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Ilaria Dinale intervista Stefano Carrai

La traversata del GobiStefano Carrai (Firenze, 1955), professore ordinario presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, oltre alla letteratura e alla filologia si è dedicato con passione all’attività poetica. Nel dicembre 2018, Silvia Argurio lo ha intervistato per Insula europea proprio in merito alla sua personale produzione in versi. Ci troviamo oggi a conversare nuovamente con lui, parlando ancora di poesia ma sotto una luce diversa: una poesia che è sì esperienza personale, ma che non può prescindere dall’attualità, da ciò che circonda il poeta stesso. Parlando della sua raccolta La traversata del Gobi, Carrai dichiarava che «il tema conduttore è ancora e sempre quello dell’essere nel tempo», e adesso non fa che confermare questa sua posizione raccontandoci quanto l’ambiente – tema strettamente legato al nostro tempo – sia importante all’interno dei suoi versi.

Stefano Carrai contribuirà inoltre al Festival europeo della poesia ambientale, che avrà luogo venerdì 22 maggio 2020 dalle ore 18, dando voce ai suoi componimenti.

«Siamo tutti fatti di ciò che ci donano gli altri: in primo luogo i nostri genitori e poi quelli che ci stanno accanto; la letteratura apre all’infinito questa possibilità d’interazione con gli altri e ci arricchisce, perciò, infinitamente. […] Al di là dall’essere un semplice piacere, una distrazione riservata alle persone colte, la letteratura permette a ciascuno di rispondere meglio alla propria vocazione di essere umano» scriveva pochi anni fa Cvetan Todorov (La letteratura in pericolo, Garzanti, 2008). Nella sua esperienza, in che modo ritiene che la letteratura abbia contribuito alla sua formazione da un punto di vista umano?

Nessuna iperbole, dal mio punto di vista, può bastare per rispondere a questa domanda. Ho cominciato a leggere nei primi anni di scuola: Pinocchio, le favole di Andersen, Verne. Ogni volta che prendevo l’influenza, per consolarmi mi regalavano uno o due libri nuovi che letteralmente divoravo. Ricordo un Robin Hood che lessi in una sola giornata. Sì, non era soltanto un piacere, era evasione nel significato migliore del termine: cioè la possibilità di vivere, per qualche ora, le vite degli altri, in luoghi e ambienti diversi da quelli che mi circondavano. Questo ha arricchito enormemente la mia infanzia e la mia adolescenza, facendomi capire presto che il mondo era molto più vasto rispetto ai confini del mio orizzonte e che non era necessario camminare esattamente nel solco dei miei genitori. Ecco, credo che la letteratura inizialmente per me sia stata soprattutto questo: un viaggiare intorno alla mia cameretta proiettandomi verso il balenare di un oltre, verso altre esistenze, non dico migliori o peggiori, ma diverse e che hanno arricchito enormemente la mia esperienza del mondo. Non che poi la lettura abbia conservato sempre questo del meraviglioso o dell’esotico, ma certo è rimasto e rimane ancora oggi il desiderio di immedesimarmi nei personaggi e nelle situazioni che la narrativa propone. Un po’ diverso è ciò che riguarda la poesia, ma solo fino a un certo punto. Come mi piaceva che certi versi esprimessero emozioni che a tratti facevano vibrare anche me, così ancora oggi sono curioso di vedere (o rivedere) come un poeta o un altro siano riusciti a chiudere in un grumo di parole una sensazione e, se possibile, a trasmetterla.

Che cosa significa per lei, in veste di poeta, l’ambiente?

Non credo in una poesia intimista. Non si è veramente poeti, almeno nel mio modo d’intendere la poesia, se non lo si è dentro il proprio cosmo. Ciò significa prima di tutto essere nel proprio tempo, ma anche nel proprio spazio. Ecco allora che l’ambiente equivale al paesaggio, che in poesia può essere più o meno incisivo, ma è sempre importante. In certi casi il paesaggio diventa addirittura un personaggio poetico. Esempio classico: cosa sarebbero Les fleurs du mal senza Parigi? E gli Ossi di seppia di Montale senza le Cinque terre? Non occorre arrivare alla teorizzazione del correlativo oggettivo di Eliot, ma l’ambiente per un poeta è sempre il mondo circostante, quel non-io col quale interagiscono le emozioni, a volte in chiave di proiezione altre come impulsi ricevuti.

Ritiene che la poesia ambientale possa avere un ruolo sociale?

Certo nel XXI l’ambiente è anche un personaggio orrendamente deturpato, le cui mutilazioni e i cui sfregi vanno denunciati, come è accaduto, ad esempio, in certe poesie di Zanzotto. Penso di sì, che la poesia possa avere una funzione in questo campo, a patto però che sia vera poesia. Non credo molto nella poesia a programma o a progetto. Saba diceva che la poesia deve essere onesta, cioè deve nascere da un bisogno incoercibile di cavarsi le parole da un fondo oscuro e non altrimenti sondabile. Può darsi che non debba essere proprio sempre così, ma in ogni caso non può trattarsi di una fusione a freddo. Se le ferite del paesaggio colpiscono solo i nostri occhi, difficile che se ne possa fare una poesia. Bisogna che quelle ferite siano anche le nostre, che siano tutt’uno, voglilo dire, col nostro essere ferito: allora credo che la poesia possa dire qualcosa di suo e acquistare un posto anche nella lotta a favore dell’ambiente.

L’intervista è stata realizzata in collaborazione con Sapereambiente

L'autore

Ilaria Dinale
Ilaria Dinale
Ilaria Dinale si è laureata in Lettere Moderne presso l’Università degli studi di Roma “La Sapienza” con una tesi dal titolo “Scritture poetiche e narrative nei social network. Panorami italiani”. Presso il medesimo ateneo attualmente frequenta il corso di laurea magistrale in Linguistica.