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La ricerca e l’approdo

La ricerca di un’ontologia che possa autorizzare l’approdo all’insegna del bisogno di senso e di autenticità. È questo il tratto distintivo della nuova raccolta poetica di Giuseppe Manitta, studioso e poeta, caporedattore della rivista «Il Convivio», autore di saggi e articoli per riviste specialistiche e di monografie. In L’etica dell’acqua (Avaglianopoesia, 2021) il poeta compie un viaggio lirico attraverso quelle topografie della modernità che sanciscono per l’io la perdita di una forma originaria, fino a proclamare la propria inconsistenza all’interno di un divenire che scorre, e che è materia fluida, cangiante: a seconda delle superfici o delle traiettorie e prospettive che accompagnano una visione parcellizzata e sempre mutevole, in una società liquida che ha dimenticato il proprio orizzonte ontologico di riferimento, l’aspirazione all’essere si definisce nella continua ricerca di una propria geografia, di un proprio spazio da abitare, l’unico in grado di contenere e raccogliere, senza consentire la fuoriuscita dai bordi, autorizzando una forma vera e idonea di identità.
Eppure, ci dice con acume e competenza poetica Manitta, come acqua, verticale e orizzontale, trasparente e cristallina nella polimorfia di visioni e prospettive, è nel cambiamento che risiede la condizione insita dello status viatoris, la migrazione quale possibilità di salvezza e tuttavia rivelazione della propria inconsistenza (p. 80: «L’etica dell’acqua è la nostra inconsistenza. / La ricerca di una purificazione […] Nell’istante della chiarezza / accogliere noi stessi nella migrazione / fino a scegliere la geografia della salvezza»). È l’acqua che rivela l’eresia dell’approdo, l’impossibilità di fermarsi in una forma definita, tipica dell’uomo moderno, o se vogliamo dire, di chi avverte il bisogno di autenticità nella nostra società. Se l’aspirazione all’altrove spinge l’uomo ad autodeterminarsi continuamente, la purificazione non può non avvenire senza la conferma della condizione di provvisorietà tipica del viator, cosicché il viaggio della modernità è il viaggio di chi si specchia ombra o controfigura, o soltanto il viaggio di chi non ha una geografia ma si scopre in un tutto, dove la dimensione del sogno autorizza il possesso esclusivo di se stessi (p. 87: «Non avere una geografia / significa avere un tutto / avere l’arte di creare cose che non ci sono, / godere della gioia della perdita / prima ancora dell’approdo / e soffrire per un porto mai raggiunto. / Sognare sempre»).
Spazio e migrazione. Viene in mente l’Ulisse dantesco che fa dell’elemento equoreo il teatro della propria impossibilità a fermarsi (Inf., XXVI), a dispetto dell’Ulisse omerico che torna ad Itaca su un mare greco che non conosce ancora il dramma della frattura dell’identità, il dramma del doversi fermare, che è già quello dell’uomo moderno. C’è un movimento in questo libello che è costruito come un trittico in cui centrale, tra l’abbandono e l’approdo, emerge la sezione dedicata all’etica dell’acqua. L’elemento liquido è risposta e metafora, è chiave di lettura di un universo di spazi e geometrie e geografie ritagliate dagli angoli della modernità o soltanto intravisti controluce, nell’illusione del fondale, dove la polvere perde di consistenza e tra il fango e la luce si scorgono ciottoli e mappe di istanti. Con intensa profondità Manitta designa spazi e soprattutto identità, definisce movimenti e spostamenti, rileva le illusioni dei riflessi, gli inganni della sabbia, «il flusso dei videogrammi/ che variano al variare della platea», lì dove l’inquietudine della perfezione diventa incomunicabilità, incapacità a chiamarsi, per la paura di tacere (p. 81: «Non riusciamo più a chiamarci / ma indichiamo solo pronomi / per la paura di tacere») e dove la migrazione assurge ad ipostasi di altro da sé e itinerarium in ipsum, come movimento liquido, delle onde, della pioggia, nel divenire che scorre e che non ha mai la stessa forma (p. 17: «Sotto la risacca / la superficie è identica / e non serve a nulla guardare, / perché basta chiudere gli occhi / per vedere le ombre e con queste la luce […] le onde, loro portano alla riva / il cigolio dei morti, consapevoli / che quando andranno a sbattere / su Capo Pizzuto / solo l’aria sarà sola erede. / Bevendo quell’aria siamo un po’») Fango e acqua. Prospettive, e ancora traiettorie, meccanica e simboli, ombre e poi luce e riflessi, controfigure. Se in un’ottica ecologista si parla oggi sempre più di una concezione (e una gestione) etica della risorsa acqua, il poeta propone l’elemento naturale quale simbolo di una rivelazione etica della poesia, che raccogliendo i versi della tradizione e l’afflato della modernità, vuole farsi portatrice di un recupero valoriale ed estetico di un bisogno identitario di autenticità sempre più vittima dell’alienazione e dello sradicamento della nostra contemporaneità, nonché della mutevolezza biologica del divenire esistenziale.
Vengono in mente a questo punto i versi di Eraclito (fr. 36 DK): «ψυχῆισιν θάνατος ὕδωρ γενέσθαι, / ὕδατι δὲ θάνατος γῆν γενέσθαι, / ἐκ γῆς δὲ ὕδωρ γίνεται, / ἐξ ὕδατος δὲ ψυχή » (“la morte per le anime è divenire acqua, / la morte per l’acqua è divenire terra, / dalla terra si genera l’acqua, / e dall’acqua l’anima”), o ancora quel πάντα ῥεῖ, quel «tutto scorre» che per i greci era materia intangibile e metafora del divenire, in una ciclicità da cui tuttavia è estraneo l’uomo moderno.
Se già Ungaretti nel movimento delle acque si definiva «un’ombra cullata e piano franta», e Saba portava a galla dall’acqua «pietruzze» e «cosine» per far emergere quella «verità» semplice e quotidiana «che giace al fondo», se per molti dei poeti del Novecento l’atto creativo è metaforicamente un’immersione, per Manitta la purificazione non può non esserci se non nella accettazione della indefinitezza di loci e topoi, che sancisce per l’io moderno la conferma della propria inconsistenza.
Forse solo il sogno rende accessibile l’approdo. Riconoscere l’eresia dell’approdo è accettare la migrazione come condizione insita dell’homo quale viator dell’esistenza, ci dice il poeta, eppure, «l’illusione del fondale» non è altro che conferma di una necessità di superare il possesso esclusivo delle proprie personali topografie, essere meno ombre o controfigure, in sostanza, approdare all’utopia.

laura.dangelo86@gmail.com

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'autore

Laura D'Angelo

Laura D’Angelo è scrittrice e poetessa. Dopo la laurea con lode in Lettere classiche e Filologia classica, consegue un Dottorato di ricerca in Studi Umanistici. Docente di materie letterarie, pubblica articoli accademici su riviste scientifiche e saggi in volumi collettanei, approfondendo lo studio della letteratura e della poesia contemporanea. Giurata in diversi Premi nazionali di poesia e narrativa, partecipa a convegni internazionali e svolge attività di critica letteraria, curando presentazioni di libri e interviste. Ha scritto per diverse testate giornalistiche ed è autrice di riviste culturali e letterarie. Tra i suoi testi scientifici: Dante o dell’umana fragilità, in «Sinestesieonline», a. X, n. 32, 2020; L’Isottèo di Gabriele D’Annunzio e la poetica della modernità, in Un’operosa stagione. Studi offerti a Gianni Oliva, Carabba, Lanciano, 2018; Gabriele D’Annunzio e le case della memoria, in Memories &Reminiscences; Ricordi, lettere, diari e memorialistica dai Rossetti al Decadentismo europeo, Atti del Convegno Internazionale di Studi, Chieti-Vasto, 20-21 novembre, 2019, in «Studi medievali e moderni», a. XXIV – n. 1/2020; Music and Soul: Gabriele D’Annunzio and his Abruzzo Homeland, in Bridges Across Cultures, Proceedings, Vasto, 2017; Dante tra web e social network, in «Studi medievali e moderni», a. XXV – n. 1-2/2021; L’etica dell’acqua, in «Gradiva», International Journal of Italian Poetry, n.62/2022,  ed. Olschki, Firenze; La “Prima antologia di poeti dialettali molisani” di Emilio Ambrogio Paterno, in «Letteratura e dialetti», vol. 16, 2023; Da “Cuore” a L’appello” per una scuola dell’inclusione, in «Nuova Secondaria Ricerca», n.8, aprile 2023. Ha pubblicato inoltre il volume di prose poetiche Sua maestà di un amore (Scatole Parlanti, 2021), semifinalista al Concorso di Poesia “Paolo Prestigiacomo” e il volume Poesia dell’assenza (Il Convivio editore, 2023). Sta recentemente approfondendo lo studio della poesia e della letteratura molisana.