Interventi

I “romanzi di voci” di Svetlana Alexievich (Premio Nobel per la Letteratura 2015)

15 maggio 1989

Di nuovo, il mio solito percorso: dall’uomo
all’uomo, dal documento all’immagine. Ogni
confessione equivale a ciò che nell’arte è un ritratto
del quale non si dice “è un documento” ma si parla
di “immagine”. Un’immagine che evoca il lato
fantastico della realtà. Creare il mondo non secondo
le leggi della verosimiglianza quotidiana, ma “a
nostra immagine e somiglianza”. L’oggetto della
mia ricerca è sempre lo stesso: la storia dei
sentimenti e non della guerra in quanto tale. Cosa
pensavano queste persone? Che cosa volevano?
Quali erano le loro gioie? E le loro paure? E che
cosa ricordano?

Svetlana Alexievich (Ragazzi di zinco, 14-15)

 

Assieme ad altri drammatici eventi che li hanno preceduti e purtroppo seguiti, il 13 novembre 2015 Parigi è stata scossa da una serie di attentati terroristici che hanno tutta l’aria di una guerra contro quei valori su cui la Francia basa il suo motto di liberté, égalité, fraternité, a rispetto di una tolleranza calpestata e denigrata da chi preferisce seminare odio piuttosto che pace. Ed è proprio in questi tempi di guerra che le riflessioni e i libri di Svetlana Alexievich diventano ancora più importanti. Il Premio Nobel per la Letteratura che le è stato assegnato all’inizio di ottobre 2015 non ha soltanto un significato letterario, ma anche e soprattutto un significato storico e politico come portatore di pace e di quei valori umani che vedono nel rispetto per il prossimo un diritto e un dovere di ognuno di noi. In queste considerazioni da Nobel devo anche aggiungere una nota personale, poiché ho avuto il piacere d’incontrare Svetlana Alexievich molti anni fa in Toscana. Allora la scrittrice bielorussa era in Italia ospitata dal Parlamento Internazionale degli Scrittori, fondato nel 1993 a protezione di scrittori perseguitati dai vari regimi, come appunto l’Alexievich. Quando abbiamo discusso di multiculturalismo a Prato e passeggiato per le strade di Firenze era l’estate del 2002 e in quell’occasione la scrittrice mi lasciò una fotografia e un pacco di fogli – quasi tutti in russo – sulla sua storia personale e professionale: l’obiettivo era farne un articolo. A distanza di anni sto onorando quell’impegno preso quando le nostre strade si sono brevemente incrociate, anche se non sono sicura che si ricordi di quella studentessa che allora si occupava di letteratura russa e storia sovietica.

Ancora, perché questo Nobel all’Alexievich è particolarmente importante, dato “for her polyphonic writings, a monument to suffering and courage in our time”, come si legge nel sito del Nobel? Prima di tutto perché è una giornalista che rappresenta il dissenso verso un ordine costituito di tipo sovietico, come quello del presidente bielorusso Lukashenko, che l’ha perseguitata e poi costretta all’esilio proprio per i suoi scritti. Poi perché l’Alexievich è una giornalista di lingua russa che ha indagato e scritto su eventi e situazioni anche particolari che finiscono per acquisire una valenza universale, e tra questi si ricordano la Seconda Guerra Mondiale, la guerra afgano-sovietica (1979-1989) e il disastro nucleare di Chernobyl’ del 26 aprile 1986, indelebile nella memoria di molti di noi, mentre per chi l’ha vissuto “È una guerra che va oltre qualsiasi guerra. L’uomo non ha via di scampo. Né sulla terra, né sott’acqua, né in cielo” (Preghiera per Chernobyl’, 57). Quasi tutti i suoi libri sono stati anche tradotti in italiano, come appunto Preghiera per Chernobyl’ sul disastro nucleare, Ragazzi di zinco sull’invasione sovietica dell’Afghanistan, Incantati dalla morte sui suicidi verificatisi in seguito allo scioglimento dell’Unione Sovietica (1990-1991) e Tempo di seconda mano. La vita in Russia dopo il crollo del comunismo. Un altro libro merita una menzione particolare: il suo primo, ovvero La guerra non ha un volto di donna, sulle donne durante la Seconda Guerra Mondiale, che sta per essere pubblicato da Bompiani. E questa storia anche recente a cui si dedica l’Alexievich è oggi di grande attualità, se non altro per le guerre, tradizionali e non, che ancora dilaniano popoli e paesi, per l’esiguo rispetto riservato alla vita umana e per i rischi contro cui andiamo incontro per via della tecnologia o dei consumi. Non solo. Nei suoi libri, l’Alexievich dà voce alla gente comune: uomini, donne e bambini che sono rimasti intrappolati nelle maglie della Storia con la S maiuscola, ovvero quella fatta dai governi e dai loro statisti e subita da chi non ha facoltà decisionali. Con la sua prosa documentarista, l’autrice finisce per diventare una mediatrice tra queste voci e i lettori, che si trovano a fare i conti con la propria coscienza nel momento in cui leggono storie che potrebbero essere le loro, se non fossero nati altrove.

Leggendo i libri dell’Alexievich si può capire ancora di più perché, con il Nobel, si sia voluta riconoscere la polifonia delle sue testimonianze come monumento alla sofferenza e al coraggio del nostro tempo. Prima di tutto, perché si parla di testi polifonici, il che significa a più voci? Quando si pensa alla polifonia, non si può non pensare ai romanzi di Dostoevskij, di cui Bachtin ne sottolinea “La pluralità delle voci e delle coscienze indipendenti e disgiunte, l’autentica polifonia delle voci pienamente autonome […]. una pluralità di coscienze equivalenti con i loro propri mondi […]. Gli eroi principali di Dostoevskij sono veramente, nello stesso disegno creativo dell’artista, non soltanto oggetti della parola dell’autore, ma anche soggetti della propria parola immediatamente significante” (Bachtin, Dostoevskij, 12-13; in corsivo nel testo). Anche se per certi aspetti ne ricordano l’indipendenza come coscienze autonome, gli eroi dell’Alexievich non sono, però, quelli di Dostoevskij, quanto piuttosto quelli dello scrittore bielorusso Ales’ Adamovich (1927-1994) e delle sue “opere collettive”, come le definisce il traduttore Sergio Rapetti (Preghiera per Chernobyl’, 282). Sempre Rapetti, che ricorda come l’Adamovich rappresenti un Maestro per l’Alexievich, parla del genere dell’opera di questi due scrittori come “romanzo-oratorio”, “romanzo-testimonianza”, “il popolo si racconta”, “prosa epico-corale” (Preghiera per Chernobyl’, 282), un approccio che è ben diverso da quello dostoevskiano: né l’Adamovich né l’Alexievich, infatti, plasmano i loro eroi in maniera creativa e significante, quanto piuttosto operano da veri e propri mediatori tra gli eroi stessi e i lettori.

In un articolo di Svetlana Alexievich, curato da Maria Nadotti e Sergio Rapetti, sui suoi “romanzi di voci”, l’autrice parla della testimonianza corale su Chernobyl’ come “storia dei sentimenti: cosa è successo nella vita delle persone, cosa è cambiato, cosa c’era prima e oggi non c’è più, come si è dovuto reimparare a vivere” (Il romanzo della verità, 12-13). È proprio questo reimparare a vivere con cui ognuno di noi fa i conti in ogni guerra e non solo. Ci facciamo i conti anche quando si susseguono drammi collettivi come l’11 settembre o il 13 novembre, eventi che ci spingono, se non ci obbligano, a rinegoziare la nostra visione del mondo. Ma i libri dell’Alexievich, incluso il toccante Ragazzi di zinco per cui è stata processata dal regime bielorusso, vorrebbero incarnare un unico progetto, ovvero “il libro del piccolo uomo della grande utopia. Un mondo russo che era da un lato romantico e dall’altro spaventoso, pieno di sangue, e il piccolo uomo si è trovato nel punto focale di questa lotta tra il bene e il male” (Il romanzo della verità, 14). Il progetto supera, però, se stesso, perché se la storia del piccolo uomo è presente nella tradizione letteraria russa di cui Dostoevskij ne è un importante rappresentante, l’Alexievich va oltre la finzione dando voce a un piccolo uomo tridimensionale che esce dalle pagine dei testi letterari tradizionali per reinserirsi nella storia, dove questa tensione universale tra il bene e il male è quella che porta la scrittrice e i suoi lettori oltre l’esperienza particolare russa e sovietica. Perché questo? Perché il piccolo uomo è rintracciabile ovunque e in ogni momento della nostra storia, nella quale, come ci ricorda l’Alexievich citando Dostoevskij via Ivan Karamazov, “Una belva non potrà mai essere crudele quanto l’uomo, così raffinatamente, artisticamente crudele” (Ragazzi di zinco, 8).

Nota sulla traslitterazione dei nomi
Si è scelta la traslitterazione anglosassone del cognome dell’Alexievich poiché è quella scelta dalla scrittrice a livello pubblico. Stesso discorso vale per lo scrittore bielorusso Ales’ Adamovich, mentre per Dostoevskij si è lasciata inalterata la trascrizione fonetica più familiare ai lettori italiani.

Testi citati
Svetlana Alexievich, La guerra non ha un volto di donna, traduzione dal russo di Sergio Rapetti, Bompiani, Milano 2015.
Svetlana Alexievich, Incantati dalla morte, traduzione dal russo di Sergio Rapetti, Edizioni e/o, Roma 2005.

Svetlana Alexievich, Preghiera per Chernobyl’. Cronaca del futuro, traduzione dal russo di Sergio Rapetti, Edizioni e/o, Roma 2002.

Svetlana Alexievich, Ragazzi di zinco, traduzione dal russo e postfazione di Sergio Rapetti, Edizioni e/o, Roma 2003.

Svetlana Alexievich, Il romanzo della verità. La storia e il piccolo uomo, a cura di Maria Nadotti e Sergio Rapetti, in “Lo straniero”, nn. 26-27 (agosto/settembre 2002), pp. 12-20.

Svetlana Alexievich, Tempo di seconda mano. La vita in Russia dopo il crollo del comunismo, traduzione e cura di Nadia Cicognini e Sergio Rapetti, Bompiani, Milano 2014.

Michail Bachtin, Dostoevskij. Poetica e stilistica, Einaudi, Torino 1968.

Siti web
Premio Nobel 2015 per la Letteratura
Sito personale di Svetlana Alexievich

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L'autore

Chiara De Santi
Chiara De Santi
Chiara De Santi è Assistant Professor in Lingue Moderne presso Farmingdale State College, SUNY. Precedentemente, come lettrice, ha insegnato una varietà di corsi di lingua, cultura, letteratura e cinema italiani, e discipline cinematografiche presso l’Università Statale di New York a Fredonia.  Ha un Ph.D. in italianistica dell’Università del Wisconsin-Madison, e un Ph.D. in storia e un Masters di Ricerca dell’Istituto Universitario Europeo. Si è laureata in Lingue e Letterature Straniere presso l’Università degli Studi di Firenze, specializzandosi in russo, francese e storia. I suoi interessi di ricerca includono il cinema italiano, italo-americano e hollywoodiano; la cultura, la gastronomia e la storia italiane; la letteratura italiana moderna e contemporanea; l’italiano come L2.