conversando con...

Gabriele de Veris intervista Antonella Agnoli

Antonella Agnoli fa parte del CdA dell’Istituzione biblioteche di Bologna, ha diretto la biblioteca di Spinea (Venezia) e concepito la biblioteca San Giovanni di Pesaro, di cui è stata direttore scientifico fino al 2008. Lavora con architetti ed enti locali per la progettazione di spazi e servizi e per la formazione del personale. Numerose le sue pubblicazioni in volumi e riviste scientifiche, tra le quali ricordiamo Biblioteca per ragazzi (Roma 1999), Le piazze del sapere. Biblioteche e libertà (Bari 2009) e Caro sindaco, parliamo di biblioteche (Milano 2011).

Negli ultimi anni in Italia sono state inaugurate o ristrutturate molte biblioteche, che però negli ultimi tempi per carenza di personale e di finanziamenti sono costrette a ridurre gli acquisti, i servizi e gli orari di apertura. Questo, proprio nel momento in cui avevano iniziato ad attrarre i non lettori. Superficialità o errori di progettazione? Cosa faranno i molti bravi giovani che molto difficilmente potranno trovare lavoro nelle biblioteche? 

Queste biblioteche – non solo in Italia – sono state pensate in tempi di ‘vacche grasse’, spesso in edifici costruiti in origine per altri scopi e successivamente riadattati. Sappiamo che più ingressi, come del resto più sale, richiedono più controlli; magazzini e depositi richiedono personale per la distribuzione. Gli architetti si stanno impegnando per progettare edifici autosufficienti, ma con gli edifici vecchi non si può fare pressoché nulla. I vecchi edifici richiedono una manutenzione più gravosa, richiedono somme enormi. I comuni per la scelta dell’edificio per la biblioteca dovrebbero prima di tutto fare la verifica dei costi della gestione. Se si spendono troppi soldi per la manutenzione – e non si può ad esempio non riparare un tetto – si sottraggono ai servizi, agli acquisti di documenti, ma questo è un argomento di cui si parla poco.
Nella progettazione occorre anche pensare agli estrumenti che ci aiutano a tenere aperti i servizi, per esempio l’antitaccheggio. Un tempo i microchip per l’antitaccheggio costavano moltissimo (1 dollaro a microchip), oggi i prezzi sono scesi moltissimo (circa dieci centesimi al pezzo) e permettono non solo di controllare i volumi ma di gestire gli scaffali, le statistiche, verificare le letture, liberando il personale da compiti ripetitivi. Come bibliotecari dovremmo riflettere su come articolare i servizi e i propri ruoli. Nelle ultime biblioteche che ho visto quasi tutti i bibliotecari si muovono, postazioni leggere come sportelli che si adattano alle esigenze, a seconda degli orari e dei momenti della giornata; aumenta la trasversalità dei compiti, non ci sono più ruoli definiti per sempre ma adeguati alla situazione e ai bisogni (almeno per quel che riguarda le biblioteche pubbliche). C’è una grace crisi e vediamo tagliare sempre più i servizi, ma in Caro Sindaco? ho scritto che se la biblioteca non viene sentita come servizio indispensabile, entrando in competizione con altri servizi rischia di perdere terreno. Occorre lavorare molto per far capire il valore delle biblioteche. Le biblioteche più vivaci e attente attirano effettivamente nuovi lettori, ma spesso vedo che si tratta di studenti che occupano tavoli caldi o freschi a seconda delle stagioni; nessuno li vuole cacciare, ma non è detto che utilizzino il patrimonio e i servizi. Non si tratta allora solo di errori di progettazione degli edifici, ma di un mix di mancanza di consapevolezza di dove stiamo andando, di che cosa stiamo attraversando.
I bibliotecari che si sono formati non sono diversi dai milioni di disoccupati in ogni settore. Purtroppo il problema è generale, di scelte politiche: la nostra alleanza deve difendere posti di lavoro tagliati e soprattutto creare nuovi posti di lavoro. Il problema è che il nostro Paese non fa investimenti in cultura e formazione, quel volano che permette di far crescere l’economia, le start up? di questo si ragiona poco all’interno delle biblioteche. Mi piacerebbe sapere se qualche economista concorda con questa idea: se un’alleanza tra cittadini, bibliotecari, impiegati pubblici – anche rinunciando a dei privilegi – per tenere più aperte le biblioteche come luoghi di comunità, di coesione sociale, una volta superata la crisi, possa creare effettivamente posti di lavoro.

I continui tagli alla cultura spingono le biblioteche ad aguzzare l’ingegno per tirare avanti. Sfilate di moda spot televisivi, feste…. Nei giorni scorsi ha fatto scalpore la trasformazione della Biblioteca Nazionale di Firenze in una discoteca ( http://www.claudiogiunta.it/2012/12/vieni-anche-tu-a-ballare-alla-biblioteca-nazionale/ ). Cosa ne pensi? 

La proposta della Nazionale non mi ha per nulla scandalizzata. Non credo che l’abbigliamento da discoteca possa dare discredito o scandalizzare, rispetto a un buffet con posate d’argento che sarebbe stato più ‘in sintonia’ col luogo. Non mi sembra che nessuno abbia mangiato sui manoscritti? Queste cose vanno fatte con intelligenza, ma non mi scandalizzano affatto perché credo che in biblioteca bisogna far di tutto e di più. Il problema non è solo quello di ‘fare soldi’; il punto è il legame fra la biblioteca e la città, per far entrare persone che non sarebbero mai entrate in biblioteca. L’iniziativa poi mi sembra fosse inserita in altre attività analoghe che si svolgevano in città, non era fuori contesto. Per me l’idea di una biblioteca come ‘tempio del sapere’, come luogo che non deve essere profanato, mi sembra una battaglia di retroguardia.

Restando alla Biblioteca Nazionale di Firenze come giudichi i progetti di digitalizzazione portati avanti da Google?

Mi preoccupa che ci sia un proprietario dei contenuti. Ma mi ha molto colpito pur in questo periodo di crisi, vedere la Library of Congress spingere sulla digitalizzazione per mettere i suoi documenti a disposizione del mondo in tredici lingue. E’ importante condividere le informazioni, i documenti; certo è importante ‘mettere dei paletti’. stabilire le condizioni. In Italia quando avremo a disposizione tutti questi soldi? Bisogna esser realisti. Abbiamo un patrimonio incredibile: contrattiamo per non perdere la proprietà ma non facciamone una battaglia ideologica. Ci sono anche bibliotecari che si lamentano del fatto che con gli OPAC i libri della biblioteca sono richiesti da tutto il mondo… Un atteggiamento passatista. Abbiamo la possibilità di far accedere tutto il mondo alle biblioteche. Leggevo di biblioteche arrivate in Africa grazie a Internet e grazie ai tablet, a disposizione di bambini che non hanno mai visto una biblioteca.

Abbiamo sentito parlare spesso degli Idea Store, sembra che funzionino davvero. Sedi scelte appositamente, allestimenti che si ispirano agli arredi commerciali, posizioni centrali, orari di apertura estesi alla sera e lungo tutta la settimana, personale giovane, molti investimenti… il tutto preceduto da un sondaggio accurato fra i NON lettori. Pensi che siano un modello imitabile anche in Italia?

Sì, è un tema molto discusso. Gli IS hanno valore semantico, per dire quello che da noi ‘public library’ non ha mai detto. Sono un certo tipo di biblioteca: abbiamo bisogno di riflettere su queste parole. Gli IS non si possono replicare allo stesso modo in ogni paese e città d’Italia. IS nascono da biblioteche tradizionali che comunque erano frequentate, ben più di quanto avviene di solito in Italia. IS sono nate per una forte volontà politica, che ha deciso di metter insieme due servizi: long life learning (in Italia non esiste come servizio pubblico) e servizio bibliotecario, sperando che uno alimenti l’altro. Questo è già ben diverso rispetto all’Italia. Da noi avrebbe senso interrogare i non lettori (come hanno fatto a Londra)? Per delle persone che non hanno idea di cos’è una biblioteca, queste domande avrebbero senso? Avremmo delle risposte? In Italia abbiamo una serie di laboratori partecipativi, per coinvolgere i cittadini, per progettare spazi e servizi. Noi non lo abbiamo mai applicato per le biblioteche. Ad esempio a Perugia ho letto dai giornali che si pensa di mettere una biblioteca in un posto, poi in un altro… sarebbe molto bello chiedere ai cittadini “abbiamo questi luoghi, dove pensereste sarebbe meglio collocare un servizio che potrebbe contenere tutte queste cose? Non pensiamo alla partecipazione solo per quel che fanno a Londra, iniziamo a chiedere ai cittadini, decidiamo cosa metterci dentro… Di recente sono stata coinvolta in questo progetto del quartiere Isola a Milano: i cittadini stanno reagendo all’idea che diventi solo il quartiere della moda, il quartiere chic, con prezzi che stravolgerebbero l’area. Hanno discusso sul progetto di un cavalcavia, per decidere come farlo.. il frutto è la mediazione che poi farà la politica… il centro civico che chiedono è molto simile a quello che pensiamo per una biblioteca. Una cosa che non mi sarebbe mai venuta in mente è la richiesta di una cucina con una sala per invitare gli amici a cena, perché nelle case moderne ormai non c’è più spazio per farlo. A noi non sarebbe mai venuto in mente! è al centro di un tavolo di partecipazione ( http://www.zonaisola.it/il-quartiere ). In Sala Borsa è stato importante rileggere i ‘post-it’ del decennale (“Perché ti piace Sala Borsa?”) lasciati dai lettori: la maggior parte sottolineava il valore del luogo, il luogo dove si sta insieme.. questo è qualcosa su cui ragionare. Comunque in Italia si parla di IS solo fino a una certa latitudine.. è solo una dimensione metropolitana che è interessata a IS, la situazione delle biblioteche italiana è troppo variegata per adottare un modello.

Come mai in Italia le biblioteche e i bibliotecari scolastici sono così trascurati? All’estero c’è molta più attenzione, ad esempio in Svezia per legge le scuole devono avere una biblioteca. 

Abbiamo bibliotecari scolastici in Italia? Credo che a parte poche situazioni i bibliotecari scolastici siano davvero pochi: per lo più si tratta di docenti riassegnati alle biblioteche, e di questi pochi hanno una formazione specifica. Se ne era parlato un po’ col progetto Berlinguer. Anche le biblioteche scolastiche credo siano davvero poche, frutto della volontà dei singoli istituti.
D’altronde gli istituti scolastici hanno una loro autonomia, potrebbero investire nelle biblioteche. Ma manca una politica nazionale, anche per le università? In altri Paesi non può esistere che si metta in piedi una università senza biblioteche e senza servizi! Quante città hanno aperto sedi universitarie ‘sotto casa’ senza servizi fondamentali come mense, alloggi, biblioteche? Serve una progettazione urbana. Ad esempio in Trentino hanno appena aperto una bella scuola, mettendo al centro la biblioteca. L’edilizia scolastica è di un certo tipo… i banchi sono inadatti alle dimensioni dei bambini e dei ragazzi. È una questione di intelligenza e di civiltà. Ripenso al progetto Mediateca 2000: aule con dentro computer, che non hanno quasi mai interagito con la biblioteca. Lo stesso è successo con le scuole: aule didattiche con i computer che non sono state collegate alle biblioteche. Perché lo spazio della biblioteca è rimasto separato?

Il Forum del Libro ha presentato una legge di iniziativa popolare sulla promozione del libro e della lettura: ce ne puoi parlare, accennando anche alla questione lettori / non lettori e all’analfabetismo funzionale?

L?Associazione Forum del Libro non è fatta da rappresentanti di categoria, ma ci sono esponenti della catena della lettura, bibliotecari, librai, editori… Abbiamo deciso di lavorare sull’ecosistema complessivo. In 10 anni di attività siamo entrati in contatto con centinaia di buone pratiche. Siamo in un Paese bizzarro: non si legge, compriamo pochi libri, ne scriviamo tantissimi, abbiamo tanti festival. Perché si legge poco? Ci sono comunque molte biblioteche e abbiamo dati pazzeschi di gente che non legge. Perché? Non sono in grado di dare una risposta unica. Penso che siano stati devastanti 40 anni di tv commerciale che hanno distrutto i valori della cultura: le famiglie che non leggono educano ragazzini che non leggono. L’editoria va male dappertutto, non solo in Italia; le librerie chiudono ma non solo in Italia. Non è solo un problema di Amazon che vende libri a minor prezzo; penso che anche gli ebook siano acquistati dalle stesse persone. Dovremmo capire il paese che cosa vuol fare. C’è dibattito tra librerie di catena e indipendenti: la libreria indipendente è più vulnerabile; le librerie di catena stampano e distribuiscono i libri. Ma il problema è che la base dei lettori è esigua, occorre allargare questa base, non vedo altre soluzioni. Le librerie indipendenti hanno iniziato a fare attività di ogni tipo – come le biblioteche -. per attirare le persone. Diventano luoghi di comunità. Ci si ritrova in libreria, e una libreria che funziona bene fa crescere il valore del territorio, il posto in cui si vive. Non pensiamo solo in termini commerciali, altrimenti non ce la facciamo: dobbiamo lavorare maggiormente sull’atteggiamento culturale. In quanto al problema dell’analfabetismo di ritorno, è un problema che non tocca solo noi ma anche gli altri Paesi. Tullio De Mauro ha parlato di cifre enormi. Penso che sia il terreno sul quale dovranno lavorare le biblioteche. Se una persona anche istruita non alimenta la propria formazione, non va al cinema, non legge libri, perde le competenze. Ad esempio negli USA ci sono gruppi di lettura per i quotidiani. Il quotidiano riporta informazioni fondamentali per i cittadini, opinioni, idee, analisi: se un cittadino non capisce quello che legge non capisce le scelte della politica. Trovo interessante che ci siano giornalisti in pensione, insegnanti, che leggono insieme al pubblico gli articoli di giornale: e questo serve anche ai giovani. Spesso i riferimenti che fanno i nostri giornali non servono a niente: anche i bibliotecari che propongono libri o usano metafore rischiano di non farsi capire. La maggior parte delle cose che diamo per scontate non lo sono. Non sappiamo da cosa sono stati sostituiti i riferimenti condivisi.

Riscriveresti oggi “Caro sindaco, parliamo di biblioteche”? O forse lo cambieresti in “Cari politici parliamo di biblioteche, di cultura”?

Ci si rivolge ai sindaci perché il sindaco è percepito come colui che decide della vita pubblica. La biblioteca pubblica viene capita molto di più da parte degli amministratori; spesso sono i sindaci a non sapere come portare avanti queste scelte, perché la politica non li aiuta. Lo stiamo vedendo con i programmi elettorali. Come Forum abbiamo proposto 5 punti, lo ha fatto anche il FAI: Occorre chiedere ai candidati di impegnarsi su questi punti, per mettere la cultura all’ordine del giorno dei programmi elettorali e politici nei prossimi 5-6 anni. Anche i sindaci più di tanto non possono fare, vengono sconfessati dai loro partiti. Mi piacerebbe arricchire il libro con le esperienze delle tante presentazioni che ho fatto. Mi piacerebbe scrivere un libro “cari bibliotecari parliamo di biblioteche”. Anche i bibliotecari più sensibili restano spesso isolati, non sono abbastanza sostenuti. Occorre rivolgersi ai dipendenti comunali perché non possiamo sentire i bibliotecari che non sono disponibili a prolungare gli rari.. restano dei privilegi.. ma occorre anche vincere le chiusure, anche i sindacati dovrebbero favorire i processi di apertura alla città, vincere i tabù, migliorare i servizi, avere orari più adatti alle esigenze dei cittadini.

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L'autore

Gabriele De Veris
Gabriele De Veris
Gabriele De Veris è nato a Genova e dal 1982 vive a Perugia. Dal 1985 lavora nelle Biblioteche Comunali di Perugia