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Anna Belozorovitch intervista Theo Dorgan

Theo Dorgan è nato a Cork nel 1953. Ha pubblicato tre libri di poesia: The Ordinary House of Love (1991), Rosa Mundi (1995) e Sappho’s Daughter (1998). È curatore di Irish Poetry Since Kavanagh (1995) e co-curatore di Revising the Rising (1991), The Great Book of Ireland (1991), Watching The River Flow (2000) e The Great Book of Gaelic (2002). La raccolta di poesie scelte La Casa ai Margini del Mondo è stata pubblicata in Italia da Moby Dick di Faenza nel 1998, la traduzione spagnola di Sappho’s Daughter, La Hija de Safo, è stata pubblicata nel 2000 da Ediciones Hiperión di Madrid e l’edizione bilingue di Greek è stata pubblicata da Edizioni Kolibris nel 2011. La prosa Sailing for Home, in cui l’autore narra in dettaglio la sua traversata dell’Atlantico in barca a vela è stata pubblicata da Penguin Ireland nel 2004. Sempre del 2004 è la prima, al Royal Albert Hall, del libretto Jason and The Golden Fleece, musicato da Howard Goodall. La raccolta antologica A Book of Uncommon Prayer è stata pubblicata da Penguin nel 2006. Theo Dorgan è anche presentatore radiofonico e televisivo, autore di documentari, e membro di Aosdána, l’Accademia irlandese delle arti. Tra le sue più recenti raccolte di poesia ricordiamo What this Earth Cost Us 2008 e Nine Bright Shiners (2014) entrambe edite da Dedalus Press.

“Mi racconti della prima volta che ha incontrato la poesia. Come è entrata nella sua vita?”

Naturalmente studiavamo la poesia a scuola, sia in lingua inglese che in irlandese, e dovevamo imparare alcuni testi a memoria. In questo modo mi sono reso conto che la poesia è un modo speciale di organizzare il linguaggio e a causa della necessità di impararle a memoria ho scoperto che le poesie sono costruite in modo tale da essere memorizzate a differenza della prosa. Ricordo ancora molte di quelle poesie e la loro musica non mi abbandona mai. Non ho pensato di scrivere poesia fino ai miei diciotto anni, o forse fino a quando le pressioni e i piaceri della vita, la pienezza travolgente della vita, diciamo, mi hanno portato a tentare di dare risposte tramite il linguaggio lirico.

Come crede che la poesia interagisca con il tempo? Possiede un potere speciale su di esso?

Una risposta adeguata a questa domanda riempirebbe un libro, aggiungo molto grande! In breve, la poesia è un linguaggio totalmente vincolato al tempo così come lo sperimentiamo, o come dovremmo sperimentarlo, che in qualche modo ci solleva verso un senso del tempo più ampio. La poesia pone se stessa e il proprio senso di ampiezza contro la tirannia lineare del tempo. La poesia è come la lanca di un fiume: è autosufficiente ma fa anche parte della corrente del fiume. Il testo poetico viene abitato, penso, se è costruito e pensato in maniera appropriata. Si può dire che un testo poetico sia un’unità architettonica di tempo ed energia, sufficiente a se stessa. Uno può girovagare al suo interno e sfuggire agli imperativi del tempo per un po’, esplorando quel piccolo universo in tutte le sue dimensioni, temporale e spaziale. Allo stesso tempo, un testo poetico è fatto di parole, le quali da una parte scendono su di noi come un’eredità ricca e difficile da sostenere ma dall’altra sono aperte alle nuance e alle pressioni del momento vissuto. Il linguaggio è un’entità viva e al tempo stesso un processo, e la sua relazione con il tempo è complessa e multidimensionale, lo stesso è necessariamente valido anche per il testo poetico.
Potere sul tempo? Certamente le poesie possiedono il potere, se sono create bene, in maniera veritiera, da superare le proprie occasioni: vale a dire attraversare i campi e le profondità del tempo, rivelare alle generazioni non ancora nate, talvolta, qualcosa che non era ancora chiaro al momento in cui il testo veniva composto, qualcosa che non era chiaro nemmeno alla persona che componeva il testo. E infine, una poesia ha il potere di alterare il passato ricostruendo la matrice attraverso la quale accediamo al passato.
Probabilmente è più corretto pensare alla poesia come qualcosa che ha un proprio potere all’interno del tempo piuttosto che su di esso.

Ritiene che negli ultimi decenni ci sia stato un cambiamento nell’impatto che la poesia possiede sul mondo, sulle nostre vite?

In Irlanda, le persone prestano più attenzione alla poesia ora rispetto al passato recente. In parte ciò è dovuto al fatto che ci sono più poeti che scrivono e pubblicano oggi rispetto a quanti ce ne siano mai stati nel passato. In entrambe le lingue: inglese e irlandese. Inoltre, molte più donne pubblicano poesia rispetto al passato, il che significa che la testimonianza dell’altra metà dell’umanità, una volta silente, sta entrando nel mondo che condividiamo. Nella dimensione nella quale la poesia è testimonianza, direi che esiste una maggiore profondità e varietà di testimonianza rispetto al passato recente. Forse più che mai. La contrazione delle osservanze religiose e delle fedi ha qualcosa a che fare con questo: nell’assenza di una verità indiscutibile, le persone sono più disposte a cercare domande e risposte sul senso della vita nella letteratura e soprattutto nella poesia. A causa del suo essere attentamente costruita, della sua compattezza altamente energetica, la poesia sembra offrire la possibilità sia di sfida sia di scoperta del significato. Certo, questo è vero soprattutto per coloro il cui tropismo tende alla contemplazione, al coraggio di porsi delle domande.

Crede che la poesia abbia lo stesso ruolo di prima, e se no come è cambiato?

Parte del lavoro del poeta è tentare di attingere alle fonti e alle sorgenti del linguaggio. In un mondo globalizzato, la politica e il commercio lavorano per snaturare il linguaggio e svuotarlo di significato. Il poeta e la sua poesia si trovano in una posizione diametralmente opposta rispetto a questo processo.

Anche la sua compagna, Paula Meehan, è un’importante poetessa irlandese. Che cosa significa per voi come coppia il fatto di scrivere entrambi poesia? La poesia è un luogo di incontro o al contrario è là dove ognuno trova spazio per sé?

Ognuno di noi è il lettore migliore, più severo, dell’altro. Abbiamo sensibilità chiare e distinte, diverse strategie di fronte alla scrittura, differenti modi di lavorare sul testo, diverse preoccupazioni profonde. Ma naturalmente, dal momento in cui viviamo le nostre vite insieme, accanto e fino a un certo punto attraverso l’altro, abbiamo ciò che si potrebbe chiamare accesso privilegiato al lavoro dell’altro. Il nostro è un rapporto cameratesco in poesia.

Il tema di una rubrica del blog Versante Ripido (www.versanteripido.it) è “Resistere, resistere, resistere”: che cosa significa “resistenza” quando si parla di poesia? Come “resiste” la poesia e a cosa può aiutare a resistere?

La poesia, nel senso di scrittura di un testo poetico, è un atto di resistenza alla mortalità. Una poesia resiste al linguaggio quotidiano dei luoghi comuni, ricerca le radici, le etimologie, gli arcani dei sentimenti, l’imprevisto, il singolare e il condiviso: tutto ciò alla faccia di un discorso che ci ridurrebbe a consumatori passivi, a esseri umani intimiditi e terrorizzati. La poesia resiste a se stessa nella dimensione in cui l’energia di un testo poetico proviene dalla sua ecologia dove la parola resiste alla parola, il linguaggio rifiuta le proprie mancanze e inadeguatezze, dalla tensione flessibile propria della barca sotto la vela spiegata che lavora con e contro le forze del vento e del mare. E così il poeta, se lei o lui è onesto, resisterà all’essere cooptato all’escatologia e all’epistemologia o a un’ideologia che si preponga di spiegare il significato e il valore della vita; il poeta sa, o dovrebbe sapere, che nulla di definitivo può mai essere detto della nostra situazione umana. Le nostre vite, e la vita di questo unico mondo che condividiamo, sono misteri. Otteniamo piccole vittorie che i rinnegatori della vita tentano sempre di negare; il testo poetico insiste nel nutrire e salvaguardare quelle piccole vittorie: un profondo atto di resistenza in sé. Come disse il nostro grande poeta Michael Hartnett, “l’atto poetico è un atto di ribellione”. Ogni atto di immaginazione, ogni gesto, frase o poesia, è una piccola rivoluzione, e una rivendicazione fiera e indomita del nostro status di esseri liberi: vale a dire, ogni poesia è un atto di resistenza di fronte alla morte, alla negazione e all’estinzione

(l’intervista è stata pubblicata in precedenza in www.versanteripido.it)

Scarica l’intervista in inglese

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L'autore

Anna Belozorovitch
Anna Belozorovitch
Anna Belozorovitch è nata a Mosca e ha vissuto tra il Portogallo e l’Italia, dove risiede stabilmente dal 2004. Ha da poco concluso un dottorato in Studi interculturali presso l’Università Sapienza di Roma, con una tesi sulla letteratura prodotta da autrici migranti provenienti da Paesi dell’Europa Centro-Orientale e il legame tra scrittura e violenza.

Ha pubblicato poesia e prosa, tra cui le raccolte poetiche: Anima Bambina (Besa 2005), Qualcosa mi attende (LietoColle 2013) e il romanzo in versi L’Uomo alla Finestra (Besa 2007). Nel 2015 sono usciti il suo romanzo 24 Scatti (Besa) e il volume Poesia (Lithos) di Kazimir Malevič da lei tradotto e curato. È da poco uscita la sua nuova raccolta di poesie Il debito (LietoColle 2017).