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Dalla parola alla musica: dialogando con Giordano De Nisi

Giordano De Nisi, Roma, classe ’93, dopo essersi diplomato al Conservatorio «Santa Cecilia» in Pianoforte e Composizione, ha indirizzato il suo percorso artistico prevalentemente in ambito compositivo. Autore versatile, ha scritto musica da camera, sinfonica, per strumento solista, per coro e per il teatro; le sue composizioni sono state eseguite in Italia e all’estero (Ungheria, Belgio).

Clessidre è un ciclo di dodici liriche per voce e pianoforte, su testi poetici moderni e contemporanei, italiani e non, ognuna ispirata ad uno specifico mese dell’anno. Alla luce del suo percorso artistico, a che stadio colloca questo progetto? È un punto di svolta o di assestamento? E soprattutto, da cosa ha tratto ispirazione, o meglio, cosa l’ha spinta maggiormente a dedicarsi a questo lavoro?

Mi piace pensare che Clessidre (il nome è provvisorio, da confermare alla fine del processo di composizione) sia uno dei tanti snodi in cui si sta articolando il mio percorso artistico. È difficile per me immaginare di approdare ad un solo punto di assestamento in ambito compositivo, ad un’univoca soluzione: c’è sempre molto da studiare, da ascoltare, e gli infiniti stimoli sonori di oggi tendono ad accrescere la curiosità e, di conseguenza, le indagini tecniche inerenti il mio ambito di ricerca. Conquistare una cifra stilistica unica, in questo momento del mio percorso, non mi interessa e non lo ritengo possibile; ciò che invece mi attira è provare sempre mezzi nuovi, nuove tecniche, sperimentare per conoscere in maniera diretta i più variegati materiali a disposizione. Penso che i processi di indagine e di crescita, nel campo artistico, non abbiano mai fine; assestarsi su un’unica, rigida posizione è un po’ come spegnersi. In questo senso, prevedo che la raccolta Clessidre sarà diversa dalle mie precedenti composizioni. La radice di questo progetto è piuttosto antica: anni fa, era d’estate, rimasi colpito da una meravigliosa poesia legata al mese di settembre e pensai che sarebbe stato stimolante, un giorno, metterla in musica. Da allora, ho conservato questo testo e pian piano ne ho scoperti altri collegati ai vari mesi, con le loro peculiarità, i loro colori… nel tempo, mi sono sempre più interessato a questo progetto e ho raccolto finalmente un ciclo di poesie legate ad ogni mese dell’anno: la scelta dei testi è stata orientata dal mio profondo interesse per la lirica del Novecento e della Contemporaneità, espressione di un Io moderno e multiforme, più vicina a noi anche sul piano cronologico. Ho da subito pensato di abbinare queste poesie ad un organico strumentale semplice ma completo, duttile: desideravo tornare a scrivere per voce e pianoforte, combinazione di strumenti che in precedenza ho affrontato poche volte.

Senza necessariamente chiamare in causa rapsodiche atmosfere, come interpreta il rapporto tra musica e poesia? La musica, esattamente come la poesia, ha un proprio codice espressivo e parla la propria lingua, ma all’orecchio del compositore esse come vengono percepite? E allora, come affronterà questo binomio nel suo lavoro? Viene prima il suono o la parola?

Prima la poesia, poi la musica. In questo caso non è semplicemente una successione temporale, ma anche una necessità pratica e un obiettivo programmatico: lavorare su un testo scelto significa principalmente valorizzarne il contenuto attraverso un adeguato supporto sonoro. Naturalmente i codici espressivi delle due forme d’arte devono combinarsi; Mozart era sommo maestro in questo: metri, tonalità, cadenze, strutture, tutto nelle sue arie è così ben amalgamato da ottenere una convergenza assoluta delle due “lingue”, in una perfetta fusione fra loro. Ma Mozart partiva da presupposti diversi dai miei e quando diceva “la poesia deve essere assolutamente la devota ancella della musica” non solo si riferiva al genere operistico, ma soprattutto ad una tipologia testuale estremamente diversa da quella in questione: il libretto è un testo concepito a monte per essere messo in musica; mentre il mio obiettivo è scoprire come mettere in musica dei testi che hanno valore di per sé stessi, indipendenti e svincolati dal suono, e creare loro un nido di note entro il quale schiudersi confortevolmente. Anni fa intrapresi un percorso simile nel brano “In un sogno che è l’ombra di un sogno”, per voce femminile e pianoforte, su testo di F. Pessoa (Narni, 2018): anche in quel caso, sono partito da uno dei miei passaggi preferiti del Libro dell’inquietudine dello scrittore e poeta portoghese per poi abbinarvi una musica che rispecchiasse il contenuto del testo in prosa, elaborando un sistema di suoni atto a concretizzare questo scopo e delle strutture che ricalcassero la narrazione scritta. In Clessidre, l’obiettivo è riuscire a rendere la personalità di ogni mese dell’anno, un po’ come ha fatto Tschaikowsky nella raccolta pianistica “Le stagioni” op.37, ma con mezzi e termini odierni, e con la compresenza del testo poetico (cantato, oppure recitato).

Qual è la sua idea di musica? Durante il suo percorso essa è cambiata? Quali considera i suoi modelli?

Cosa sia la Musica, è una domanda difficilissima che mi pongo costantemente – numerose sono le risposte che grandi artisti hanno dato. Personalmente, considerando soprattutto i miei iniziali studi pianistici, la musica che mi interessava fino a una decina di anni fa era quella genericamente detta “classica”, con un occhio di riguardo al primo Novecento. Poi, grazie alla naturale maturazione della mia formazione, e complice lo sviluppo di un gusto personale sempre più in linea con interessi artistico-letterari, ho iniziato ad apprezzare sempre più il Novecento storico e infine quello contemporaneo, serbatoio infinito di sperimentazioni e di idee quanto mai diverse fra loro: ed è qui che spesso il mio udito trova soddisfazione, prediligendo in particolare quella musica che combina una componente espressiva a un gusto per l’elaborazione del materiale, per timbriche raffinate e inconsuete, per nessi narrativi e costruttivi, per l’alea. È fondamentale che la musica, in particolare quella definita “colta” di oggi, conservi le qualità di comunicare, attraendo l’ascoltatore: l’epoca dell’iper-cerebralità della musica contemporanea è ormai passata e anche importanti autori, oggi, compongono musica che – pur se molto articolata – non disdegna di lasciarsi “intendere” e “apprezzare” da un vasto pubblico, recuperando il basilare rapporto storico con chi ascolta. I lettori mi perdoneranno se non ho ancora una risposta definitiva su cosa sia la Musica, è una domanda difficile che sconfina nella filosofia… ma ho le idee molto chiare su ciò che particolarmente cattura il mio udito. Molti sono gli autori che nel corso del tempo hanno lasciato delle impronte dentro di me, la cui musica mi colpisce sempre profondamente: per quanto riguarda la contemporaneità, mi riferisco a Stravinsky, Cage, Ligeti (soprattutto Ligeti!), Castiglioni, Takemitsu, Adès… compositori molto diversi fra loro. Sono tutti autori nella cui musica ritrovo distintamente quella capacità di assorbire l’ascoltatore con estrema facilità, con i mezzi più disparati, attraverso un linguaggio dinamico, moderno e comunicativo, condensando concetti astratti in elementi di ampia fruibilità.

Il suo è un progetto in fieri e che risentirà certamente di nuovi e continui stimoli, ma qual è il suo modus operandi? Quali le modalità di composizione con cui riesce a costruire la necessaria sinergia tra testo e musica? Può raccontarci anche di come ha lavorato in passato?

Considerando il mio percorso di costante ricerca, in generale il modus operandi è sempre variato, di brano in brano – anche se molte macro-fasi si assomigliano fra loro. A volte parto da un’idea, o da un gruppo di suoni, da un melos, da un testo, da un oggetto artistico, una raffigurazione; oppure improvviso al pianoforte; esploro. Contemporaneamente elaboro un sistema che mi consenta di utilizzare il materiale secondo una logica, ma senza trascurare la libertà creativa e l’impressione del momento, o il gusto per il suono e le sue qualità: in altre parole, senza trascurare la suggestione tipica insita nell’atto creativo, lasciando a volte che il materiale musicale ne suggerisca dell’altro, autonomamente. Gli strumenti a disposizione possono essere sempre moltissimi, e ciò a volte mi galvanizza, altre volte mi trattiene in numerose riflessioni. Combinare fra loro tutti gli aspetti che si cerca di valorizzare non è certamente un processo facile, ma è indispensabile per ottenere un risultato appagante e completo; e allora il lavoro diventa più intenso. La fase elaborativa richiede spesso molto tempo, e generalmente la mantengo priva di vincoli; la fase creativa – la scrittura – dipende da tantissimi fattori (interiori o esterni), ma tendenzialmente cerco di portarla avanti con maggior rigore e disciplina. Lavoro al mio strumento, al pianoforte, e dopo la stesura lascio “decantare” il brano, prima di tornarci di nuovo e rifinirlo. Nel caso di un’opera con testo, si aggiunge la difficoltà di rendere omogenei i due contenuti, quello poetico e quello musicale: allora procedo contemporaneamente su due “binari” comunicanti e, dopo aver analizzato lo scritto evidenziando soprattutto snodi, termini, effetti o ritmi che voglio portare in primo piano, procedo alla ricerca musicale. In ogni caso, riconosco la presenza di una prima fase prevalentemente interrogativa, di apertura verso le suggestioni, di ricerca di ispirazione nel senso antico del termine, di preparazione; segue una fase elaborativa, più a tavolino se vogliamo, dove le suggestioni e i materiali apparsi vengono elaborati e si concretizzano su carta.

Spesso quando si pensa alla musica “classica”, si è portati ad immaginare un contesto remoto, elitario e appartenente ad un’epoca passata; la sua raccolta, invece, ha tutta l’aria di voler essere vicina, aperta e attuale. A tal proposito, nella sua raccolta come si radica l’idea di contemporaneità? Qual è il contesto di fruizione a cui vuole che la sua musica arrivi?

Quando si parla di musica classica o contemporanea, è vero, irrimediabilmente si pensa ad un gruppo limitato di fruitori: nel linguaggio comune, la musica classica è “da vecchi”, quella contemporanea è “strana, difficile”. Sono convinto invece che questi “generi” (le virgolette sono obbligatorie, perché catalogare la musica in compartimenti non è un’attitudine che mi piace) potrebbero avere molto più successo se nel nostro paese ci fosse un’istruzione musicale ben più solida e radicata. In fondo, non si capisce ciò che non si frequenta; in fondo, è ciò che non conosciamo a spaventarci. A livello personale, vorrei che la mia musica riuscisse a comunicare il suo contenuto se non necessariamente a tutti, almeno a coloro che hanno il desiderio di ascoltarla con attenzione, e ciò non è scontato: la musica contemporanea ha un bisogno maggiore di pubblico attento e non prevenuto, attivo e aperto nell’ascolto, direi ricettivo. Stravinsky diceva che “ascoltare [to listen, in inglese] richiede uno sforzo, e semplicemente sentire [to hear, utilizzato in un senso più semplicistico] non è un merito. Anche un’anatra sente”, sottolineando come (a maggior ragione per la musica d’oggi) sia importante prestare ascolto intensamente a ciò che ci viene presentato, con orecchio analitico e non semplicemente contemplativo, nell’accezione passiva del termine: trattandosi di un tipo di musica più complessa rispetto a quella che ascoltiamo quotidianamente in spiaggia o al supermercato, mi piacerebbe che chi la ascoltasse con la giusta attenzione, curiosità e senza pregiudizi riuscisse davvero a carpire i significati che mi propongo di infonderle. In Clessidre, affronto questo obiettivo utilizzando dei testi moderni, che abbiano linguaggi contemporanei e tematiche attuali, che provengano dall’intimità del poeta e dell’uomo di oggi; per quanto riguarda la musica, intendo utilizzare il pianoforte in tutte le sue possibilità timbriche – suonando sulla tastiera, ma sfruttando anche le altre potenzialità del corpo stesso dello strumento. Non vorrei impiegare strutture musicali preesistenti… ma su questo mi lascerò guidare dal testo e dalle sue ricorrenze: ho già notato che molte poesie hanno una certa ben definita logica costruttiva, che dovrò tenere in considerazione. Tutta l’opera nasce nell’intenzione di essere “contemporanea” – nella lingua, nella forma, nelle sonorità – ma senza trascurare l’intelligibilità del risultato finale.

Essendosi già consumata la rottura col passato, quale crede sia l’eco che la musica può far risuonare in questo eterno presente? Infine, curiosi di sapere quali saranno gli sviluppi del suo lavoro, ci parli dei suoi prossimi progetti.

La musica è stata e sempre rimarrà un’attività radicalmente umana: non esiste musica che non sia stata concepita dall’uomo – come tutta l’Arte, d’altronde. E uno dei bisogni più reconditi dell’uomo è la conoscenza, il desiderio di scoperta e di comprensione di ciò che è nuovo e diverso, e soprattutto di sé stesso: nel significato più alto del termine, l’artista è una sorta di esploratore, che dedica la propria sensibilità alla realizzazione di una ricerca. La Musica continuerà secondo me ad avere questa importante essenza esplorativa, che certamente può diramarsi in numerose, diverse direzioni. Ad oggi, aggiungo infine, noto che questi percorsi di creazione si arricchiscono di un gusto espressivo precedentemente marginalizzato: stiamo forse recuperando anche un rapporto più stretto col pubblico (e penso soprattutto ad Adès, Widmann…). Dopo vari mesi di lavoro preliminare, mi trovo attualmente all’inizio della composizione della musica di Clessidre – e sarà un percorso piuttosto lungo e articolato, considerando che non tutte le poesie che ho selezionato sono brevi: prevedo che questo impegno si protrarrà almeno per un anno. Nel frattempo ci sono molti progetti interessanti sui quali sto lavorando con passione: insieme al collega compositore Alessandro Meacci e all’editore Agenda di Bologna stiamo organizzando un festival di musica contemporanea piuttosto articolato (OMAFestival), che si sta estendendo in una configurazione internazionale, comprendendo numerosissime attività. Inoltre, dopo questa (estenuante) pausa legata alla pandemia, stanno riprendendo i concerti e ci sono commissioni per la scrittura di nuovi brani: è questo il caso di Ipotesi, composto per l’ensemble Alchimie Sonore e commissionato dalla IUC, in omaggio a Dante Alighieri nel VII centenario dalla scomparsa; il mio brano, insieme ad altri lavori, è stato eseguito in prima assoluta il 13 luglio 2021 presso i giardini dell’Orto Botanico di Roma. Infine, dando voce ad una antica esigenza di studio, continuerò a frequentare i corsi di direzione d’orchestra, che attualmente seguo presso il Conservatorio “Respighi” di Latina. Nei mesi scorsi siamo stati per troppo tempo lontani dalla musica, dal cinema, dalla pittura: come tante altre persone intorno a me, sento il desiderio e l’energia di tornare nell’Arte, la cui distanza forzata ci ha fatto comprendere meglio quanto essa sia essenziale per vivere pienamente.

 

 

 

L'autore

Lucrezia Arianna
Lucrezia Arianna
Lucrezia Arianna, classe '97, ha intrapreso e concluso il corso di laurea triennale in Lettere Moderne presso La Sapienza Università degli Studi di Roma, laureandosi con una tesi dal titolo ‘La carta 2r-v del Vat. lat. 3196: un cantiere petrarchesco'. A partire da ottobre 2019 frequenta il corso di laurea magistrale in Linguistica presso la medesima università.