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Paola Del Zoppo intervista Marion Poschmann

Interview auf Deutsch

Marion Poschmann vive e lavora a Berlino. Dal 1989 al 1992 ha studiato letteratura e filosofia tedesca e slava all’Università di Bonn e dal 1992 al 1995 si è specializzata a Berlino. È membro dell’Accademia delle scienze e della letteratura, dell’Accademia tedesca di lingua e letteratura, dell’Akademie der Künste di Amburgo e del Centro Pen Germania. Autrice po­liedrica, ha dato alle stampe diverse raccolte di poesie, saggi, romanzi e racconti. Ha ricevuto tutti i più importanti riconoscimen­ti tedeschi per la prosa e per la poesia, fra cui il “Peter Huchel preis”, “Ernst Mesiter preis”, e il “Berliner Literaturpreis”. Nel 2019 è entrata nella shortlist del Man Booker International Prize con il romanzo Le isole dei pini (Bompiani 2018, tradotto da Dario Borso). Tra le sue opere principali: per la narrativa, Baden bei Gewitter (2002), Schwarzweißroman (2005), Hundenovelle (2008: “Cani del cielo”, Milano, Cairo, 2009, traduzione di Margherita Belardetti), Die Sonnenposition (2013), Die Kieferninseln (2017: “Le isole dei pini”, Milano, Bompiani, 2019, traduzione di Dario Borso). Per la poesia: Verschlossene Kammern (2002), Grund zu Schafen (2004), Geistersehen (2010). È in uscita presso l’editore Del Vecchio la sua raccolta Geliehene Landschaften (“Paesaggi in prestito”, cura e traduzione di Paola Del Zoppo). Per questa raccolta e per l’eccezionale volume di saggi Mondbetrachtung in Mondloser Nacht, Marion Poschmann è stata insignita nel 2017 del “Deustcher Preis für Nature Writing”, un premio, come il nome stesso evidenzia, dedicato esclusivamente alla letteratura della natura, che evidenzia le opere in cui le tematiche della natura e dell’ambiente riescono a declinarsi in estetiche convincenti e di particolare efficacia poetica. Appena uscita in Germania (febbraio 2020) è la sua raccolta poetica Nimbus, in cui la poesia della natura trova un compimento nella sua congiunzione con lo spazio del “canto poetico”. 

Cara Marion, la tua poesia mi impegna e affascina da più di dieci anni. La mia percezione dei tuoi testi potrebbe dunque essere già intessuta nella mia memoria culturale, il che influenza forse la mia ricezione. Quindi ti chiederei di partire da questo. Ci sono poeti, scrittori, pensatori della letteratura europea che per te sono imprescindibili? E si può distinguere in assoluto tra osservare, esaminare e studiare?

Nei miei libri e nelle mie riflessioni estetiche torno sempre a Kant. La mia critica del giudizio e in particolare le analisi sul sublime come categoria estetica mi appaiono ogni volta nuove e interessanti da leggere e considerare. Nella teoria kantiana del giudizio si parte da quei fenomeni che superano la comprensione umana per grandezza e dinamiche, e che in ultimo minacciano di annullare completamente la capacità di comprendere. Eppure è possibile confrontarsi artisticamente con essi “se ci troviamo al sicuro”.

In relazione al cambiamento climatico ci troviamo di fronte a mutamenti che superano la capacità di comprensione del singolo. Si estendono spazialmente su tutto il globo, e oltre, dato che i nostri rifiuti sono già deposti nello spazio, si estendono, in proporzione alla storia terrestre, nei loro effetti sul tempo, che sono invisibili. Se per esempio si pensa alle estinzioni delle specie, si tratta di un processo acceleratissimo, tanto che tempi non percepibili si riducono a un momento minuscolo, un momento breve, in cui accadono cose definitive. Eppure in questo tempo esperiamo come l’effetto dell’umanità concretamente supera la misura umana, in un modo che in tempi prekantiani si poteva ascrivere solo a Dio.

La cosa interessante della concezione del sublime è che il pensiero umano è in grado di identificarsi in una grandezza che supera il proprio orizzonte esperienziale, e rispecchiarvi l’infinito della coscienza. Notoriamente a questo approccio soggiace il pericolo del pathos, della sopravvalutazione di sé, e detto in breve, di un sistema totalitario, motivo per cui per molto tempo è stato svilito. Ciononostante lo si potrebbe modificare letterariamente nella situazione attuale: vedere l’invisibile, pensare l’impensabile, contenere l’eccessivo, ciò che esonda.

Paesaggi in prestito è un diario poetico di viaggio, in cui tramite la lirica della natura viene evocata parodisticamente una autofiction mentre si riscrive la storia umana. I germanisti pensano subito al modello goethiano, laddove nelle poesie un ruolo importante è giocato anche dal richiamo alla poesia “orientale” della natura (con le citazioni di Bashō, ma più in generale nella struttura stessa del volume). Descrizione della natura, relazione uomo-natura e la possibilità stessa di descrivere, riconoscere, la capacità immaginativa sono tutti temi portanti, mentre Spinoza, Hamann e Kant sono fonti dichiarate. Saresti così gentile da riassumere per il pubblico alcuni tuoi approcci letterari – forse filosofici?

Si potrebbe davvero dire che si tratti di un diario di viaggio. Addentrarsi in spazi sconosciuti è effettivamente una caratteristica tipica della poesia. Con una poesia ci si approccia a uno spazio del pensiero che prima non esisteva nello stesso modo, e questo è il suo fascino. I viaggi reali possono forse riverberare un procedimento di questo tipo. Ci si muove verso qualcosa di sconosciuto e quando mancano le strutture note, ci si trova a confrontarsi con il proprio cambiamento, forse anche esteticamente.

Nell’estetica tradizionale delle culture del lontano oriente mi affascina in particolare come natura, cultura e metafisica non vengano percepiti come separati, ma anzi, come nel giardino giapponese, costituiscano una singolarità. Nella poesia giapponese classica, per esempio in Bashō, lo scopo dichiarato della poesia è di sintonizzarsi con la natura tanto da divenire tutt’uno con essa. E allora si può poi sostanzialmente esprimersi dal punto di vista della natura.

Nel contempo la nostra lingua è strutturata in maniera tale da frapporre una distanza tra me e l’oggetto naturale, per dire, un bambù. Questo ci permette di osservare la natura come una materia, una risorsa. Chi parla deve decidere se vedersi come parte della natura o come qualcosa che la affronta.

Per me è importante restituire sempre questo processo. Perché l’atteggiamento verso la natura, così come verso le altre persone, viene definito da questa posizione.

“Tutto può essere un tema” diceva Hilde Domin, e vi costruiva la sua poetologia politica e incentrata sul concetto di resistenza. Per te la natura è solo un tema estetico, o uno stimolo politico? E per la tua poetologia, cosa vuol dire “ambiente naturale”?

Certo che tutto può essere un tema e nel mondo moderno natura può essere anche qualcosa che finora non si era considerato tale, per esempio se parliamo di una distesa di sofà o di un’oasi Wellness. Il mondo poetologico nelle mie poesie non è tanto costituito dal materiale che raccolgo, magari dai libri di biologia, o magari da istruzioni tecniche o articoli specialistici, mentre fondamentali sono le nuove connessioni in cui quegli elementi emergono.

Forme liriche diverse sono per me di volta in volta un focus differente sul mondo, o meglio, diversi setacci, in cui forme di pensiero e di percezione vengono sussunte in formulazioni del linguaggio. Una forma lirica fissa influenza profondamente lo sguardo sul mondo, perché determinati toni, fraseggi, raggruppamenti di materiale verbale vengono resi possibili o impossibili. La decisione per una forma, e vale anche per il verso libero, è l’adozione di un punto di partenza per il mio sguardo sul mondo; un esperimento con una forma di indagine.

Che tipo di poesie hai scelto per il “Festival europeo della poesia ambientale”, e di che trattano?

Nelle poesie prendono forma paesaggi reali, paesaggi artificiali, ma anche e non da ultimo paesaggi letterari. Da una parte si tratta della forza creatrice, la natura naturans, che condivide la natura con la poesia. Altra questione sono le possibilità e i problemi della percezione: come suddividiamo il mondo e i suoi oggetti? Per esempio, gli oggetti della natura appartengono alle risorse o agli esseri viventi? Ma nelle poesie si tratta anche della lingua: con che lingua tentiamo di sussumere apparizioni evanescenti come i fenomeni naturali, il tempo, le stagioni, le atmosfere? E che presupposti letterari influiscono sul modo in cui vediamo e valutiamo?

Che ruolo hanno umanità e natura nelle tue poesie?

Natura è un termine molto ampio, descrive comunemente un ambiente verdeggiante, anche senza requisiti particolari, senza interventi umani, un ambiente incontaminato, ma anche la natura umana. Mi interessa come natura, civiltà e cultura si riflettono l’una nell’altra e se sono davvero in contrapposizione o meno. Nella lirica la natura spesso si identifica con l’idillico, con il silenzio e la quiete e con una certa bellezza innocente, ma si dimentica così che quella natura possiede anche una violentissima forza distruttrice. Tempeste, bufere, slavine, sono fenomeni imponenti e pericolosi allo stesso tempo. Per me è importante mostrare questa ambivalenza. E vorrei anche interrogarmi sull’effettiva contrapposizione tra uomo e natura, e su se e come l’uomo possa considerarsi parte della natura. E in base a quale risposta si viene a definire, si scoprono effetti – per una poesia, ma anche per il mondo.

Ho un grosso debito verso l’epoca della sensibilità (Empfindsamkeit), verso l’illuminismo, il romanticismo, sono le epoche in cui la natura è stata per la prima volta in assoluto tematizzata nelle poesie di lingua tedesca, in cui non era più presente solo come spazio idillico, come staffage, accessorio, bensì assumeva rilievo filosofico. E la domanda che al tempo emerse implicitamente è: la natura è uno spazio interiore o esteriore?

Potresti brevemente accennare alla tua nuova raccolta di poesie, appena uscita da Suhrkamp? In che modo l’invocazione ad Antigone e la riscrittura del mito coniugano natura e poesia?

La mia nuova raccolta porta il titolo Nimbus, il termine latino per “nube oscura”, cioè per il nembostrato. In seguito il significato si è trasposto indicando anche il santo bagliore, l’aureola. Nella Bibbia l’autorità divina viene presentata anche come dio del tempo atmosferico, celato nella nube, che emette lampi e tuona d’ira, e da lì lo spostamento di significato si trasferisce dalla meteorologia alla storia dell’arte.

Alla prima poesia del volume è preposto un motto dall’Antigone di Sofocle nella traduzione di Hölderlin: “Vielgestaltig ist das Ungeheure, und nichts ist ungeheurer als der Mensch” (Tante forme ha il mostruoso e niente è più mostruoso dell’uomo). In questa poesia, e in generale in tutta la raccolta, per me è importante che l’Io lirico non sia all’esterno ad esprimere il suo lamento, ma che, come tutti, sia coinvolto nei processi contemporanei, che ne sia parte, per esempio dello scioglimento dei ghiacci polari, e quindi sta accadendo qualcosa di mostruoso, di enorme, e questo dà a ciascuno un enorme potere, un potere indescrivibile, e quindi una grande responsabilità.

È un atteggiamento che insiste innanzitutto sulla consapevolezza della propria posizione. In questo senso le mie poesie non sono appelli, non sono interventi politici, le vedo più come strumenti di riconoscimento. A me interessa trovare una lingua per ciò che io vivo come un avvenimento nuovo. E per questo la poesia e la scrittura sono – anche qui – più efficaci di altre espressioni del pensiero che denotano maggior sicurezza.

 

 

L'autore

Paola Del Zoppo
Paola Del Zoppo
Paola Del Zoppo insegna Letteratura tedesca al dipartimento DISTU dell'Università della Tuscia di Viterbo e si occupa prevalentemente di studi letterari, critica ed estetica della letteratura e studi culturali e transculturali.

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