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Giordano Falzoni, l’avventura intellettuale di un uomo curioso

In una lettera del 15 ottobre 1975 indirizzata allo scrittore palestinese Elias Sanbar, Deleuze apre il suo saluto all’amico con alcune battute – «a forza di dire mi dispiace, ci sto prendendo l’abitudine» – che penso possano essere azzeccate per scusarmi con Teresa Nocita se soltanto oggi, con grande e grave ritardo, riesco a concentrare poche parole per recensire il brillante volume da lei curato qualche tempo fa e che accorpa la variegata attività di Giordano Falzoni (Zagabria, 1925 | Milano, 1998), un battitore libero della cultura, ricordato da qualcuno come quello dell’arte surrealista, da qualcun altro come l’attento traduttore o ancora come l’uomo di spettacolo o come creatore analitico di piece metateatrali (Teatro da camera, Rizzoli 1965, è forse la sua opera più nota) dal modello, forse, di stampo situazionista, con venature artaudiane. «Il mio teatro ideale», scrive in un testo (Teatro: presente e futuro) pubblicato sulla rivista il Verri, «presuppone la demolizione della solita gerarchia teatrale: somiglia più a una comunità anarchica che alla monarchia costituzionale del binomio autore-regista» e tra l’altro «presuppone l’eliminazione della barriera tra pubblico e attori».

Figura solitaria della transfuga, capace di non arenarsi in un unico comparto del sapere ma anzi di spaziare con disinvoltura dal mondo della pittura al territorio del teatro e del cinema o della letteratura per l’infanzia e appunto della traduzione – puntuali, raffinate e fortunate quelle dei volumi di Breton (quella Nadja ha una nota di Lino Gabellone) – Falzoni è oggi finalmente restituito al pubblico nella sua vivace poliedricità, nel suo veloce camaleontismo che cavalca e scavalca il proprio tempo con una curiosità che spinge sempre l’acceleratore sull’arteria della futuribilità.

Il suo volume di Opere. Letteratura, teatro, cinema, arte, società (276 pagine, 24 euro), pubblicato dal ravennate Longo Editore e curato appunto da Teresa Nocita a cui va il merito di aver riorganizzato, dopo tanto tempo di silenzio, uno studio sistematico sull’opera di questo artista totale, ci offre un corpus di interessi davvero plurali che oscillano da una ramificazione creativa a una più strettamente legata a occasioni di critica d’arte, letteraria e cinematografica, di costume e sociale. «Il disegno industriale, che si applica alle carrozzerie delle automobili come ai paralumi, agli apparecchi elettrodomestici come ai mobili, è il denominatore comune di un gusto cosmopolita, che ha lasciato dietro di sé la nostalgia delle tradizioni locali», rileva in un testo (Dilettantismo, ottimismo) dedicato all’arte.

Ci sono, nella elegante e rigorosa ricognizione che ci viene ridata fra le mani in una veste che definirei alquanto eburnea, accanto all’imperdibile saggio introduttivo di Nocita – e consiglio vivamente i nostri amici di leggere anche un suo articolo (Giordano Falzoni, profilo letterario di un artista) pubblicato il 24 marzo 2019 sull’indimenticabile alfabeta2 – tutta una serie di brillanti riflessioni e di precise analisi su questioni o figure dell’arte. A pagina 206, ad esempio, inizia Musica e pittura, un dibattito su Piero Dorazio dove Falzoni tocca il nervo scoperto di una poetica che ha sempre lavorato tra il mentale e il materiale, tra il materiale e il manuale. «Bisogna anche considerare che Dorazio è un pittore della sua generazione e che, siccome la storia dell’arte non salta mai le tappe, lui deve ancora affrontare questo problema su un piano che potremmo chiamare artigianale. Ha la visione già degli sviluppi futuri, ma non si può sganciare dalla sua condizione, che è ancora, direi, una condizione, nei sensi più nobile, artigiana».

Nel suo articolarsi, il volume propone inoltre una piccola finestra, inserita nell’ampio raggio della sezione sul teatro, dedicata ai bambini. Si tratta di quattro lavori speciali – La cicala e la formica, La bella pianta verde, La fontanella di Pipolo e Polipo, Sotto l’albero – con cui l’autore mostra il proprio mettersi all’ascolto dei più piccoli, giocare con loro e aprirsi a un mondo infantile dove la fantasia senza fili è sempre modulata e giostrata con una scrittura (spiritosa) governata da regole: «ma tu che cosa hai trovato sotto l’albero?» chiede una Bambina nel Dialogo per due bambini o per due bambine o per un bambino e una bambina alla radio o al magnetofono. Il bambino risponde, e si sente quasi l’odore di una voce dolce che viene da lontano: «ho trovato te (cala il sipario)».