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In ricordo della storica e critica d’arte Michela Scolaro. Ricordi e una riscoperta  

“Miki ha raggiunto la mamma e gli adorati nonni. Organizzerà le più belle mostre che abbiano mai visto in paradiso”.

Così le prime righe del necrologio per la morte di Michela Scolaro, 4 maggio 2018, stese dai famigliari e, a quanto mi consta, soprattutto dai fratelli Gaetano e Francesca. Ho avuto modo di meditare su questa frase a seguito di un mio lavoro da non molto conclusosi e, soprattutto, nell’avvicinarsi del giorno del compleanno di Michela (9 ottobre). Ho steso pertanto un ricordo personale della studiosa, della critica d’arte, dell’infaticabile organizzatrice di mostre, a cui verrà dedicato il volume che raccoglie suoi scritti, in “dolorosa” memoria.

Non posso dire di avere conosciuto bene Michela Scolaro, di esserle stata amica da tempi lontani. Ci vedemmo al tempo in cui fui a Faenza a dirigere la locale biblioteca comunale (1973-1982); poche volte a Bologna, soprattutto quando vi ritornai stabile nell’a.a. 1987-1988, dopo la lunga permanenza presso l’Università di Pisa. A Faenza, la ricordo ragazzina di dolcissime fatture, spesso al seguito di Andrea Emiliani al quale già allora io ero legata da profonda riconoscenza; a Bologna, le poche volte che ebbi occasione di vederla e frequentarla, fu quando incontrai la madre, Franca Varignana, dopo averne incrociato alcuni lavori da cui trassi forti benefici per i miei primi studi sulla tipografia del Settecento a Bologna. Di entrambe, e dei nostri brevi incontri a quelle date, mi è sempre rimasta impressa la generosità intellettuale con la quale madre e figlia riuscivano ad intercettare e ad appagare varie istanze di conoscenza, oltre allo charme innato di entrambe che si accompagnava ad una cultura vastissima, mai sfoderata con sussiego, ma spesso indirizzata a beneficio di coloro che chiedevano di potersi abbeverare alle loro rispettive rigogliose fonti.
Nel 2010 uscii definitivamente dall’Accademia per sopraggiunti limiti d’età: cominciò per me un periodo molto diverso in cui potei, grazie anche al maggior tempo a disposizione, alimentare meglio alcune mie passioni, fra le quali indirizzare con maggiori consapevolezze la mia piccola collezione di artisti bolognesi, solo in minima parte tributaria della generosità di mio padre, celebre gallerista. Avevo puntato sui bolognesi molto prima della crisi che ha vanificato in gran parte uno degli aspetti, per me mai prioritario, quello della tesaurizzazione che si accompagna quasi sempre alle brame collezionistiche.
Il precipitare della grafica contemporanea, non solo bolognese, che dai miei studi risultava la “specialità” meglio conosciuta in molte sue componenti, mi indirizzò ad occuparmene anche operativamente. Il maggior tempo di cui disposi mi consentì pure di frequentare, oltre alle numerose mostre di arte contemporanea sparse anche in Europa, pure quelle di Michela Scolaro proprio su artisti bolognesi che si tennero a Bologna, alla Fondazione del Monte dal 2007 al 2012.
Non ne persi neppure una sebbene a Bologna mi muovessi sempre molto poco, tanta era la cultura con cui quelle mostre vennero organizzate dalla Scolaro, cultura che si poteva respirare visitandole, perché tutte si proponevano di gettare fasci di luce nuova e diversa su autori che personalmente credevo di conoscere e che invece si aprivano ad interpretazioni a me fino a quel momento sconosciute, o solo minimamente adombrate. Perché era Michela a prenderci per mano conducendoci in percorsi che consentivano di entrare perfino nei paesaggi interiori degli artisti grazie alle luci e alle ombre che la studiosa, la critica, la sagace interprete, proponeva, accostando i lavori dei “suoi” autori in modo mai solo cronologico o tematico, ma sempre culturalmente interlocutorio. La formazione della Scolaro, avvenuta prevalentemente all’estero, le consentiva di porre confronti mai scontati e di respiro internazionale, mai banalizzando o circoscrivendo un autore entro limitati parametri.
Fu a una di queste sue mostre, non la prima di Pirro Cuniberti che visitai da sola confortata dallo stesso Pirro, al quale devo il dono non solo della sua amicizia e di quella di sua moglie, ma anche di suoi bellissimi ex libris, e neppure ad altre che precedettero l’ “incontro”, come quella di Sergio Romiti (La tentazione del colore, 2010), che mi squarciò i veli di alcuni misteri legati ad un artista da me amatissimo che al colore seppe affidare gli ultimi suoi anni, opere sconosciute ai più grazie al ricorso a tele inedite di rigore assoluto, che col colore raggiungevano esiti altissimi  della sua ricerca espressiva. Con la Scolaro ci riavvicinammo alla grande retrospettiva Omaggio a Luciano Minguzzi (26 gennaio – 29 aprile 2012), alla quale andai con la “sua” amatissima insegnante, Giovanna Miani Roda. Fu in quell’occasione che non solo potei parlare con Michela – nelle precedenti mostre non mi ero mai azzardata di interpellarla – ma si poterono riannodare con lei gli antichi, seppure esigui fili. Cominciò proprio pochi giorni dopo dalla visita alla mostra, una corrispondenza fra di noi, fitta fitta, sebbene breve, troppo breve. Un solo anno: il 2012.
Nella prima mail che ci scambiammo io sottolineai il suo fascino immutato complimentandomi per la competenza con cui ci aveva guidato nella mostra; Michela, fin troppo generosa, mi disse invece che mi avrebbe sempre riconosciuta, «per lo sguardo dolce che ricordava».
Galeotto nel procedere della nostra nuova conoscenza fu in un certo senso Minguzzi perché avevo acquistato, fidandomi unicamente del mio intuito, una sua formella e tremai soprattutto dopo aver letto il catalogo e capito la profondità delle competenze di Michela pure sullo scultore bolognese, di aver corso il rischio di un acquisto avventato. Tutto invece si risolse nel migliore dei modi proprio grazie a Michela, la quale, riallacciati i nostri rapporti, fece intervenire il figlio dello scultore, che valutò e decretò l’autenticità del pezzo, dopo alcune foto d’artista che la stessa Michela mi propose di far fare a un “suo” fotografo, accollandosi momentaneamente le spese perché eccessivamente indaffarata e non ancora disponibile a venirmi a trovare per vedere la mia piccola collezione e sorseggiare insieme una “camomilla”. Con la sensibilità di un elefante che a volte mi sovrasta, sebbene conoscessi il perché della sua diafana silhouette, dapprima l’avevo invitata a un pranzo a casa, sfoderando le mie abilità culinarie. Risposta decisa e, nel contempo tenera, della mia futura ospite: «…non sono solo un’integralista vegetariana, per di più astemia, ma mi fa proprio soffrire stare a tavola…so che ho perso molto nella tua considerazione…, ma spero non anche nell’affetto». Mi citò i fratelli, invece ottimi gourmets.
Fu un anno per entrambe fin troppo movimentato ma nel quale non ci perdemmo mai di vista. La nostra corrispondenza ne è largamente prova.
Tardammo a incontrarci di persona oltre che nelle mostre di via delle Donzelle, anche perché Michela fu chiamata a Iesi per una eredità; io feci un bellissimo sebbene faticoso viaggio in Birmania; scorrazzai per la Spagna ben due volte sempre per lavoro, mentre Michela continuava ad occuparsi di artisti, di mostre, preparando quella di Maurizio Bottarelli, che si annunciava carica di suggestioni e di ricerche in varie direzioni e di cui Michela seppe raccontare le profonde inquietudini già insite nel titolo che recitava Il disagio della civiltà. Maurizio Bottarelli. Opere 1962-2012.
Quando finalmente venne nella mia tana – era di luglio – potei valutare ancora meglio la sua generosità culturale e umana. Apprezzò alcune mie scelte e mi propose di occuparsi della descrizione di tutta la collezione per pervenire a un catalogo che potesse documentare anche la consistenza economica del mio piccolo grisbì. Aveva perfettamente capito che soprattutto chi non ha figli – come se i figli fossero necessariamente più cauti o più acculturati – teme molto la dispersione degli eredi per mancanza di loro conoscenze. Mi era già capitato di acquistare in asta per una cifra irrisoria un autoritratto di un buon pittore, segno che chi si era disfatto dell’olio, forse dato finanche in regalo, non ne aveva capito il valore. Basti pensare che nella medesima banca di aste lo stesso olio quasi dieci anni prima era stato valutato e venduto a un prezzo decisamente consistente. Da qui, molti miei timori, compresi e fatti propri da Michela. Ero perfino entrata nell’ottica di vendere, vendere tutto.
Nell’estate torrida io andai qualche giorno all’Elba, nella mia isola, che Michela mi disse era molto amata anche da sua sorella – spesso entravano fra le sue righe ricordi cari dei fratelli – mentre Michela andò nella “sua” Berenice sul mar Rosso, il più incontaminato, di cui mi diede un resoconto intessuto di poesia ma pure di quel suo particolare humour pronto a supplire a quelle che finiva per credere eccessive concessioni alle emozioni.
Alcuni brani della sua mail del 22 agosto: «sì, purtroppo sono tornata da dieci giorni e ho una nostalgia che non ti dico…adoro, letteralmente, quella luce, quell’aria, il mare pieno di meraviglie, il deserto, per quanto sia quello pietroso con le montagne (per così dire) sullo sfondo senza le belle dune mutevoli…mah ho fatto 1100 foto subacquee, una fatica…I pesci sono davvero tanto belli quanto poco collaborativi…pensa che uno degli ultimi giorni, ho delicatamente obbligato una tartaruga a girarsi verso la macchina…».
Nella stessa mail mi avvertiva, stimolandomi a partecipare, che il sabato sera avrebbero premiato Andrea Emiliani al Parco Nord, Casa della Cultura, alle 21,30. Mi ripeté di cercare di essere presente per un saluto, dicendomi che «sicuramente a lui farebbe tantissimo piacere vederti, per quanto minimizzi e faccia l’aria annoiata, a mio avviso, un po’ ci tiene». Non andai perché guidare di sera da sola mi costava già molta fatica. Ebbi un dolorosissimo resoconto che coincideva anche con quello di alcune sere precedenti in cui Andrea Battistini, sempre generoso chiamato a partecipare, aveva notato con profondo sconcerto, preludio della fine di una certa epoca. Michela mi scrisse il giorno successivo: «Un caldo soffocante sotto la tenda e una noia mortale i discorsi, tutti autoreferenziali, solo di sfuggita e quasi per errore, ogni mezz’ora (non scherzo) tangenti Andrea…Che era sfinito, seduto sotto ai riflettori fino alle 11,20, e non si è mai tolto la giacca (l’unico!!!!)». Emiliani nel 2012 aveva 81 anni ed era a tutti nota la sua patologia.
Prima, o forse dopo il vernissage a settembre della mostra di Bottarelli, in un’estate che continuava ad essere calda come quella che abbiamo alle spalle, ci concedemmo la visita a Faenza per vedere le ceramiche di Mimmo Paladino. Non fu facile trovare il giorno utile a entrambe, ma Michela mi scrisse che «agende alla mano come due dive (senza agente), –aggiungendo un emoj che divenne un simbolo ricorrente nelle sue email   – lo avremmo trovato». Lo trovammo e fu per me fonte di grande apprendimento oltre che condivisione di interessi e comuni passioni.
Inizia e si chiude entro il 2012, come preannunciato, il nostro scambio epistolare in gran parte ancora da esplorare; credo di sapere il perché che tuttavia non voglio ricordare.
Ma Michela Scolaro non l’ho mai persa. Da poco, ho potuto rinverdire le sue grandi capacità interpretative, accostandomi a Luciano De Vita, in un recente studio e in un nuovo catalogo. I quattro libri d’artista di De Vita che ho analizzato sono stati oltre che lo stimolo, la chiave che mi ha consentito di entrare con maggiori competenze nell’universo dell’artista marchigiano, bolognese d’elezione.
Strada facendo ho incrociato più volte la Scolaro: sempre le sue pagine mi hanno offerto il destro per capire meglio l’uomo; così come anche la pluralità e complessità delle sue opere; sempre, da critica di squisita qualità, ha saputo scavare nel profondo e sempre l’ho seguita nei suoi percorsi anche tumultuosi, condividendone gran parte delle rilevanti e pertinenti osservazioni.
Al termine del mio ricordo posso solamente aggiungere che sono convinta anch’io che Miki abbia già organizzato le più belle mostre che mai si videro in Paradiso.

 

L'autore

Maria Gioia Tavoni
Maria Gioia Tavoni
M. G. Tavoni, già professore ordinario di Bibliografia e Storia del libro, è studiosa con molti titoli al suo attivo. Oltre a studi che hanno privilegiato il Settecento ha intrapreso nuove ricerche su incunaboli e loro paratesto per poi approdare al Novecento, di cui analizza in particolare il libro d’artista nella sua dimensione storico-critica. Diverse sono le sue monografie e oltre 300 i suoi scritti come si evince dal suo sito www.mariagioiatavoni.it