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Il gesto della natura: Julian Schnabel racconta Van Gogh

Una biografia che colpisce dritto al cuore gli spettatori, raccontando i tormenti e le ossessioni di un riferimento assoluto nella storia dell’arte. Arriva nelle sale “Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità”, la pellicola che ha ottenuto durante la scorsa Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia il Green drop award.

Il regista, Julian Schnabel, d’altro canto è prima di tutto un pittore di grande fama a New York e in quanto tale è stato in grado di mostrare in maniera del tutto sincera e schietta gli ultimi e più importanti anni della vita del pittore olandese. Dopo circa venti anni dall’uscita del suo film, Basquiat (1996), Schnabel torna così sulla vita di un altro artista dall’animo sofferto.

Un artista, Van Gogh, che prima di ogni cosa è un uomo e prova emozioni davanti a una terra sconfinata e incontaminata. Un uomo che corre nella natura e che grazie ad essa si sente libero e grida, si commuove, piange, soffre ma più di ogni altra cosa dipinge grazie ad essa. Un uomo che è più vicino a Dio rispetto a un prete, dal momento in cui Dio è natura e la natura è bellezza e gli ha fatto il dono più grande: la sua arte, la capacità di dipingere, anche se incompreso sino alla fine dei suoi giorni. È rappresentata la grandezza di questo uomo attratto dall’essenziale: “Mi sento perso se non ho qualcosa da osservare” dice nel film.

Siamo proiettati così direttamente nella vita di Van Gogh, grazie alla regia di Schnabel che talvolta richiama il gesto netto e veloce della tecnica pittorica dell’artista. Le soggettive permettono un’immediata immedesimazione con il protagonista, la possibilità di vedere la realtà con i suoi occhi: “Volevo tanto condividere quello che vedo, ora penso solo al mio rapporto con l’eternità!” è un’altra sua battuta.

D’un tratto lo schermo nero e il silenzio fanno da cornice alla voce del protagonista/narratore nelle scene di transizione. Questa voce così come noi la percepiamo è per lui un’ossessione, non sa da dove proviene e lo spinge a compiere atti disattesi, come quello estremo di tagliarsi l’orecchio. Ogni minimo rumore, ogni suono arricchisce il film di pathos. Tutto nel film è legato alla perfezione.

 

 

Willem Dafoe come attore protagonista è impeccabile, capace di creare una forte empatia con il pubblico. Dalla gestualità, alle espressioni, ai suoi occhi penetranti tutto trasmette un forte senso di angoscia, dolore, sofferenza. Un Dafoe candidato non solo come miglior attore protagonista ai Golden Globe 2019 ma anche vincitore della Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile.

La colonna sonora di Tatiana Lisovskaya è magnifica, ci culla per tutto il film in una tempesta di sentimenti, fra tormento e sollievo. La fotografia ha dei colori sublimi che riportano all’occhio i colori utilizzati da Van Gogh nella sua pittura; tutto ciò crea una perfetta sintonia con l’attore/personaggio, una magia che riesce proprio grazie al fatto che il regista è lui stesso, in prima persona, un artista.

(l’articolo è stato pubblicato in precedenza in http://www.cassinogreen.it/ )

 

L'autore

Deborah Macrino
Deborah Macrino
Nata il 1° gennaio del 1997 a Cassino. Ho conseguito la laurea in Lettere - comunicazione con una tesi dal titolo "Cinema e Letteratura: indagine sulle relazioni intertestuali e intermediali". Amante del cinema, delle serie TV e Netflix dipendente.