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Il Decameron tra racconto e musica. Silvia Argurio intervista Maurizio Fiorilla

 

Maurizio Fiorilla (Roma, 1972) è professore di Filologia della Letteratura Italiana presso l’Università di Roma Tre. Ha dedicato diversi studi alle fonti delle opere di Petrarca e Boccaccio, a partire dalle note di lettura lasciate dai due scrittori in margine ai testi classici e medievali. Ha studiato la tradizione del Decameron, di cui ha curato due diverse edizioni. È uno dei curatori dei volumi della Serie Le Origini e il Trecento all’interno degli Autografi dei letterati italiani, progetto di cui segue anche lo sviluppo digitale. Si è occupato di Dante, con interventi sulle sue antiche biografie (di cui sta curando una nuova edizione commentata), sul Convivio, su fonti ed esegesi antica della Commedia. Ha lavorato inoltre sulle carte autografe di Elsa Morante. Fa parte del Comitato Scientifico dell’Ente Nazionale Giovanni Boccaccio. È uno dei direttori della rivista «L’Ellisse».

Nel 2013 ha scritto e condotto Umana cosa, programma in 16 puntate sul Decameron andato in onda su Radio3. Nel 2015 e nel 2016 ha introdotto le letture del Decameron di Tullio Solenghi al teatro Politeama di Genova, all’interno del progetto di Sergio Maifredi Decameron. Un racconto italiano in tempo di peste. Insieme a David Riondino ed un gruppo di musicisti sta portando in Università e teatri lo spettacolo Decameron: canzoni e storie.

Quando vi siete conosciuti e in che occasione è iniziata la collaborazione con il cantautore David Riondino?

La collaborazione con David Riondino è nata a Radio3 all’interno della trasmissione Umana cosa, che ho scritto e condotto su richiesta di Monica d’Onofrio e Monica Nonno, le due registe del programma. La narrazione seguiva progressivamente la struttura del libro con un format che prevedeva diversi momenti. Ogni puntata iniziava con un’introduzione alla singola giornata, per poi proseguire con la lettura e il commento di una scelta di novelle insieme a esperti di Boccaccio. Sono venuti in trasmissione storici della letteratura (come Alberto Asor Rosa, Renzo Bragantini, Giancarlo Alfano, Corrado Bologna, Carlo Ossola, Amedeo Quondam, Lucia Battaglia Ricci, Elisabetta Menetti), storici della lingua (come Roberta Cella, Giovanna Frosini, Matteo Motolese, Luca Serianni), filologi italiani e romanzi (come Monica Berté, Andrea Mazzucchi, Mira Mocan) e paleografi (come Marco Cursi). Uno spazio particolare era dedicato agli scrittori contemporanei, da Dario Fo a Marco Lodoli, Francesco Piccolo, Maurizio di Giovanni, Bianca Pitzorno, Giorgio Vasta, Marco Malvaldi, Michele Mari e Emanuele Trevi (per ricordarne alcuni): in un’intervista di cinque minuti raccontavano al pubblico della radio il “loro” Decameron. In mezzo una o due canzoni di Riondino, della durata di quattro o cinque minuti, sulle novelle di ogni giornata ma anche su temi e argomenti collaterali al libro, come il manoscritto autografo del Decameron, cui abbiamo dedicato un’intera puntata. I podcast del programma, che contengono ballate di Riondino in una prima versione con arrangiamenti a volte minimali (chitarra e voce), si possono oggi riascoltare collegandosi alla pagina di Umana cosa sul sito di Radio3.

Per circa quattro mesi durante la realizzazione del programma radiofonico (tra il 2013 e l’inizio 2014, in corrispondenza con l’anniversario della nascita di Boccaccio) io e David abbiamo lavorato a stretto contatto; da lì sono nate la nostra amicizia e la nostra collaborazione che è poi proseguita dando alla luce gli spettacoli sul libro di Boccaccio tra cui l’ultimo, intitolato Decameron: canzoni e storie, che andrà in scena il prossimo 2 dicembre all’Auditorium Parco della Musica di Roma. Le ballate di Riondino sul Decameron sono state ora raccolte in un suo disco, dal titolo Bocca baciata non perde ventura (anzi rinnova come fa la luna), pubblicato da Materiali sonori, che dovrebbe uscire proprio il giorno dello spettacolo con una mia introduzione. Sono i brani della radio riproposti in nuovi arrangiamenti, che si devono a Mirio Cosottini ma a cui hanno collaborato diversi altri straordinari musicisti.

Prima di approdare alla versione attuale ci sono state tappe intermedie, spettacoli precedenti. Come si è evoluto il progetto nel tempo?

Decameron: canzoni e storie nasce all’interno dell’Università di Roma Tre in un evento organizzato dal gruppo HumUS (Humanitas Universitas Societas / Humanities from University to Society), un progetto di lavoro in cui collaborano docenti, dottorandi, studenti e personale TAB, che mira a collegare in modo più stretto Università e Società civile. Insieme, in un clima molto vivace e appassionato, cerchiamo di portare l’università fuori dall’università. A marzo del 2015 decidemmo di concludere i lavori della giornata Saperi umanistici tra utilità e vocazione mettendo in scena uno spettacolo sul Decameron nell’Aula Magna del nostro ateneo. Siamo partiti dalle ballate che erano state scritte per il programma radiofonico, le abbiamo risuonate dal vivo con una piccola orchestra di musicisti (piano, basso elettrico, chitarra, clarinetto e un’altra voce che affiancava quella di Riondino). La vera forza dello spettacolo sono stati però i dottorandi e gli studenti del nostro ateneo (Giandomenico Ferrazza, Carlotta Mazzoncini, Paolo Rigo, Dario Pisano, Teresa Vanalesti), che hanno introdotto e ragionato sul testo di Boccaccio con noi, proponendo chiavi di lettura originali e modernissime per alcune novelle, di cui hanno anche letto e reinterpretato i dialoghi più famosi: un gioco tra narrazione e riflessione sul narrato che caratterizza anche le cento storie del libro, introdotte sempre da una premessa argomentante dei dieci giovani novellatori. Visto il successo dell’iniziativa la seconda tappa è stata il teatro Palladium di Roma, e adesso approderemo all’Auditorium.

Ci può raccontare come si snoda il percorso dello spettacolo Decameron canzoni e storie?

In questa versione rinnovata la parte musicale sarà prevalente rispetto a quella narrativa; ma le canzoni saranno sempre introdotte da brevi ragionamenti e letture dal Decameron, anche per aiutare il pubblico ad entrare nel tessuto narrativo delle storie di Boccaccio, per poi godere a pieno delle riletture musicali riondinesche! Le ballate ripercorrono intere novelle e pagine della cornice del libro con molte parole riprese dal testo dell’opera, ma con tutti gli scarti e la vivacità che Riondino riesce a dare. Nello spettacolo la musica si proietta sul testo rendendo ancora più intenso, commuovente o provocatorio (secondo il tema) l’effetto di certi momenti del capolavoro boccacciano. Si inizia – seguendo il libro – dalle canzoni sul proemio, sulla peste e sull’allontanamento dei dieci giovani da Firenze per fuggire la morte; poi partono le ballate sulle novelle (il monaco della Lunigiana, Madonna Filippa, Tancredi e Ghismonda, Federigo degli Alberighi, Alatiel e molte altre). I brani con una costruzione musicale più intensa e drammatica sono alternati ad altre più leggeri. L’importante – come ci insegna lo stesso Boccaccio nella novella madonna Oretta – è trovare il giusto ritmo narrativo.

Per musicare il testo letterario è stato seguito un modello in particolare, Riondino si è ispirato a degli antecedenti illustri?

Il tessuto musicale è vario. La ballata sulla novella tragica e feudale di Tancredi e Ghismonda può ad esempio essere accostata ad alcune canzoni di De André. In altri brani Riondino sembra aver lavorato anche in chiave ironica con una antitesi tra l’interpretazione musicale e il contenuto del racconto: vale per esempio per la seconda novella della nona giornata, quella della badessa con le brache del prete sulla testa, in cui la cui musica sembra evocare le atmosfere di certe canzoni filosofiche di Battiato (di cui Riondino in passato ha fatto una parodia molto divertente). Insomma la musica non è un vestito da mettere sulle parole e basta, aggiunge un sovrasenso, dà un’interpretazione. Nonostante per noi sia una tradizione rara (l’ha fatto De André con il Medioevo, con i Vangeli apocrifi, con Spoon River) in altri paesi hanno più familiarità con l’esperienza di musicare romanzi e varia altra letteratura: basti pensare a Brassens o a Léo Ferré. Da noi non è una strada troppo praticata, ma per alcuni libri funziona come tramite, laddove naturalmente sia un’operazione che ha dietro una comprensione del testo adeguata e che non scada in una riscrittura banale o troppo lontana dal mondo e dallo spirito dell’originale. Per chi volesse saperne di più dallo stesso cantautore, rimando all’undicesima puntata di Umana cosa, dedicata interamente alla lingua del Decameron: in un’intervista finale infatti Riondino ha spiegato bene la tecnica di composizione delle sue ballate e come ha lavorato sulla lingua di Boccaccio.

Come si comporta David Riondino nei confronti del testo? Mantiene un certo rigore filologico oppure ha introdotto cambiamenti linguistici e contenutistici?

Riondino disfa e ricompone il filo delle storie del Decameron prelevando dal libro di Boccaccio descrizioni, ragionamenti, dialoghi, battute, parole chiave o clausole ritmiche, ma con l’introduzione di nuovi inserti, rime, cambi del punto di vista, provocazioni, guizzi e capriole verbali. I ribaltamenti, chiaramente voluti e provocatori, servono a rilanciare i personaggi del Decameron verso la modernità, ma non c’è mai un momento in cui il testo non sia stato compreso a fondo, né viene mai tradito nel suo spirito originario. Un geniale rovesciamento del punto di vista del narratore si incontra ad esempio nella ballata dedicata alla novella di Federigo degli Alberighi, dove invece di raccontare la storia dalla prospettiva dei protagonisti “umani”, Riondino sceglie quella del povero falcone. Nella prima parte (Il falcone in terra) il volatile, ancora ignaro del suo destino, racconta in prima persona tutto ciò che vede fino a quando non viene ucciso da Federigo per essere servito a pranzo sul piatto dell’amata monna Giovanna. La seconda parte della ballata (Il falcone in cielo) il falcone parlando da morto si sbizzarrisce in una tirata animalista a favore di tutti gli animali sacrificati in letteratura, e conclude mandando al diavolo lo stesso Boccaccio per averlo immolato per le sue esigenze narrative.

Bellissima anche la canzone dedicata all’autografo del Decameron, conservato alla Staatsbibliothek di Berlino con la segnatura Hamilton 90 (manoscritto che sembra aver ripreso dal libro che trasmette una certa inclinazione alla peripezia…). La Ballata del professore riesce a far interagire lo studio filologico e la grande Storia mondiale. Il brano è dedicato a Vittore Branca e in particolare ai mesi dall’ottobre del 1973 al febbraio 1974, in cui lo studioso ebbe a completa disposizione l’Hamilton 90, dopo averlo portato via da Berlino, in modo un po’ rocambolesco con il consenso del direttore e dei conservatori della biblioteca ma senza autorizzazione governativa. Un’epoca difficile in cui l’Unione Europea era tutta da costruire e le due Germanie erano divise; per ragioni diplomatiche legate al possesso del manoscritto (passato dalla Germania Est alla Germania Ovest dopo la seconda guerra mondiale), il codice non poteva essere inviato in prestito per vie ufficiali in Italia. Questa avventurosa e avvincente storia fu raccontata dallo stesso Branca molti anni dopo nell’articolo Così rubai il Decamerone (uscito nell’inserto domenicale del Sole 24 ore). Riondino immagina Vittore Branca chiuso nel suo studio con il manoscritto copiato e illustrato dal suo amatissimo Giovanni, completamente immerso nel testo e nei disegni autografi (doveva del resto chiudere la sua Edizione critica secondo l’autografo Hamiltoniano che sarebbe uscita nel 1976 per l’Accademia della Crusca). Ma fuori accadeva di tutto tra l’ottobre del ’73 e il febbraio del ’74: veniva assassinato Carrero Blanco, scoppiava la guerra dello Yom Kippur, il colpo di stato in Cile, moriva Pablo Neruda, al cinema uscivano film memorabili come Amarcord e Papillon. La ballata passa continuamente dallo scrittoio di Branca agli eventi che accadevano fuori dallo studio del professore.

Rendere contemporaneo un classico è sempre un’operazione ambiziosa, a maggior ragione lo si può dire per un’opera amata e celebre come il Decameron. Qual è la chiave giusta per affrontare un simile lavoro?

Per prima cosa è bene ricordare che noi italiani abbiamo un grande privilegio. A differenza di quanto accade in altre grandi letterature europee, la distanza tra la nostra lingua letteraria dei primi secoli e quella contemporanea non è tale da impedire a un pubblico di non addetti ai lavori un accesso diretto ai testi originali. La sintassi del Decameron è complicata, ma le cose cambiano se lo si ascolta letto, a voce alta, da un bravo attore, in grado di dare espressività al racconto, sciogliendo con le giuste pause, il “gomitolo” delle subordinate. Lo scorso anno ho avuto la fortuna di lavorare a un progetto intitolato Decameron, un racconto italiano in tempo di peste (ideato dal regista Sergio Maifredi e Gianluca Favetto). Attori come Tullio Solenghi, Giuseppe Cederna, Lucia Poli, Roberto Alinghieri, Amanda Sandrelli hanno letto con incredibile successo le novelle del Decameron in vari teatri liguri. In particolare io introducevo le letture di Tullio Solenghi al teatro Politeama di Genova, serate con mille spettatori letteralmente inchiodati all’ascolto delle novelle. Eppure Solenghi non faceva altro che dare voce al testo di Boccaccio e ai suoi grandi personaggi, senza cambiare una riga, ma con una vivacità incredibile, con cui io non avevo mai sentito leggere Boccaccio, veramente fenomenale (invito tutti ad andare a rivedere le registrazioni degli spettacoli disponibili sul sito del teatro). Ricordo che Solenghi mi disse una sera, prima di entrare in scena, che per lui ogni novella del Decameron è già una trama teatrale perfetta dalla regia strepitosa; basta studiarla e comprenderla a fondo, prima di prestargli la voce. Insomma i classici sono grandi libri perché hanno dietro una grande costruzione, oltre ad essere sempre attualissimi. Basta lavorarci in profondità e con passione.

Ricordo un’altra serata riuscitissima al teatro civico di La Spezia in cui ho introdotto la novella di Griselda, letta integralmente da Roberto Alinghieri con l’inserimento di un solo elemento esterno, in grado di alleggerire e di dare un ritmo più moderno al racconto: come un refrain, la lettura della lunghissima storia, veniva scandita da un brano di Louis Armstrong, Magica Bula (diventata colonna sonora di Cenerentola e anche per questo particolarmente evocativa per il contesto della novella). Quella sera, con il teatro pieno (più di 500 persone), abbiamo anche avuto modo di parlare, prima della lettura, delle componenti culturali più profonde della Griselda di Boccaccio: dall’Etica Nicomachea di Aristotele alla matta bestialitate chiamata in causa da Dante nell’XI canto dell’Inferno, non senza riferimenti alla tradizione biblica. Abbiamo anche proiettato su un grande schermo i manoscritti di Dante copiati da Boccaccio, insieme all’esemplare dell’Etica aristotelica appartenuto alla sua biblioteca, nei cui margini peraltro Giovanni trascrisse di sua mano il commento di S. Tommaso (decisivo per capire la premessa del racconto di Dioneo).

Dunque si può fare filologia a teatro?

Sì, è quello che ho provato a fare anche negli spettacoli con Tullio Soleghi. Su uno schermo enorme facevo proiettare non solo l’Hamilton 90 (cercando di spiegare perché fosse impaginato come un libro scientifico-universitario), ma facevo vedere le postille più “sapide” e anche i disegni lasciati da Boccaccio a margine degli autori (classici e medievali) che avevano influenzato la scrittura delle novelle lette da Solenghi quella sera: praticamente un percorso sulle fonti a partire dai manoscritti. Ricordo gli occhi degli spettatori meravigliati, perché molti di loro vedevano per la prima volta un manoscritto medievale e la scrittura di Boccaccio. Si creava molta curiosità e questo mi aiutava a tenere alta l’attenzione. Torniamo al discorso di prima, la materia di partenza, in questo caso gli autografi di Boccaccio, sono talmente belli e vivaci, che è tutto più facile di quanto possa sembrare. L’importante è non utilizzare un lessico troppo tecnico. Non bisogna analizzare quello che accade sulla pergamena ma raccontarlo.

Torniamo allo spettacolo dell’Auditorium del 2 dicembre. Cosa ci può dire sugli arrangiamenti musicali e sui musicisti che suoneranno?

All’epoca del programma alla radio tutto si faceva con mezzi di fortuna. Riondino scriveva la ballata di settimana in settimana, la registrava dove poteva (a volte a casa o in studi diversi) e poi ci inviava il file. Nel disco invece, come dicevo all’inizio, gli arrangiamenti dei brani (molto belli, curati e sofisticati) sono di Mirio Cosottini. Nell’album è finita però anche una ballata suonata live (Tancredi e Ghismonda) tratta dallo spettacolo del Palladium. Dal vivo gli arrangiamenti sono più semplici e frontali e i brani diventano un po’ più pop! Per quanto mi riguarda ho sempre suonato il basso elettrico e collaboro con degli amici musicisti con cui ogni tanto facciamo delle serate. Quando ho deciso di coinvolgerli nel progetto si sono prestati volentieri. Il gruppo che ne è venuto fuori è stato ribattezzato da Riondino “I Professors”. Vorrei almeno ricordare chi sono, perché si tratta persone di grande umanità e cultura, con una straordinaria sensibilità musicale: il chitarrista Fabio Marchei, il clarinettista Raffaele Magrone, il pianista Paolo Saolini e la cantante e cantautrice Eleonora Cardellini (in arte Leonora).

Ci sono in cantiere altri progetti di intersezione fra letteratura e musica? Che strade prenderà Decameron canzoni e storie? 

Sì vorremmo mettere in musica anche altri classici. Nell’introduzione del disco Riondino ad un certo punto scrive «ci auguriamo ogni volta che ci incontriamo di musicare quasi tutta la letteratura pubblicata e inedita, e faremo cose formidabili».

Lo spettacolo Decameron canzoni e storie andrà in scena all’Auditorium Parco della Musica di Roma il 2 dicembre 2016 (ore 21 sala Petrassi):

http://www.auditorium.com/eventi/ricerca?input=riondino

https://youtu.be/qs-YC6szihQ

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L'autore

Silvia Argurio
Silvia Argurio
Silvia Argurio si è laureata in Filologia Moderna presso l’Università di Roma La Sapienza, dove si è perfezionata anche in Storia delle Religioni. Ha conseguito il dottorato presso RomaTre con un progetto sulla retorica dell’impossibilità nella lirica medievale italiana ed europea. Attualmente è assegnista di ricerca presso l’università Sorbonne Nouvelle Paris3 dove collabora con il progetto DHAF (Dante d’hier à aujourd’hui en France) sulla diffusione e l’influenza dell’opera dantesca in Francia. Ha da poco pubblicato il primo commento integrale alla silloge Scintille poetiche di Giacomo Lubrano.