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Uno sguardo al Novecento spagnolo. Laura Proja dialoga con Gabriele Morelli

I limiti del metodo generazionale sono sempre più evidenti, per sua stessa ammissione, eppure sembra pressoché impossibile non distinguere per generazioni. Secondo lei, queste classificazioni sono superabili? In quale direzione dovrebbe muoversi la critica letteraria, su questo fronte? 

Nomenclature e classificazioni generazionali, relative alla letteratura spagnola del Novecento come di altri paesi, sono certamente superabili, e il dibattito critico sul tema è da tempo avviato ma finora non ha dato grandi risultati. Occorre infatti uscire dall’inerzia e comodità scolastica di alcuni parametri legati a grandi avvenimenti coevi alla nascita di scuole poetiche o a fatti ed eventi storici di particolare rilievo. Come è stato per la Generazione del ’98, che deve il nome alla sconfitta militare subita dalla Spagna nel 1898 a Cuba e la conseguente perdita delle ultime colonie in America latina; come è anche avvenuto per la Generazione del ’27, segnata dalla ricorrenza del III centenario della morte di Góngora, a cui rendono omaggio i protagonisti di una nuova generazione di poeti (Lorca, Alberti, Guillén, Diego, Dámaso Alonso ecc.). Un’altra data importante ­– come lei sa bene ­– è quella del 1936 che segna l’inizio della guerra civile spagnola. Volendo limitarci a questi dati ci si accorge come questa denominazione sia impropria se non addirittura fuorviante, poiché in effetti i rappresentanti della generazione del ’27 e la successiva formano un continuum poetico, naturalmente con sviluppi diversi dovuti alla tragedia del conflitto nazionale. Una prova eloquente viene dall’omaggio del libro Tres cantos materiales che il Gruppo del ’27 dedica a Pablo Neruda, giunto a Madrid nel 1934. Se infatti guardiamo i firmatari del documento, troviamo accanto ai nomi della prima generazione quelli della seconda che sono appunto Miguel Hernández, Luis Rosales, José A. Muñoz Rojas ecc. La nutrita lista dei partecipanti riunisce inoltre scrittori di dichiarata vocazione antifascista o incipiente fede marxista con altri di diversa formazione ideologica a dimostrazione di un momento di grande coesione fra le diverse correnti che animano la vita culturale del paese. Lo stesso Neruda quando ricorda nei suoi versi il periodo madrileno mescola autori di una generazione con l’altra. Sorge allora spontanea la domanda: perché i diversi distinguo? Semplicemente – possiamo rispondere – per comodità o inerzia mentale, sebbene  tentativi contrari, in genere infruttuosi, siano stati fatti. Un consiglio sarebbe quello di guardare ai contenuti, alla scrittura e ai legami che persistono con la tradizione in contrasto con l’ingresso di nuove estetiche.

Le avanguardie, in Spagna, si svilupparono secondo un percorso molto personale, spesso ciò si evidenzia con il paragone con la Francia, dotata di un terreno ben diverso e ben più fertile. Se confinate alla Spagna, quanto si distinsero dalla tradizione e, soprattutto, in che misura influenzarono le correnti successive? In altre parole, le avanguardie del XX secolo, possono dirsi davvero “consacrate” in Spagna?

La domanda, anzi le domande che lei pone hanno già alimentato il dibattito critico aperto in Spagna nel momento del tumultuoso ingresso dei movimenti d’avanguardia. Per esempio Dámaso Alonso, maestro riconosciuto dei poeti del ’27, estraneo se non ostile all’avvento dei nuovi Ismi – condizionato dalla pregiudiziale di una visione della letteratura spagnola colta come continuità di valori tradizionali – corregge in seguito tale pregiudizio, pur mantenendo una certa riserva verso tutto ciò che è innovazione e modernità. Ma ancora oggi ci si continua a interrogare se i movimenti d’avanguardia hanno radice spagnola, o se invece sono il risultato dell’influenza esercitata dalle nuove estetiche moderne provenienti soprattutto da Parigi. A questo proposito è sufficiente aprire le riviste d’avanguardia dell’epoca (“Grecia”, “Ultra”, “Alfar” ecc.) per vedere quanti autori francesi collaborino e come sia presente anche l’influenza del manifesto futurista di Marinetti o quella esercitata da Vicente Huidobro, straordinario poeta cileno trapiantato a Parigi ma vissuto anche a Madrid, teorico del movimento creazionista vicino all’estetica cubista.

Esiste tuttavia una peculiarità che distingue l’esperienza spagnola da quella francese: un atteggiamento individualistico più marcato e meno eterodosso rispetto ai canoni affermati dalle moderne estetiche. In ogni modo una visione del mondo difficile da inserire tout cour in un movimento specifico, i cui protagonisti accolgono solo alcuni aspetti e rifiutano, come avviene per l’ultraismo, qualsiasi appartenenza a un dogma o una estetica precisa.

Il Surrealismo spagnolo, in particolare, sembra avere dei tratti abbastanza sfumati, e sembra andare molto più “dentro” la realtà che non “sopra”. Lei, ad esempio, cita García Lorca («Non è surrealismo, attento! La coscienza più chiara li illumina!»). È possibile tracciare, in questo senso, una linea di congiunzione con il Realismo Magico e Borges?

In effetti è del tutto peculiare l’esperienza del surrealismo spagnolo, chiamato superrealismo. Oreste Macrí aveva già osservato, richiamando la lezione orteghiana della cultura spagnola erede dei valori naturali, la specificità del movimento che attinge al substrato istintivo e primigenio, antidoto alla scrittura automatica, privilegiando l’uso di un linguaggio onirico, espressionista. Come lei ha giustamente ricordato, richiamando le parole di García Lorca, esiste una peculiarità, una differenza più che una vera frattura con la scrittura automatica di Breton, poiché l’esperienza spagnola del surreale non annulla ma rivendica la presenza dell’io, come ha più volte ha affermato anche Vicente Aleixandre e, soprattutto, afferma un maggiore aderenza al reale immaginario, così presente nella tradizione andalusa (el cante jondo, l’amore per la corrida, il mondo dei gitani, l’arte, le poesie di Picasso) a cui attengono molti autori. Per quando riguarda Borges, che negli anni Venti soggiorna in Spagna e collabora con la sorella Norah, grande artista e critica d’arte, alle più importanti riviste del movimento ultraista, da cui poi si allontana, il suo realismo magico mi pare più legato al mondo culturale della tradizione argentina e in genere latinoamericana, sebbene nel suo caso si imponga il gioco dell’intelligenza e la specificità di una scrittura che domina il testo poetico come il testo narrativo.

Sotto il regime franchista, è possibile affermare che alcune arti abbiano saputo camuffare meglio di altre la critica antifranchista e aggirare la censura?

Sì, soprattutto la poesia, riservata a pochi eletti e in genere apparsa ermetica ai responsabili della censura, spesso incapaci di cogliere il messaggio sotterraneo di critica contro Franco. Ciò non avviene invece con il teatro e il racconto, soggetti a un duro controllo.

Un caso controverso riguarda Cela, autore del libro Pascual Duarte, a cui anche fa riferimento nel libro. In che misura la sua celebrazione, che persiste ancora oggi, dipende dal campo di potere? Vi è davvero una critica antiregime?

Il romanzo Pascual Duarte di Camilo Cela non è una critica orientata a colpire apertamente il regime di Franco: di certo un lettore sensibile e attento alla storia spagnola può vedere nell’orrore della cupa tragedia che domina il racconto il segno manifesto di un malessere generale dovuto alla situazione politica. Ciò spiega l’intervento della censura che proibisce la pubblicazione del libro, non solo per l’efferatezza della storia e gli episodi di aperto erotismo presenti nel romanzo, ma perché presenta nel suo spaccato sociale e culturale un possibile riferimento della Spagna dell’epoca.

Dopo la caduta del regime, la Spagna entra in una fase storica piuttosto ombrosa che si protrae, formalmente, al 2007 con l’emanazione della “Ley de la memoria histórica”. In questo arco di tempo, come si sono poste le varie arti nei confronti di questo contesto politico-sociale?

Il libro dedica a questo tema il capitolo Il dopo Franco dove, nelle pagine a disposizione, cerca di illustrare il processo di trasformazione del paese dopo la morte del dittatore, che va sotto il nome di Transizione. Un periodo che vede Juan Carlos, incoronato re di Spagna. Segue il tentativo di insurrezione militare da parte del tenente della Guardia Civil Antonio Tejero, stroncato dal decisivo intervento del re e, poco dopo, il riconoscimento ufficiale della nazione spagnola che entra finalmente nel novero delle grandi democrazie europee. Infine nel 2007, l’emanazione della “Ley de la memoria histórica”, approvata dal governo socialista guidato da José Luis Rodríguez Zapatero, mentre continua la lotta del terrorismo basco. Resta ancora aperto il conflitto creato tra il governo centrale e la Catalogna, dopo il recente atto di autodeterminazione di indipendenza approvata dalla Generalitat di Barcellona.

Durante queste stagioni, la letteratura, come le altre arti spagnole, alterna momenti di denuncia politica e preoccupazione sociale in cui dominano forme vicine al neorealismo italiano, dovute al ricordo ancora vivo della tragedia della guerra civile e la lunga dittatura imposta da Franco, ma in seguito si aprono a strutture moderne e trasgressive di rappresentazione, assai evidenti nel romanzo, nel cinema, come nella pittura, scultura e architettura, che aprono nuovi spazi di riflessione e indagano sul senso misterioso della vita.

L'autore

Laura Proja
Laura Proja si è laureata in Letteratura spagnola presso l'Università di Perugia. Attualmente frequenta il corso di laurea magistrale nella Università di Roma "Sapienza".