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Cos’è una biblioteca? Chi è il bibliotecario? Mario Coffa intervista Anna Maria Tammaro

Interview in English

Anna Maria Tammaro è Editor in Chief della rivista Digital Library Perspectives ed Editor della rubrica Digital Heritage della rivista International Information and Library Review. Dal 2000 insegna a Parma nel Corso di Laurea Triennale con l’insegnamento “Editoria Digitale” e nel Corso di Laurea Magistrale con l’insegnamento “Biblioteca Digitale” e ha coordinato due Master Internazionali tenuti in lingua inglese: il MAIS International Master (International Master Information Science) e il Master Erasmus Mundus DILL (Digital Library Learning). Ha progettato e implementato (2016) il MOOC “Digital Library in Theory and Practice” nella piattaforma europea EMMA. È Director at Large di ASIS & T ed è stata Segretario del Capitolo Europeo di ASIS & T e Funzionario della SIG Digital Library e SIG Education for Information. È stata presidente della sezione IFLA Education and Training (2007-2011) e presidente della sezione IFLA Library Theory (2013-2017); è membro del consiglio di amministrazione dell’IFLA (2007-2009; 2011-2013).

Iniziamo dalle origini: come e cosa ti porta, lungo la tua lunga e ricchissima carriera, ad avvicinarti al mondo del libro, dell’editoria digitale e dunque delle biblioteche?

Vorrei prendere spunto dalla mia carriera per disegnare brevemente la storia dell’automazione delle biblioteche che ho vissuto insieme a tanti colleghi della mia generazione. Nel 1972 ho iniziato a lavorare come bibliotecario presso l’Università di Roma, era il primo concorso per il ruolo di bibliotecario accademico. Fin dall’inizio sono stata impegnata nell’automazione bibliotecaria e sono diventata una pioniera dell’innovazione dei servizi applicando le tecnologie più avanzate. Ho collaborato ai primi servizi in linea per gli utenti remoti, come ad esempio il catalogo dei periodici ora chiamato ACNP, il catalogo in linea delle quattro Università del Lazio (Progetto COBBUL), ALMATel un lavoro cooperativo per costruire un portale Web, il prestito interbibliotecario attuando l’interoperabilità tra software, il servizio per interrogare le prime banche dati in linea, infine il lancio di Firenze University Press. Nel 2000 ho vinto un concorso di ricercatore presso l’Università di Parma ed ho cominciato la mia carriera accademica con il primo corso sulla biblioteca digitale ed i corsi collaborativi tra università estere.

Ogni progetto di automazione implica la riorganizzazione del lavoro. Questo è il compito dei leader e non può essere delegato ai burocrati. Ho incontrato amministratori e politici che hanno avuto fiducia in me fin da giovanissima. Il Rettore Ruberti mi incaricò del coordinamento dell’automazione delle biblioteche universitarie del Lazio. Mi sono poi trasferita a lavorare all’IUE (Istituto Universitario Europeo), poi presso Università di Bologna e Università di Firenze sempre con incarichi di coordinamento delle biblioteche universitarie.

Riprendo la tua triade: libro-editoria-biblioteca per aggiornarlo e commentarlo. L’aggiornamento necessario riguarda i servizi di informazione. Anche in Italia ora usiamo un’altra triade per definire la disciplina, in sigla LIS Library Information Science. Nel tempo biblioteconomia è stata combinata e contrapposta a Bibliografia, Bibliologia, Documentazione, Scienza dell’informazione. La differenza tra i vari concetti non è di forma ma sostanziale ed in Italia la radicalizzazione dei termini ha portato addirittura a storture come teorizzare la divisione tra la comunità dei biblioteconomi (accademici) dalla comunità dei bibliotecari (professionisti). LISRDS (Istituto Studi sulla Ricerca e Documentazione Scientifica) del Prof Bisogno è stato il centro della Documentazione in Italia guidando le prime esperienze di automazione delle biblioteche e dei servizi d’informazione. Riconosco che frequentare l’ISRDS è stato per me una vera fortuna: ho potuto apprendere in un contesto internazionale i principi teorici e pratici della Scienza dell’informazione. Sono davvero dispiaciuta che con la precoce scomparsa del Prof. Bisogno, l’ISRDS sia stato chiuso e le nuove generazioni abbiano perso questo centro di riferimento internazionale e disciplinare.

Altro commento che mi sento di precisare è che innovazione non significa improvvisazione, al contrario implica studio e formazione continua. Questa precisazione è necessaria perché spesso mi sorprende sentire egregi colleghi italiani affermare che la formazione non serve. Decisamente posso affermare che non avrei ottenuto gli stessi risultati se una volta assunta io avessi smesso di studiare. Alcuni corsi hanno influito molto sulla mia carriera, come la Scuola di specializzazione della Scuola Archivisti e Bibliotecari, i corsi di specializzazione di Informatica e Scienze umanistiche di Tito Orlandi, il corso di programmazione Cobol presso la Facoltà di statistica, tra tutti i corsi quelli che veramente hanno trasformato il mio modo di comportarmi sono stati il Master e PhD che ho fatto presso la Northumbria’ University a Newcastle.

Professionalmente il tuo raggio d’azione va anche oltre i confini italiani e conosci molto bene il panorama internazionale; questo ti ha permesso di avere una panoramica molto ampia di quello che succede in Italia anche rispetto ad altri paesi. Che ci puoi dire a riguardo?

Vorrei chiarire che la biblioteconomia internazionale e comparativa va intesa come definita da Peter Lor nel suo libro “International and comparative librarianship” (2019): la dimensione internazionale serve a estendere la cooperazione tra biblioteche, lasciarsi ispirare da buone pratiche, sviluppare la teoria biblioteconomica. Penso che sia un errore distinguere tra una professione nazionale ed una internazionale. Descrivere le differenze ad esempio tra le cosiddette biblioteconomia anglosassone e biblioteconomia del sud Europa non ha base scientifica, evidenzia solo una pericolosa tendenza ad isolarsi.

La società è in profondo mutamento ed IFLA ha individuato almeno cinque tendenze che hanno forte impatto sulle biblioteche in tutto il mondo. La trasformazione delle biblioteche è un fenomeno globale e le biblioteche italiane non fanno eccezione. C’è un principio che accomuna la trasformazione globale delle biblioteche: l’utente va messo al centro. Tutte le biblioteche riconoscono l’importanza di questo principio utente centrico, ma la realizzazione varia: la variante è data dalla visione della biblioteca che si persegue e dalla metodologia professionale per il disegno di servizi nuovi o rinnovati.

Detto questo, fare confronti con le altre biblioteche, a cominciare da quelle europee, può essere utile per capire meglio come applicare i concetti ed i principi della biblioteconomia a diversi contesti e diverse comunità. Ad esempio durante il mio incarico nel CEN AIB ho organizzato un viaggio di studio in Svizzera per esplorare le soluzioni realizzate per Open Access e Information literacy nelle biblioteche svizzere e prendere ispirazione da buone pratiche.

In Italia c’è un limite alla cooperazione internazionale data dalla lingua. Per contrastare questo problema mi sono adoperata per far tradurre il manuale di metodi di ricerca di Alison Pickard (2008) e la trilogia di Lankes (Atlante della biblioteconomia moderna 2013; Biblioteche innovative 2020; The New Librarianship Field Guide in traduzione).

Ho scelto il manuale sulla metodologia di ricerca di Pickard, perché questa è la metodologia alla base di una buona gestione. Inoltre è un pilastro per ogni programma di advocacy, che ha bisogno di evidenza di dati e fatti. I metodi di ricerca includono l’analisi: bisogna saper evidenziare cosa migliorare e saper dare un seguito operativo dopo aver analizzato bisogni e aspettative degli utenti. Leggendo la letteratura professionale italiana è evidente la lacuna nell’applicazione dei metodi di ricerca. Ad esempio nei programmi di information literacy difficilmente i bibliotecari italiani partono da un’indagine dei bisogni degli utenti, allo stesso modo alla fine del corso raramente fanno una valutazione dei risultati o meglio ancora dell’impatto.

La visione e la missione della biblioteca di comunità spesso manca, o non ha una linea di sviluppo chiara, inoltre non c’è abbastanza concentrazione sulle comunità. Mi sembra che le dichiarazioni ufficiali di Mission siano piene di parole altisonanti e che spesso applicano modelli concettuali elaborati da personaggi influenti come occhiali per vedere la biblioteca, ma ignorano le comunità. Anche di fronte all’evidenza di alcuni insuccessi non si riflette mai abbastanza sulle lezioni apprese. La traduzione di Lankes mira a guidare il disegno partecipativo dei servizi che è alla base della biblioteconomia moderna. Ben lungi da essere una dottrina, i tre libri sulla biblioteca di comunità (il terzo in fase di traduzione) chiariscono criteri e metodi da applicare per diverse comunità.

Ormai dal 2007 fai istituzionalmente parte, in ruoli diversi, del mondo IFLA. Secondo te, che obiettivi e che prospettive possono presentarsi a breve e lungo termine per le biblioteche e i bibliotecari in termini di riconoscimento professionale? IFLA e la associazioni nazionali, che ruolo hanno in questo?

Dal 2000 ho cominciato a collaborare in IFLA Section Education and Training SET, per il mio PhD volevo indagare i criteri di qualità della formazione universitaria. Il rapporto che ho realizzato per conto di IFLA è un documento guida ora in aggiornamento. Nel 2016 ho guidato una ricerca globale sul profilo del Bibliotecario dei dati. Qual è filo comune? l’identità che caratterizza la professione guida la trasformazione dei bibliotecari come la nascita di nuovi profili.

Il paradosso è ora che la società mette in dubbio il futuro della professione, proprio quando i bibliotecari potrebbero dare il loro meglio per contribuire a migliorare la società ad esempio adoperandosi per contrastare le disuguaglianze, dare capacità di pensiero critico e contribuire alla giustizia sociale. IFLA guida la realizzazione della Visione Globale delle biblioteche come paladine di una società migliore ed ha la responsabilità di fare “advocacy” a livello internazionale e sovranazionale. L’approccio di IFLA è quello di incoraggiare le Associazioni professionali a tenere alto il livello professionale dei loro soci e fare advocacy a livello locale e nazionale. Da questi sforzi congiunti, il riconoscimento del ruolo professionale dei bibliotecari sta migliorando. Le strategie usate per tenere alto il livello professionale sono due: una interna ed una esterna alla comunità professionale. Quella interna è diretta al professionista che ora è consapevole della sua responsabilità sociale e stimolato ad accrescere il suo portfolio di esperienze e conoscenze. La strategia esterna è diretta a rendere consapevole la società di quello che deve aspettarsi dai bibliotecari realizzando programmi attivi di advocacy.

Non esiste però una terza strategia, cioè quella di riconoscimento per legge: ad alcuni bibliotecari so che piacerebbe tale automatismo, un’investitura d’ufficio di un’istituzione accreditata. Nelle interviste del tuo lodevole progetto Library World Tour tu chiedi sempre ai professionisti da tutto il mondo una domanda sul riconoscimento professionale. Cosa intendi? non intendi riconoscere il livello minimo vero? ci sono problemi enormi della società, i bibliotecari devono responsabilizzarsi e dare il loro massimo non il loro minimo, sono professionisti, non burocrati! Trovo molti giovani colleghi italiani in giro per il mondo, con carriere di successo e sempre mi chiedo: Potrebbero tornare in Italia ed avere il riconoscimento ? La risposta che spesso mi do è negativa. Ma non perché non esistano strumenti legislativi e procedure per stabilire l’equipollenza dei titoli accademici, gli strumenti ci sono tutti! la ragione del mancato riconoscimento di chi volesse tornare, sta nel problema che non esiste in Italia un livello professionale adeguato alle loro competenze (equivalente al 7 o 8 del sistema europeo EQF).

Anche AIB è vittima di questa tendenza al ribasso: ha scelto la Norma UNI come standard unico per tutti i bibliotecari ad un livello di base (5-6 EQF). La formazione continua è stabilita anch’essa al minimo possibile: un credito all’anno, solo 25 ore dedicate all’apprendimento. I bibliotecari italiani sembrano essere soddisfatti di questa scelta al ribasso! Io penso che i bibliotecari italiani si sottovalutano, hanno scelto di essere modesti e tenere un profilo basso, accettano anche contratti sottopagati forse perchè vogliono continuare a fare il lavoro più bello del mondo, sostanzialmente però rinunciano al ruolo professionale di migliorare la società.

Sei membro fondatore di AIUCD (Associazione Italiana Informatica Umanistica e Cultura Digitale); social media, piattaforme digitali e digital literacy: in che modo le biblioteche si stanno adeguando a questa “rivoluzione” (peraltro ormai in atto da anni)?

Le tecnologie hanno avuto un impatto su tutti i settori a cominciare dalle professioni dell’informazione, ma ogni settore ha scelto di trasformarsi o come tu dici fare la “rivoluzione” da soli, come silos a compartimenti stagni. Questo momento storico di cruciale importanza ha evidenziato che il discorso di identità professionale, spesso si concentra nel mettere paletti disciplinari da parte di gruppi dominanti e nel fissare confini tra discipline. Purtroppo sono proprio i docenti i maggiori responsabili di queste rigidità.

Le scuole di informazione (“iSchools”) hanno fatto una scelta diversa e affrontano diversamente il rapporto tra informazione, tecnologia e persone. Questo è caratterizzato da sinergia tra diverse discipline per l’apprendimento e la comprensione approfondita del ruolo dell’informazione nelle attività umane. Le iSchools sono quindi nate con lo scopo di favorire la “fertilizzazione” multidisciplinare.

Non si può parlare di rivoluzione interdisciplinare in Italia, ma neanche di fertilizzazione multidisciplinare. Le prime Scuole di informatica sono nate in Italia negli anni 70 senza collaborazioni con il settore umanistico. Posso però nominare alcune esperienze di eccellenza che vanno nella direzione dell’interdisciplinarietà. La prima è quella del Dipartimento di Ingegneria di Padova con Maristella Agosti che ha sempre cercato collaborazioni con esperti di Area umanistica. L’altra è quella al CNR di Pisa con Costantino Thanos e Bruna Baldacci. Ancora oggi queste esperienze ben rappresentano la collaborazione interdisciplinare organizzando il convegno multidisciplinare sulla Biblioteca digitale Italian Research Conference on Digital Library (IRCDL). Il mio passaggio al Dipartimento di ingegneria dell’informazione nel 2012 si pone in questo contesto di collaborazione interdisciplinare. Continuo a collaborare con il Dipartimento per alcuni progetti europei che si occupano di dati di ricerca, giochi e formazione, in cui è necessario un team interdisciplinare.

L’esperienza dell’informatica umanistica con AIUCD mi ha fatto sperimentare l’importanza di una disciplina più ampia come la Scienza informazione che offre principi e un quadro teorico per tutti i settori dell’informazione. Nel 2016 abbiamo organizzato un Seminario a Firenze presso la Biblioteca Umanistica dal titolo “Digital Humanities, Digital Libraries and Information Science: what relationship?”. Questo Seminario ha evidenziato alcuni risultati positivi di collaborazione transdisciplinare, come la Biblioteca digitale di Latino di Maurizio Lana. Ha anche evidenziato che esistono alcuni temi di interesse comune, come l’organizzazione della conoscenza. Le sinergie possono quindi essere rappresentate da un modello basato sul ciclo dell’informazione. Tuttavia questo punto di partenza trova un ostacolo che inaspettatamente rinasce: la separazione tra “biblioteconomi” e bibliotecari. C’è una differenza tra la pratica della LIS (biblioteconomia, archivistica, gestione dei documenti, gestione delle biblioteche) e la disciplina accademica della LIS. AIUCD finora non ha fatto esplicito riferimento alla LIS come disciplina.

In sintesi, la Scienza dell’informazione è quella scienza che comprende i vari problemi interdisciplinari e multidisciplinari del ciclo dell’informazione ed è essenziale per i fondamenti teorici che offre. Io posso dire che ho trovato in ASIS&T una comunità multidisciplinare in cui mi riconosco perfettamente. Mi occupo di Professional Development, stiamo organizzando una Conferenza globale per 24 ore e il Summit per l’Information Science nel 2022 a cui spero anche i bibliotecari italiani vorranno prender parte.

Infine: cos’è per te una biblioteca? Chi dovrebbe essere il bibliotecario?

Di solito si dà a questa domanda una prospettiva temporale, associata al passato o al futuro ma si trascura il presente. Rispondo alla tua domanda nella prospettiva dell’innovazione presente: la biblioteca di comunità c’è in Italia?

Durante il primo Library World Tour di Lankes, sono state organizzate una serie di Conferenze dal titolo: “Rinascimento delle biblioteche”, che hanno introdotto la discussione in Italia sulle biblioteche ed il bibliotecario di comunità. A distanza di tre anni è stata pubblicato un Dossier da Biblioteche oggi (maggio 2020) che include la descrizione di circa dieci biblioteche di varia tipologia istituzionale che hanno avviato servizi innovativi con comunità partecipative. Sono tre i pilastri a mio parere su cui si basa il rinascimento delle biblioteche in Italia.

Il primo pilastro sono sicuramente i bibliotecari. Chi intraprende il disegno di servizi innovativi per la biblioteca di comunità deve saper fare un profondo cambiamento culturale assumendo chiaramente un ruolo sociale e lasciando un approccio impiegatizio. Penso ad un bibliotecario come la “Greta” delle biblioteche, che si prende la responsabilità di diventare proattivo in una società ingiusta, ha il coraggio di prendere posizioni impopolari contro la disinformazione, è a favore degli esclusi e capace di saper comunicare alla società l’urgenza di certe azioni. Alcuni bibliotecari stanno già assumendo questo ruolo sociale e dimostrando nei fatti come si può migliorare la società. Non finiscono mai di sorprendermi: mi immagino che ogni mattina quando entrano in biblioteca si chiedono: cosa farò per sorprendere oggi la comunità? cosa potrà migliorare la loro giornata? I risultati migliori riguardano le partnership che sono state avviate, le nuove alleanze ad esempio per gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Va ancora chiarito tuttavia meglio il ruolo allargato di supporto alla democrazia che include (ma non si limita) l’accesso all’informazione.

Il secondo pilastro è quello di concentrarsi sulla Comunità. Le comunità non sono però gli utenti affezionati, quella élite intorno al 20% che usa abitualmente le biblioteche. Le comunità sono gli esclusi, i tanti tra quel rimanente 80% di non utenti che hanno bisogni diversi perché le comunità sono diverse. Le comunità sono non solo quelle collegate a biblioteche pubbliche ma includono comunità legate a università, istituti di ricerca, scuole, ospedali, ministeri. Entrare in “empatia” con le comunità significa saper partire dai loro problemi di vita. C’è ancora molta ambiguità in Italia nel definire il concetto di Biblioteca di comunità (ed altri neologismi che declinano il sociale) perché si parte dalla biblioteca (cioè si è ancora Biblioteca-centrici) invece che partire dalla Comunità. Ci sono dei Manifesti inoltre, che seppur nati per chiarire l’intenzione delle biblioteche di essere Comunità-centrici,

deludono perché restano pieni di propositi e promesse. La biblioteca di comunità parla coi fatti, più che pronunciare promesse e fare chiacchiere.

Il terzo pilastro riguarda i servizi innovativi che caratterizzano la biblioteca di comunità (cioè non solo collezione, non solo spazio fisico). Questi sono i servizi che vogliono risolvere un problema della società, che sono co-creati e gestiti insieme alla comunità seguendo pratiche come il Design thinking, che pianificano un impatto misurabile sulle comunità. La disponibilità da sola di servizi innovativi non genera di per sé un impatto: bisogna chiarire che non è impatto dare numeri come utenza attratta in biblioteca e aumento della frequenza del pubblico. Siamo pieni di creatività, ci sono molti servizi innovativi, ma non sappiamo ancora valutare il loro impatto. Diciamo che siamo un po’ “farfalloni” e non usciamo da una fase di sperimentazione continua.

Dopo l’esperienza del COVID-19, abbiamo un momento pieno di opportunità: tutte le biblioteche italiane hanno sperimentato che la biblioteca offre servizi pur se la collezione è inaccessibile e lo spazio fisico “serrato”. Hanno raggiunto nuove comunità che non erano mai entrate in biblioteca in questa situazione così critica. Hanno capito l’importanza di restare connessi ogni giorno con le comunità in una comunicazione bidirezionale. Per concludere, mi aspetto in questa fase ricca di opportunità un rinascimento delle biblioteche che parta da una nuova generazione di bibliotecari professionisti. Allora Mario, a cambiare comincia tu!

L'autore

Mario Coffa
Mario Coffa
Mario Coffa archivista e bibliotecario, laureato in Conservazione dei Beni Culturali presso l’Università degli Studi di Perugia (2005) e diplomato in Archivistica e Paleografia presso la Scuola di Archivistica dell’Archivio Segreto Vaticano (2010). Dal 2010 Lavora per CAeB (Cooperativa Archivistica e Bibliotecaria) presso le biblioteche dell’Università di Perugia come bibliotecario e come archivista presso l'Archivio Storico del Comune di Gubbio. Si occupa di Biblioteche Digitali e formazione in ambito di biblioteconomia digitale. Nel 2014 membro del Comitato Esecutivo Regionale dell’Associazione Italiana Biblioteche (AIB) sezione Umbria, membro del gruppo AIB sul portfolio professionale e nel triennio 2017-2020 Presidente eletto di AIB Umbria. Dal 2020 membro dell'Osservatorio Formazione dell'Associazione Italiana Biblioteche. Autore di diversi articoli e interviste per Insula Europea sul tema degli archivi, delle biblioteche e del digital lending.

Link:

https://mariocoffa.wixsite.com/e-portfolio

http://vegajournal.academia.edu/MarioCoffa

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