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Luigi Giuliani intervista Rossend Arqués e Adriana Padoan

Luigi Giuliani intervista Rossend Arqués (= RA)
e Adriana Padoan (= AP)

L’apparizione di un nuovo dizionario bilingue costituisce sempre un momento importante della storia dei rapporti fra le culture. Perché un dizionario bilingue è forse il luogo di incontro interculturale per eccellenza, l’interfaccia fra due lingue che rende possibile il contatto, la ricodificazione, e dunque l’accesso fra due universi, fra due visioni del mondo altrimenti poco o per nulla comprensibili. Va quindi celebrata l’uscita del lungamente atteso Grande Dizionario di Spagnolo, di Rossend Arqués e Adriana Padoan, pubblicato dalla Zanichelli (2012, 2848 pp. + 32 tavole a colori, 87 € in versione cartacea), un lavoro assolutamente necessario che mette finalmente a disposizione di traduttori e studenti uno strumento di lavoro affidabile dai numeri importanti: più di 190.000 voci, 275.000 accezioni, 360.000 traducenti, 77.000 locuzioni, corredato di CD-Rom e disponibile anche – a breve – in versione minor.
Al margine della recente presentazione del volume presso il Dipartimento di lettere dell’Università di Perugia, ne parliamo con gli autori Rossend Arqués e Adriana Padoan, due studiosi uniti nella vita professionale e in quella coniugale che si muovono sull’asse Barcellona-Venezia per toccare nella ricerca e nell’insegnamento ambiti amplissimi delle letterature e le lingue dei due Paesi.
Rossend Arqués è docente di Letteratura Italiana presso la Facoltà di Lettere dell’Universitat Autònoma de Barcelona. Non solo è autore di saggi su autori italiani di ogni epoca (in special modo su Cavalcanti, Dante, Petrarca, Leopardi e Goldoni), ma svolge anche un ruolo importantissimo nel coordinamento e la diffusione delle attività di ricerca e divulgazione nell’ambito dell’italianistica in Catalogna e più in generale in Spagna: ha diretto gruppi di ricerca sul teatro italiano in Europa tra ‘500 e ‘700, codirige le riviste “Quaderns d’italià” e “Dante e l’arte”, è socio fondatore sella Societat Catalana d’Estudis Dantescos, ha tradotto in catalano e in spagnolo autori come Petrarca, Vico, De Sade, Leopardi, Sciascia, Tomasi di Lampedusa, ed è autore del Diccionari català-italià (Barcellona, Enciclopèdia Catalana 1992 e 2002).
Adriana Padoan dopo aver insegnato materie letterarie in diversi istituti di istruzione secondaria a Venezia, si è trasferita a Barcellona nel 1996, dove, prima di lanciarsi assieme Rossend nell’impresa del dizionario italiano-spagnolo della Zanichelli, ha collaborato alla redazione dei Dizionari Italiano-Catalano e Catalano-Italiano. Attualmente insegna lingua italiana come lingua straniera per studenti spagnoli presso il Servei de Llengües, centro interfacoltà dell’Universitat Autònoma de Barcelona.

Cominciamo dall’inizio. Come e perché è nata l’idea di fare un dizionario Italiano-Spagnolo?

(AP) Come è abituale nelle vicende umane, l’idea nasce da una necessità. Conoscendo già da tempo e per esperienza diretta quanto fossero per molti versi superati gli strumenti lessicali bilingui, italiano- spagnolo, disponibili in quel momento (mi riferisco al Carbonell e all’Ambruzzi che pur avevano funzionato egregiamente nel passato) decidemmo di presentare alla casa editrice Zanichelli il progetto di un nuovo bilingue. Nel 1996 quando ci trasferimmo a Barcellona, uno di noi, (Adriana) era senza lavoro. Ecco dunque la necessità, anche economica, di inventarcene uno. D’altra parte, la pratica lessicografica non ci era affatto estranea visto che avevamo già pubblicato, Rossend come autore e Adriana come collaboratrice, il Diccionari català–italià per l’Enciclopèdia Catalana nel 1992 e stavamo ultimando il secondo volume italià–català. Quindi la nostra proposta venne subito accettata dalla Zanichelli.

Fino all’apparire del “vostro” Zanichelli, il panorama dei dizionari fra le due lingue era abbastanza povero, sia per quantità che per qualità, se comparato con quello di altre lingue. Ricordo il temibile Ambruzzi, del 1948 e poi ristampato tale e quale negli anni Settanta, dove alla voce “miliciano” si chiariva: “nel 1936-1939, usato per i soldati rossi”… Perché, secondo voi, c’è stata per così tanto tempo la mancanza di dizionari affidabili (e non obsoleti) spagnolo-italiano?

(RA) Fino a qualche anno fa lo spagnolo era considerato una lingua di serie B, senza troppe attrative per il pubblico italiano, che secondo degli stereotipi molto diffusi all’epoca, riteneva lo spagnolo una sorta di variante del dialetto veneto, perciò facile da capire e da parlare. Comunque decisamente secondario rispetto al francese e soprattutto all’inglese. Per molti anni l’opinione pubblica italiana, eccetto pochi studiosi specialisti della lingua di Cervantes, ne ha sottovalutato il potenziale e la diffusione. Non c’è dubbio che a formare tale opinione abbia contribuito anche il lungo isolamento della Spagna franchista. Per questo, dopo la caduta del sistema dittatoriale di Franco, e in Italia soprattutto a seguito dei mondiali di calcio del 1982, è cominciato il processo di riavvicinamento alla Spagna e, di conseguenza, è tuttora in corso una fase di interesse per lo spagnolo, che piano piano ha rimpiazzato l’onnipresente francese.

Quali sono stati i dizionari su cui avete lavorato per la scelta dei lemmi spagnoli? E quali quelli italiani?

(RA) Lungo i 15 anni da noi dedicati alla redazione del GDS la lessicografia monolingue dell’italiano e dello spagnolo è cambiata profondamente, soprattutto quella spagnola. Quando nell’anno 1995 ci siamo messi a lavorare su questa opera, la lessicografia dello spagnolo era assai povera: il dizionario della Real Academia (nelle edizioni prima del 2001), quello di Maria Moliner (Diccionario de uso del español, 1962) e quello di Casares (Diccionario ideológico, 1942), essenzialmente. Dopo sono venuti il Salamanca (1996), il Clave (1997) e finalmente il Seco (Diccionario del español actual, 1999) e il Diccionario de uso del español de América y España (2002). Importanti nell’ultima fase del nostro lavoro sono stati anche il Redes (2004), il Diccionario panhispanico de dudas (2005) e soprattutto i data base della Real Academia (CREA, etc.). Ciò significa che agli inizi di questa nostra “impresa” avevamo pochi strumenti e del tutto inadeguati non solo per fissare un lemmario più conforme alla realtà della lingua spagnola, ma anche per analizzare l’uso che la comunità dei parlanti ne stava facendo. Per la sezione dell’italiano ci sentivamo più sostenuti, in primo luogo perché potevamo contare sui lemmari dello Zingarelli e sull’esperienza lessicografica nell’ambito dei bilingui della casa editrice Zanichelli, ma anche perché potevamo già consultare monolingui più attuali e esaurienti. Penso a opere come Palazzi-Folena, 1992; Dardano, 1981-82, Duro, 1986-1997, Battaglia 1961-2004 ecc., a cui si sono aggiunti in tempi più recenti il Disc (1997), il Gradit (Grande dizionario italiano dell’uso, in 6 voll.). Per quanto riguarda i bilingui, la situazione, come già sottolineato, era disperante, soprattutto per i dizionari cosiddetti grandi. Fino alla pubblicazione del Tam (1997), la struttura delle voci di questi dizionari, in cui i traducenti di solito erano messi uno dietro all’altro in un elenco indifferenziato senza nessun riferimento all’uso e al registro e con la maggior parte degli esempi ricavati dalla letteratura, induceva facilmente al malinteso se non all’errore vero e proprio. Per i piccoli-medi la situazione era alle volte migliore; ma per noi erano di poca utilità, tranne l’Herder (1997) che è senza dubbio il migliore di questa categoria. La necessità di un dizionario moderno e controllato a tutti i livelli era quindi ovvia e urgente.

In Italia non c’è un’autorità centrale di controllo sulla lingua che abbia poteri normativi. E forse questo si riverbera nel diverso approccio di italiani e spagnoli al dizionario monolingue in quanto strumento linguistico. Ho sempre avuto l’impressione che un italiano cerchi nel vocabolario soprattutto il significato delle parole che non conosce, mentre uno spagnolo lo consulta anzitutto per sapere se un determinato termine “si può dire”, se ne è autorizzato l’uso. Esagero? Qual è il peso della Real Academia de la Lengua nel sistema culturale spagnolo e nella coscienza dei parlanti?

(RA) Hai ragione. Ma fino a qualche anno fa gli spagnoli che consultavano i dizionari monolingui per fugare qualche dubbio erano pochissimi per le ragioni che ho esposto prima. Quelli che comunque volevano sapere qualcosa in più del funzionamento della lingua spagnola non consultavano il DRAE ma il Maria Moliner. Io ho conosciuto fior di scrittori e poeti spagnoli, all’epoca ancora agli esordi, che veneravano questo dizionario, frutto dell’assiduo lavoro e dell’intelligenza di una sola autrice, che per essere di parte repubblicana fu meschinamente disprezzata dal regime franchista. Il suo dizionario è stato semplicemente un monumento alla lingua spagnola, che era molto svalutata in quei tempi bui, così solido da registrare le combinazioni e le reggenze delle parole, così moderno da considerare anche l’uso che ne facevano i parlanti. Il DRAE al suo confronto presentava la rigidezza di un cadavere. La situazione è cambiata da un bel po’. Grazie alla sua attuale permeabilità e duttilità, la RAE ha ottenuto meritatamente un ruolo centrale di autorità riconosciuta non solo in Spagna ma anche negli altri paesi ispano-parlanti che si sono associati per mezzo delle varie accademie nazionali.

Fare un dizionario implica operare delle scelte in quanto al lessico da includere. parliamo delle “frontiere” delle due lingue: il gergo, l’argot, i linguaggi giovanili nello spagnolo; i termini dialettali che entrano nell’uso comune dell’italiano. Come vi siete orientati in merito? 

(AP) Ci siamo posti il problema e in parte abbiamo tentato di risolverlo consultando per lo spagnolo il Diccionario de argot, di Sanmartín Sáez, che raccoglie il lessico diastraticamente connotato, quello degli zingari e della malavita per intenderci, che spesso è ripreso anche dai giovani. Per l’italiano ci siamo rivolti a Slangopedia, la rubrica apparsa per la prima volta sull’Espresso che poi è diventata un vocabolario in rete dei termini e delle espressioni gergali giovanili provenienti da tutte le regioni italiane. Di criteri di selezione, veri e propri, per tutti questi neologismi non ci siamo avvalsi, anche se abbiamo cercato di registrare tutti quelli che dall’uso orale sono passati anche a quello scritto. Stiamo comunque parlando di una frontiera che è impossibile fissare e tracciare definitivamente, dal momento che è condizionata dalle mode e dalle contingenze sociali, scientifiche ed economiche del momento. Di questa realtà il nostro dizionario non può offrire che uno spaccato, per quanto ampio visto che la redazione delle voci è durata 15 anni, ma pur sempre cronologicamente delimitato. Sono registrati termini come Prima de riesgo (in it. spread), patera (in it. carretta di mare), ma purtroppo non appare la locuzione burbuja inmobiliaria che dovrebbe essere tradotta come bolla speculativa. Provvederemo per le prossime edizioni.

Ancora sulle “frontiere”, questa volta di tipo anche geografico. Per la parte spagnola la scelta dei lemmi sembra limitata soprattutto al castigliano parlato in Spagna, il cosiddetto spagnolo “peninsular”, di gran prestigio, ma parlato solo da poco più di quaranta milioni di persone. Molto meno presenti sono gli americanismi, patrimonio lessicale di più di trecento milioni di persone in America Latina. Perché questa scelta?

(RA) Vorrei premettere che ci sono comunque molti americanismi nel GDS, esattamente 1234. La casa editrice ha optato, è vero, per lo spagnolo “peninsulare” per varie ragioni, ma noi autori abbiamo comunque registrato molti lemmi e molte traduzioni relative allo spagnolo americano, pur con qualche assenza involontaria. L’accademico della lingua spagnola Gregorio Salvador, che ci ha fatto l’onore di presentare il GDS a Madrid, ha notato, per esempio, la mancanza dell’aggettivo “boludo” (“scemo” o, meglio, “minchione), molto diffuso nella zona del Río de la Plata (Argentina e Uruguay), ma comprensibile anche alla maggior parte degli ispano-parlanti. Per la prossima edizione cartacea, e più a breve scadenza per quella digitale, del GDS si dovrà affrontare seriamente il problema e quindi questo aspetto indubbiamente andrà migliorato, anche perché la maggior parte dei parlanti di questa lingua si trovano proprio oltreoceano.

Passiamo ora dall’altra parte: in Italia, dove, appunto, il peso della Crusca è relativo perché privo di autorità normativa, i punti di riferimento per i parlanti sono segnati dalle grandi case editrici (e la Zanichelli è una di esse).

(AP) Sì, condividiamo in pieno questa affermazione. Mancando in Italia un’istituzione equivalente alla Real Academia, sono le case editrici che con le loro edizioni lessicografiche svolgono questa funzione, pur rifacendosi, ad ogni buon conto, ai dettami dell’Accademia della Crusca. Ecco perché chi vuole essere un erudito della lingua italiana deve rivolgersi a più monolingui e dalla loro consultazione ricavare una auctoritas, per così dire, personalizzata.

Come avete proceduto nel lavoro? Avete seguito un processo di trial and error? Avete impostato il lavoro su più fasi?

(AP) Una procedura è stata seguita, nel senso che prima è stata realizzata tutta la sezione spagnolo-italiano e, una volta ultimata, è cominciato il lavoro sulla sezione italiano- spagnolo. Questo anche per garantire una certa omogeneità di trattamento e di dimensioni tra le due parti. Inoltre approfittando delle soluzioni informatiche che nel frattempo si venivano applicando alla produzione lessicografica, la Zanichelli ha deciso di “ribaltare” la prima sezione del dizionario in modo da facilitare e rendere più veloce la redazione della seconda. Nella pratica, però, questo non si è verificato se non in stretta misura, giacché la maggior parte delle voci dovevano essere rifatte ex novo, malgrado la traccia offerta dal ribaltamento. Comunque la costruzione del lemma non è mai stata affidata all’improvvisazione né tanto meno alla pura esperienza sul campo. Il disegno della microstruttura è il risultato di una lunga e ponderata elaborazione di idee e di valutazioni al quale siamo giunti dopo aver studiato gli strumenti lessicografici bilingui più moderni e più diffusi (soprattutto l’English/ Español di Oxford dictionaries e l’English / Dutch della casa editrice Van Dale) con l’obiettivo di fornire non solo una buona traduzione nella lingua di arrivo ma anche una consultazione chiara e agevole del lemma, costruito sulla base delle più attuali teorie linguistiche.

Il vostro è un dizionario Zanichelli, e dunque segue -par di vedere- schemi, impostazioni, criteri già sperimentati in altri dizionari della stessa casa editrice. Quanto tutto ciò ha influito sul vostro lavoro? Quali sono state le indicazioni che avete ricevuto dall’editore? Che margini di manovra avete avuto?

(RA) I margini di manovra sono stati molto ampi. Il nostro è un dizionario d’«autore», come tutti quelli che pubblica questa casa editrice, del resto. Dizionario d’autore vuol dire che chi firma l’opera le dà anche delle caratteristiche proprie che possono anche essere dissimili da quelle di altre opere lessicografiche dello stesso editore. Noi abbiamo impostato il nostro dizionario su alcuni cardini che nessuno ci ha mai contestato. Doveva essere un dizionario veramente bilingue, orientato sul traducente e non sul significato, corredato da una descrizione dettagliata del lessico, delle strutture sintattiche e dell’uso di entrambe le lingue; un dizionario bidirezionale (con tutte le limitazioni che questo termine porta con sé, se non altro nell’edizione cartacea), nel quale entrambe le comunità di utenti potessero trovare facilmente il necessario non solo per capire ma anche per produrre testi; un vocabolario attivo nei due fronti linguistici, insomma, pensato per gli studenti e per i professionisti di tutte e due le lingue. Non c’è dubbio comunque che il dizionario ha una chiara impronta Zanichelli.

Se per uno scrittore c’è l'”angoscia delle influenze”, per un compilatore di dizionari esiste qualcosa di simile all'”angoscia dell’esaustività”?

(AP) Sì, senza dubbio. Ed è un’angoscia che ci ha assalito a più riprese e per due aspetti: quello quantitativo, rispetto alla macrostruttura, quando ci sembrava che i lemmi registrati fossero insufficienti (sono circa190 000 voci, 95 mila, per sezione); quello qualitativo, rispetto all’esaustività della descrizione della voce sotto tutti i punti di vista: morfologico, sintattico, combinatorio e fraseologico. Questa smania di esaustività qualche volta ci ha preso la mano e a forza di volere contestualizzare tutte le varie accezioni che spesso un termine presenta tanto nella lingua di entrata come in quella di arrivo, il numero di esempi, per qualche voce, è eccessivo. Come diceva Miro Dogliotti, direttore editoriale della Zanichelli, spesso “il meglio è nemico del bene”.

Cosa vi ha sorpreso di più nel corso del vostro lavoro? C’è qualcosa che non rifareste?

(AP) Forse una certa laconicità delle definizioni dei monolingui spagnoli, una certa scarsità nell’apparato di esempi a corredo della definizione, infine una tendenza a ripetere formule preconfezionate che poca informazione apportano a chi consulta la voce. Penso soprattutto alla serie di definizioni di sostantivi deverbali che sono frettolosamente liquidati con la formula “acción y efecto de…” (es.: nutrición, acción y efecto de nutrir).

E infine non confideremmo più ciecamente nelle nuove tecnologie come scorciatoia per giungere più rapidamente al traguardo. Pensare che il semplice rovesciamento di una sezione del dizionario potesse risparmiarci la fatica di redigere la seconda è stata un pia illusione.

E per finire, una domanda “personale”: il Grande Dizionario vi ha accompagnato per molti anni, suppongo che per voi sarà stato quasi un parente, magari un familiare invadente, una presenza continua in casa, a volte gradita, a volte insopportabile. Come si concilia la vita coniugale con un lavoro di lunga durata, da certosino, come quello della preparazione di un dizionario?

(AP) Sicuramente abbiamo fatto male i calcoli e quello che all’inizio doveva essere un lavoro molto intenso ma anche concentrato in pochi anni si è trasformato in un’impresa quasi epica. Siamo comunque in buona compagnia, perché anche María Moliner pensava di cavarsela in tre anni e ce ne ha messi ben 15. Eravamo giovani e il dizionario anno dopo anno è diventato parte della nostra vita, e non sempre sono state rose e fiori. Ricordo ancora le nostre vacanze prima di internet e dei dizionari digitali. Caricavamo il bagagliaio della macchina di tutti i volumi che ci servivano per lavorare anche durante le ferie estive. Per fare capire agli altri il rapporto che si è instaurato tra noi e il vocabolario, dico sempre che abbiamo avuto due figli: Laura che ha ora 25 anni e il GDS, il secondo figlio che ho partorito dopo una gestazione di quindici anni.

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L'autore

Luigi Giuliani
Luigi Giuliani
Luigi Giuliani è professore associato di Letteratura spagnola dal 2014 presso l’Università degli Studi di Perugia. Ha vissuto per 25 anni in Spagna dove ha insegnato Teoria della letteratura e Letteratura comparata presso l’Universitat Autònoma de Barcelona e l’Universidad de Extremadura. Specialista di teatro barocco (edizioni critiche e studi su Lope de Vega, Lupercio Leonardo de Argensola, Juan de la Cueva, Cristóbal de Mesa), si è occupato (un po’ schizofrenicamente) di teoria della performance, critica testuale, poesia dialettale romanesca e narrativa italoamericana. Scrive regolarmente di baseball e letteratura sul sito www.baseball.it