a proposito di... · In primo piano

Editori a Bologna. Maria Gioia Tavoni dialoga con Antonio Bagnoli

Fresco di studi, ovvero subito dopo la laurea, ti incamminasti nel terreno già all’epoca impervio dell’editoria. Sono passati oltre venticinque anni da quella scelta: un traguardo non di poco conto, data la tua ancora giovane età. Rispetto agli esordi ti riconosci oggi in ciò che rappresentavano le tue aspirazioni di allora?

Le aspirazioni, in questi anni, sono state solo ridimensionate dalla realtà, che è sempre diversa da ciò che si immagina quando si inizia un’avventura. Quando sono partito ero mosso da un amore viscerale per la carta stampata, amore che non è mai scemato – anzi posso dire che è aumentato. Avevo in mente di fare tante cose, e devo ammettere che avevo ben poca idea dell’impresa nella quale andavo a imbarcarmi. Per fare un paragone, ero come un uomo molto goloso che si era messo in testa di aprire un ristorante…

Molti editori in questo quarto di secolo in cui l’automazione si è venuta sempre più affermando, spesso intralciandone il cammino, si sono votati al doppio binario: il cartaceo ma accompagnato pure da espressioni digitali. La tua fiducia nel cartaceo resta invece molto salda: che cosa la anima e come sei riuscito a sventare i pericoli sottesi alla pubblicazione e alla distribuzione del libro nella sua veste editoriale?

Per citare Umberto Eco, la forma fisica del libro è assolutamente perfetta per l’utilizzo che ne deve essere fatto, come lo sono le forbici: immutate entrambe da oltre mezzo millennio, non cambieranno mai. Sono abbastanza vecchio per aver vissuto dirette esperienze di libro digitale – ricordo il padiglione a Francoforte nel 2001! – e posso dire che il cartaceo non corre nessun  rischio. È vero che la diffusione dei nuovi device tecnologici ha reso l’ebook un prodotto commercialmente proponibile, ma basta vedere i risultati di vendita per capire che il futuro non può assolutamente essere quello di una sua sostituzione al cartaceo, ma di un affiancamento.

Quando decidesti di dedicarti all’editoria come pensasti di riuscire nell’impresa di renderti ‘visibile’ in una città in cui, da tempo, si registrava un numero considerevole di piccole e medie imprese del libro?

Bologna è una città che è sempre stata molto viva culturalmente – e quindi editorialmente. Il Mulino, Zanichelli, Clueb, Compositori, Forni, Patron, Granata Press, Minerva, e diverse altre erano attive prima della nascita della Pendragon, che è del 1994. La visibilità l’ho conquistata con scelte precise dal punto di vista culturale, accettando di pubblicare saggistica di alto livello a mio rischio, di investire nella varia di qualità e cercando di iniziare una politica di scouting nella narrativa che mi ha dato molte soddisfazioni.

Il tuffo nell’editoria lo iniziasti con una precisa linea editoriale o con un piano solo in parte articolato? Ovvero: il tuo pensiero andò dapprima al catalogo o alla libera conquista di una fetta del mercato con l’escogitare di volta in volta strategie che reputavi al momento idonee? Ha vinto il tuo lato pragmatico o quello più sistematico?

Quando iniziai avevo le idee un po’ confuse; ho però capito immediatamente che l’unica possibilità per poter sopravvivere era quella di poter cambiare con grande rapidità, per cercare di seguire – con la parte “commerciale” del catalogo – quello che il mercato richiedeva. Ti faccio un esempio: tra il 1998 e il 2000 abbiamo fatto tanti libri e una rivista sulla new age, una moda che impazzava all’epoca, traendone ottimi profitti; e intanto finanziavamo la cura dell’edizione critica degli Intercenales di Leon Battista Alberti che abbiamo pubblicato, primi al mondo, all’inizio degli anni Duemila, dopo quasi cinque anni di lavoro. Dei libri di new age– giustamente – nessuno si ricorda più, degli Intercenales continuiamo a vendere decine di copie ogni anno…

Corre d’obbligo la domanda che vedo con piacere lasci si esprima anche in una pagina del tuo sito dedicato all’incontro soprattutto con i possibili autori: sei un editore dal doppio binario, ovvero in grado di assumerti sia ogni onere sia di pretendere che le ‘spese vive’ vengano totalmente coperte. Quale la linea di demarcazione fra questi due distinti poli? Quale il preponderante fra i due?

Questo è sempre stato, dalla nascita della stampa, un punto di discussione molto curioso (a mio modo di vedere). Non c’è nulla di strano, credo, se un libro non vende tante copie: l’offerta è tanta, e magari questo non riesce a interessare il vasto pubblico. Ciò significa che i costi di produzione non vengono coperti, e quindi l’editore ci rimette del denaro. Per questo, molto spesso, anche a malincuore, non si procede all’edizione. Ma se l’autore (che, non dimentichiamolo, è il primo a godere del successo di quello che ha pubblicato, se successo sarà) è disponibile a coprire parte o tutte le spese, l’editore minimizza il rischio e, dal punto di vista imprenditoriale, fa bene il suo lavoro. Nel mio caso la percentuale di titoli “sostenuti” e a mio rischio totale è circa il 50%: a mio carico sono quasi tutti quelli di varia, le riedizioni di classici, i volumi di traduzione e quelli inseriti in determinate collane. Già finanziata è gran parte della narrativa e la saggistica universitaria.

Sempre più spesso si avverte il tuo bisogno di‘accompagnare’ ciò che  produci, un po’ come alcuni editori del passato, soprattutto di consolidate dinastie, erano soliti fare. Un libro non solo infatti lo pubblichi ma lo sostieni personalmente chiamando a collaborare anche specialisti e librerie disponibili alle sue presentazioni. Ciò avviene nella tua Bologna, in particolare con le librerie “Coop”, ma pure con altre ambite istituzioni fuori dalle mura della nostra città. È una strategia che ti sembra abbia un buon ‘ritorno’? E con quali editori del passato ti senti più in sintonia, o quali hai preso a modello?

Questa è forse la cosa che più di altre sento differenzi la Pendragon da altri editori. Fin dalla fase della cura editoriale, abbiamo una redazione che lavora con molta attenzione sui testi e, una volta stampati, ci preoccupiamo sempre di poter dare visibilità ai libri. Ogni anno facciamo oltre 200 presentazioni! Ovviamente non possiamo partecipare fisicamente a tutte, ma seguiamo con cura le location, il rapporto coi librai… Sinceramente non conosco esempi nel passato – e neanche nel presente, per marchi della mia dimensione – che facciano un lavoro così capillare.

A proposito di ‘ritorno’ il tuo grisbì maggiore è dalla oculata quanto ‘affettuosa’ pubblicazione delle carte non solo inedite, di cui sei il solo erede, di tuo zio e pure maestro, ovvero di Roberto Roversi, fra i maggiori intellettuali del Novecento. Anche nei confronti della pubblicazione dei suoi versi metti in campo una personale e particolare strategia o ti lasci coinvolgere da progetti che di volta in volta ti vengono prospettati?

Roberto è stato il mio maestro di editoria e di vita; se la Pendragon esiste lo devo a lui. Fin dalla nascita della casa editrice mi ha seguito e consigliato, offrendomi la ristampa anastatica di «Officina», dirigendo una collana (“L’Arca”), firmando numerose introduzioni e facendomi ristampare molti suoi libri già editi e diversi libri inediti. Alla sua morte mi ha nominato erede dei suoi diritti editoriali, indicandomi che avrei dovuto continuare a fare come lui aveva fatto in vita. Per questo le edizioni che escono ora sono tutte rigorosamente “controllate” da me in modo che non deludano la sua aspettativa. In genere sono io che lancio le iniziative in suo ricordo, ma sono ben lieto quando le idee arrivano da altri.

E infine, legata all’ultima domanda, ve ne è una che mi sta particolarmente a cuore. Il libro d’artista o anche solo la plaquette con inserti artistici pensi possa essere una strada che continuerai a seguire perfino solo per ‘amore’ del «libro bello dentro e fuori», aforisma da me coniato per studio e per passione e che vedo con soddisfazione inverarsi in una piccola fetta del tuo articolato catalogo?

Amo il libro d’artista e le plaquette con inserti; ne ho sempre acquistati ma fino al 2015 mai prodotti (se non quelli per Roversi…). Dopo la pubblicazione del libro che hai scritto con Barbara Sghiavetta Guida per bibliofili affamati mi è venuta invece la voglia di farli, in bassa tiratura, curati, per collezionisti e bibliofili. Hai senz’altro una grande responsabilità in questa mia nuova avventura: è colpa tua! Ad oggi i volumi in tiratura limitata sono una decina, ma sono destinati ad aumentare…

L'autore

Maria Gioia Tavoni
Maria Gioia Tavoni
M. G. Tavoni, già professore ordinario di Bibliografia e Storia del libro, è studiosa con molti titoli al suo attivo. Oltre a studi che hanno privilegiato il Settecento ha intrapreso nuove ricerche su incunaboli e loro paratesto per poi approdare al Novecento, di cui analizza in particolare il libro d’artista nella sua dimensione storico-critica. Diverse sono le sue monografie e oltre 300 i suoi scritti come si evince dal suo sito www.mariagioiatavoni.it