conversando con...

Carlo Pulsoni intervista Francesca Casula

Francesca Casula, sarda, classe 1978, è editor. Di formazione classica, si occupa di narrativa italiana e straniera. Nel tempo libero (?) fonda associazioni culturali che hanno come scopo la promozione della lettura. Ultima in ordine di tempo, Lìberos. Sogna di avere, un giorno, una vita privata.

Nel mese di gennaio, la giuria del bando “Che Fare” ha premiato Lìberos come miglior progetto culturale. Una vittoria di prestigio, considerato il notevole numero di progetti che erano stati presentati. Ci può spiegare che cos’è Lìberos e quali sono le sue finalità?

Lìberos è una rete solidale di librai, scrittori, editori, bibliotecari e associazioni culturali che scelgono di fare fronte comune non solo contro la crisi, ma anche contro lo svilimento dello sconto, che sotto la maschera dell’interesse per la comunità o per i consumatori nasconde il progressivo svilimento del lavoro delle persone che mandano avanti i mestieri del libro: sostenere che “i libri costano cari” significa misconoscere e screditare la professionalità di tutte le figure che concorrono alla loro realizzazione e diffusione.

Liberos è un progetto che nasce in Sardegna e ha caratteristiche che lo rendono particolarmente efficace proprio nel territorio sardo, poco popolato e in modo non omogeneo. Crede che sia possibile esportare un approccio come il vostro sul Continente?

Non solo è possibile, ma era uno dei requisiti del bando CheFare, ed è già nei nostri progetti: la Puglia sarà probabilmente la prima regione dove sperimenteremo una gemmazione. Ma non deve essere per forza una regione a replicarlo: può essere una provincia, una città, un altro settore?

Contate di allacciare contatti con altre associazioni culturali italiane al fine di promuovere la lettura e la diffusione della cultura? Se sì, quali sono i requisiti che chiedete loro?

L’apertura verso ogni ipotesi di collaborazione nell’ambito della diffusione del libro e della lettura è insita nel dna di Lìberos, quindi abbiamo l’intenzione di intessere relazioni virtuose con altre associazioni, in Italia e all’estero. A questi partner chiediamo solo di condividere lo spirito del nostro codice etico.

Il vostro progetto insiste molto sulla cosiddetta “filiera corta”. Ce la può illustrare facendo riferimento ai vari protagonisti che la compongono?

Direi proprio il contrario: il nostro progetto prevede di dare importanza ad ognuno dei singoli passaggi della filiera editoriale, dall’autore sino al lettore, passando per editore, promotore e libraio senza scavalcarne alcuno, perché ognuno può e deve dare il suo contributo di professionalità a un settore particolare non confrontabile, per le sue caratteristiche intrinseche, con altri. Acquistare su internet, per esempio, vuol dire dare più valore allo sconto che alla professionalità del libraio per la comunità.

In questo momento di crisi economica, come pensate di convincere il potenziale acquirente di libri a comprarli in libreria e non in rete?

Dandogli di più. Il valore non monetizzabile dell’esperienza è quello che noi offriamo: non solo incontri con gli autori (ma badi che anche questo non è banale: non parliamo di Roma o Milano, dove l’offerta di eventi culturali è sovrabbondante, ma di paesi di 300 abitanti che un autore da classifica non lo hanno mai visto dal vivo), ma anche premi esperienziali per i lettori più attivi e partecipi. Nel nostro circuito, si accumulano punti non solo spendendo soldi, come nei supermercati, ma anche partecipando agli eventi, prendendo in prestito libri in biblioteca. Come dire: perché pagare 14 euro un caffè in piazza San Marco, quando costa meno berlo a casa? Semplice: a casa non hai piazza San Marco.

Tra le cause che sembrano minare la vita dei piccoli editori potrebbe esserci anche la creazione da parte dei grandi gruppi di collane selfpublishing. Cosa ne pensa?

Il self-publishing, in generale, ci trova molto critici proprio perché pubblicarsi il libro da soli presuppone l’idea che l’editore sia inutile, e per Lìberos, come dicevamo, ogni segmento della filiera è prezioso. La presunta democrazia della pubblicazione per tutti genera mostri; alcuni sono facilmente immaginabili: un mare di roba nella quale non è più possibile distinguere quello che è stato selezionato e vagliato da quello che è bello solo “a mamma soja”, come “ogni scarafone”. Quello che però è meno evidente è che la scomparsa degli editori significherebbe anche la scomparsa delle traduzioni: non ci sarebbero più quelle entità che investono nella traduzione, e non potremmo leggere, a meno di conoscerne la lingua originale, i vari Murakami, Márai, Larsson.

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