastiche, come quella fatta con l’ateneo di Salerno, potrebbero risollevare la situazione linguistica dell’italiano?

Il bilancio dell’esperienza del master binazionale in “Linguistica e didattica dell’italiano”, nato quattro anni fa da una cooperazione fra l’università di Salerno e quella di Saarbrücken, è, a mio avviso, decisamente positivo. Negli ultimi anni in Germania sono state siglate varie cooperazioni con atenei italiani e sono stati inaugurati diversi corsi di laurea binazionali, con più o meno successo. Un problema di fondo è, in alcuni casi, lo sbilanciamento nella provenienza degli iscritti. Se da un lato molti italiani sono interessati ad uno scambio con la Germania dal quale si aspettano un miglioramento delle loro prospettive lavorative, dall’altro è più difficile reclutare studenti tedeschi disposti a puntare tutto sulla carta dell’italiano, ritenuta, come dicevo prima, più incerta dal punto di vista professionale. Nonostante questo, l’esperienza di questi anni rafforza la mia convinzione che è solo a partire da questi scambi, e quindi intensificando i rapporti fra i due paesi, che possono scaturire nuove opportunità. È un cammino lungo e anche faticoso, ma sono convinta che ne valga la pena. In questo senso la creazione di nuove cooperazioni fra istituzioni tedesche e italiane, sia a livello scolastico che universitario, può rivelarsi estremamente proficua e va assolutamente incentivata. Lo studente del terzo millennio non deve essere più uno studente italiano, tedesco, francese, ecc., ma, prima di tutto, uno studente europeo. A tal proposito ritengo una perdita e un grandissimo errore l’uscita della Gran Bretagna dal Programma Erasmus+, un’uscita di cui saranno i britannici per primi a pagare le spese. Ma questa è un’altra storia.

Purtroppo la lingua è lo specchio della società, e l’Italia negli ultimi anni sta vivendo un periodo di crisi, politica e soprattutto economica. Crede che una nuova politica del governo italiano potrebbe migliorare la nostra situazione linguistica all’estero?

Penso di sì. Purtroppo noi, dall’estero, non possiamo influire molto, però alcuni risultati sono stati raggiunti. Una delle attività svolte dall’Associazione dei Docenti di Italiano in Germania, nel cui direttivo ho lavorato per anni e che ho anche avuto l’onore di presiedere, è proprio quella della collaborazione con le istituzioni italiane, sia con il Ministero degli Affari Esteri in Italia che con le rappresentanze estere in Germania. Gli ultimi governi italiani hanno mostrato una certa consapevolezza riguardo al valore della promozione linguistica, e hanno lanciato varie iniziative allo scopo di incentivare la lingua italiana a livello internazionale. Ricordo in proposito la prima edizione degli Stati Generali della Lingua Italiana a Firenze nel 2014 e le edizioni successive riproposte a scadenza biennale. In queste occasioni è stata ribadita la necessità di una raccolta dati affidabile, al fine di monitorare costantemente lo stato di salute dell’italiano nel mondo. Sui problemi legati al rilevamento di questi dati mi sono soffermata nell’articolo che Lei citava prima. Sebbene alcuni dati vadano rivisti, l’intento è comunque sicuramente lodevole.
Il problema dei dati è uno dei punti più spinosi. Come Associazione dei Docenti di Italiano in Germania ci siamo impegnati per promuovere statistiche più affidabili e abbiamo anche avviato un censimento dell’insegnamento dell’italiano nelle università. L’obiettivo centrale resta in ogni caso quello di creare una rete fra le diverse realtà dell’italiano in Germania, e quindi collegare il mondo dell’università a quello della scuola, delle Volkshochschulen, dei corsi finanziati dal MAECI, degli Istituti di Cultura Italiana, ecc. Un importante risultato è stata la prima edizione degli Stati Generali della Lingua Italiana in Germania, promossi e organizzati dall’ADI a Monaco nel 2016, a cui è seguito, in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura e l’Ambasciata d’Italia, il convegno di Berlino del 2018 dal titolo “L’italiano, una lingua per l’Europa”.
Non bisogna dimenticare che lo Stato italiano continua a stanziare fondi per l’insegnamento dell’italiano all’estero, la promozione della cultura, la formazione degli insegnanti fuori d’Italia. Non tutti i soldi vengono spesi in modo ottimale, ma qui è fondamentale anche il contatto con le istituzioni locali. Laddove il governo ha saputo trovare interlocutori validi e ben radicati nella realtà locale, i soldi sono stati investiti in progetti utili. Purtroppo non è sempre così. Bisognerà vedere come continuerà la situazione nei prossimi anni. Non escludo che i debiti di cui lo Stato italiano si sta facendo carico per superare la difficilissima situazione della pandemia provocheranno una serie di tagli negli investimenti in questo settore. Spero che non sia così, perché non sarebbe una politica lungimirante. Quanto sia importante investire nella promozione del Paese all’estero lo stiamo vedendo proprio in questo momento, in cui la collaborazione all’interno dell’Europa si sta rivelando fondamentale per riuscire a far fronte ad una situazione di emergenza mai vista prima. Staremo a vedere.

Ricordando l’articolo che nel 2014 uscì su IlMitte, seguito dall’appello dell’Accademia della Crusca, il Saarland rischiava di perdere i corsi di laurea in Italianistica. Oggi grazie alla LiDIt (“Linguistica e Didattica dell’italiano a livello internazionale”), la situazione è un po’ migliorata?

Ne siamo venuti fuori con un occhio nero, ma siamo riusciti a salvare moltissimo, e a creare da un momento di grave crisi l’occasione per sviluppare nuove opportunità. Abbiamo dovuto rinunciare alla cattedra di letteratura italiana, perdita dolorosissima per un istituto che lavorava già con un organico molto limitato. Abbiamo però difeso a denti stretti, e con successo – grazie anche all’intervento tempestivo dell’allora Ambasciatore d’Italia Pietro Benassi – la prestigiosa cattedra di linguistica italiana, motivo di vanto internazionale, perché è intorno ad essa che da più di 40 anni ruota l’immenso lavoro che ha portato alla nascita del Lessico Etimologico Italiano, un’opera monumentale unica nel suo genere, il più grande dizionario etimologico dell’italiano esistente in tutto il mondo. Sfruttando il potenziale di questo laboratorio linguistico di enorme prestigio internazionale, abbiamo rafforzato la cooperazione con le università italiane, e in particolare con quella di Salerno, con la quale abbiamo inaugurato il corso di laurea magistrale binazionale in “Linguistica e Didattica dell’italiano a livello internazionale” (LIDIT). Gli studenti della magistrale hanno così la possibilità di farsi solide basi in linguistica e didattica durante il primo anno di studi a Salerno, e di applicare le conoscenze acquisite a Saarbrücken nell’ambito di uno stage lessicografico nell’officina del LEI e uno stage di didattica dell’italiano presso il centro linguistico d’ateneo. Un’occasione unica, a mio avviso una combinazione vincente fra una solida preparazione scientifica e la conseguente applicazione in ambito professionale.
Abbiamo poi rafforzato la presenza dell’italiano in corsi di laurea interdisciplinari, ad esempio ancorando l’insegnamento della lingua e della cultura italiana a studi di carattere comparatistico o ad indirizzo europeo. Il Ministero del Land ha invece deciso di chiudere il Lehramt, ovvero il corso di laurea per formare insegnanti di italiano per le scuole tedesche, e su queste decisioni gli atenei purtroppo non hanno alcuna voce in capitolo. Questo fa parte di un’infelice politica di riduzione dello studio delle lingue a scuola che purtroppo interessa tutta la Germania, e di cui l’italiano sta facendo le spese in modo massiccio.

Vista la particolare situazione amministrativa dei Länder, che come ben noto godono di ampia autonomia interna, ritiene che vi siano state regioni nelle quali l’insegnamento della lingua italiana abbia subito un potenziamento negli ultimi anni?

Negli ultimi anni l’italiano purtroppo non è stato potenziato in nessuno dei Länder tedeschi. Al contrario, si registra una tendenza generale ad un ridimensionamento, sia nel settore scolastico, che cade sotto la diretta competenza dei Länder, sia in quello universitario. La chiusura dei corsi di italiano nelle scuole è all’ordine del giorno un po’ ovunque, e le notizie provenienti dai vari atenei tedeschi non sono certo più confortanti. Anche in Baviera, uno dei Länder che per tradizione e vicinanza geografica può essere considerato una roccaforte dell’italiano in Germania, la situazione dell’italiano non è rosea. Lì ad esempio si può insegnare italiano a scuola solo in combinazione con l’inglese. Questo fa sì che molti futuri insegnanti optino per lo studio di altre materie e che quindi il numero degli studenti di Lehramt, ovvero gli aspiranti insegnanti di italiano, sia in costante calo.

Qual è la “salute” della lingua italiana a Saarbrücken?

Per fare fronte alla situazione di emergenza, come si diceva prima, il nostro ateneo ha operato scelte mirate che hanno portato nel corso degli ultimi anni ad una sostanziale tenuta per quanto riguarda il numero degli iscritti ai corsi di laurea con indirizzo italianistico. Per quanto riguarda lo Sprachenzentrum, il centro linguistico interateneo la cui sezione di italiano è coordinata dalla mia collega Paola Netti, si registrano numeri decisamente confortanti, anche in questi tempi durissimi di pandemia in cui gli studenti sono costretti a studiare da casa, una condizione che soprattutto per un corso di lingua non si può certo definire ottimale. Nonostante ciò, l’italiano ha addirittura superato il francese per numero di iscritti. Questo è un dato sensazionale, se si considera che il francese in questa zona è lingua di frontiera e quindi ha uno status e una rilevanza fondamentale per tutta la regione della Saar. Il bilancio per quanto riguarda l’italiano è quindi sostanzialmente positivo, e, sia detto per inciso, non so se si possa dire lo stesso delle altre università tedesche. In ambito scolastico, invece, la tendenza purtroppo è negativa, e quello è un settore fondamentale in cui sarà necessario intervenire se si vorrà promuovere l’italiano in modo efficace e a lungo termine.

Gli organismi comunitari europei potrebbero creare, a suo parere, qualche progetto per tutelare e diffondere la lingua italiana in Europa?

La tutela e la diffusione della lingua italiana in particolare è innanzitutto compito dello Stato italiano. Le istituzioni europee, più che promuovere le singole lingue, promuovono politiche a sostegno del plurilinguismo e quindi della varietà linguistica all’interno del nostro continente. Una delle attività è ad esempio il costante monitoraggio della situazione delle lingue in ambito scolastico, e questo è un indice fondamentale di cui qualsiasi paese al suo interno dovrebbe poi tenere conto. Le tendenze infatti possono essere interpretate correttamente solo se studiate nel loro contesto. Non ha senso dire che l’italiano è in calo se non si analizza parallelamente la situazione delle altre lingue. A livello europeo c’è consapevolezza dell’importanza della promozione linguistica e sono già state avviate iniziative importantissime. Ovviamente il primo progetto che viene in mente è il Programma Erasmus+, che ha segnato una tappa fondamentale nella promozione della diversità linguistica e da ormai trent’anni porta i giovani di tutta Europa a uscire dai propri confini e a mettersi in gioco confrontandosi con altri paesi, lingue, culture, sistemi universitari e ambiti professionali. Ma non è l’unico. La promozione linguistica è uno degli obiettivi dichiarati della Commissione, che ovviamente non può perseguire l’obiettivo specifico di diffondere la lingua italiana, quanto piuttosto quello di promuovere in generale il multilinguismo e la diversità linguistica.

Il plurilinguismo (Mehrsprachigkeitsdidaktik, Reimann 2018), tanto apprezzato e visto come un vantaggio, spesso fa si che l’italiano venga studiato dopo la lingua d’origine, l’inglese, il latino e il francese. Ritiene che questa situazione sia in parte dovuta a ragioni utilitaristiche piuttosto che culturali?

Le ragioni per cui uno sceglie di studiare una lingua sono difficili da individuare e circoscrivere in modo netto. Spesso convivono motivazioni diverse, che portano a propendere per l’una o l’altra lingua. Lei cita ad esempio il latino, il cui insegnamento nelle scuole tedesche interessa un pubblico più ampio rispetto a quello dell’italiano. In questo caso non sarà il prevalere di ragioni utilitaristiche a motivare la scelta. E, d’altra parte, il discorso della lingua d’origine non può essere interpretato come fattore a sfavore dell’italiano, visto che per un grandissimo numero di alunni è proprio l’italiano a costituire la lingua d’origine. Quello della comunità italiana all’estero è uno dei serbatoi fondamentali da non perdere assolutamente di vista se vogliamo promuovere la nostra lingua. Le operazioni più lungimiranti sono a mio avviso quelle che portano ad un’integrazione dell’insegnamento della lingua d’origine nel contesto scolastico, e quindi all’apertura di questi corsi anche ad un pubblico proveniente da un altro retroterra linguistico. L’insegnamento dell’italiano lingua d’origine è stato promosso e finanziato con fondi italiani da tantissimi anni: una tappa fondamentale è stata la legge n. 153 del 3 marzo 1971, che ha istituito i “corsi di lingua e cultura italiana” con l’obiettivo di promuovere da un lato l’insegnamento dell’italiano per le famiglie emigrate all’estero, dall’altro l’assistenza scolastica per favorire l’integrazione degli alunni di origine italiana nel contesto migratorio. Questo contributo, che ha avuto un ruolo fondamentale nella promozione della lingua fra gli emigrati all’estero, è stato fortemente ridimensionato nel corso degli anni. Esso ha un senso, oggi, soprattutto se riuscirà, e in molti casi questo processo è già stato avviato con successo, ad aprirsi ad un pubblico misto indipendentemente dall’origine degli alunni e svolgendo quindi quell’attività di promozione che sarà tanto più efficace quando meno resterà chiusa nell’ambito angusto di una singola comunità linguistica.

Ha dei consigli utili per invogliare i giovani a scegliere l’italiano?

Mi sentirei soprattutto di dire che oggi il curriculum di chiunque si affacci al mondo del lavoro non può prescindere da una formazione ampia e diversificata e dovrebbe avere un taglio decisamente europeo. Studiare le lingue europee, e non solo quelle considerate principali, è fondamentale per chi voglia muoversi con disinvoltura nel mondo professionale del nuovo millennio. E questo vale per tutti i settori, che non possono più essere considerati su scala prettamente nazionale, ma si trovano oggi a vivere ed operare in un contesto ben più ampio. Questo è evidente più che mai nella situazione attuale, che ha dimostrato quanto sia infruttuoso e controproducente agire solo a livello dei singoli paesi e quanto più utile ed efficace sia invece pensare, pianificare ed agire a livello europeo. Sapersi muovere nella cultura e nella lingua di più paesi aiuta a sviluppare e intensificare questa rete di rapporti.

anna.raimo@live.it

L'autore

Anna Raimo
Anna Raimo è nata a Pisa il 25 dicembre 1995. Laureata magistrale con il massimo dei voti in Linguistica e didattica dell’italiano nel contesto internazionale presso l’Università degli Studi di Salerno e l’Universität des Saarlandes di Saarbrücken, ha in seguito conseguito un Master di II Livello in Didattica dell’Italiano L2 presso l’Università degli Studi di Napoli L’Orientale. I suoi interessi di ricerca spaziano dalla linguistica e didattica della lingua italiana alla storia, letteratura e poesia contemporanea. Si è infatti occupata dell’italiano dei semicolti nella sua tesi di Laurea Magistrale e ha recentemente pubblicato un articolo su una particolare varietà della lingua italiana: "L’e-taliano: uno scritto digitato semifuturista?", in (a cura di S. Lubello), Homo scribens 2.0: scritture ibride della modernità, Franco Cesati Editore, Firenze 2019, pp. 159-164. Tra i suoi autori preferiti vi sono Mario Vargas Llosa, Jung Chang, Philip Roth, Azar Nafisi, Orhan Pamuk, Anna Achmatova, Rainer Maria Rilke, Federico García Lorca, Alda Merini, Bertolt Brecht e Wisława Szymborska. Le sue passioni sono la lettura, la scrittura di poesie e i viaggi, soprattutto in Germania, paese di cui adora la storia, la cultura, l’arte e i magnifici castelli.

One thought on “L’italiano in Germania con una prospettiva italiana: Anna Raimo intervista Tatiana Bisanti

Comments are closed.