Festival europeo di poesia ambientale

Carlo Pulsoni intervista Alexandra Petrova

Nata a San Pietroburgo, Alexandra Petrova studia lingua e letteratura russa all’Università di Tartu (Estonia), seguendo i corsi di Jurij M. Lotman. Pubblica le sue prime poesie nel 1990, dapprima su riviste samizdat come “Mitin Zhurnal”, poi anche su riviste russe in esilio, tra cui “Kontinent”, fondata a Parigi. Nel 1993 si trasferisce a Gerusalemme con le figlie, dove segue un corso di Storia dell’arte all’Università Ebraica e approfondisce la conoscenza della lingua e della letteratura inglese. Scrive articoli sulla realtà israelo-palestinese, pubblicati anche in Italia, e traduce dall’ebraico autori come Edgar Keret. Nel 1994 pubblica il suo primo libro di poesie, Линия отрыва (“Punto di stacco”), che raccoglie versi scritti in Russia e in Israele.
Nel 1998 arriva in Italia. È invitata a eventi culturali italiani ed esteri. Nel 2000 pubblica il suo secondo libro di poesie e prosa, Вид на жительство, (“Permesso di vivere”, ma anche “Permesso di soggiorno”, “Veduta sull’esistenza”, edito da NLO con un’introduzione di Alexandr Goldshtejn), finalista del Premio di Andrej Belyj. Nel 2003 esce I pastori di Dolly, operetta filosofica in dieci scene (Onyx Edizioni), seguito, nel 2005, dalla raccolta di poesie con testo a fronte Altri Fuochi (Crocetti, introduzione di Stephanie Sandler). Nel 2008 è di nuovo finalista del Premio di Andrej Belyj con il suo terzo libro di poesie, Только деревья (Solo alberi, edito da NLO con introduzione di Stephanie Sandler).
Nel 2008 è poeta residente alla Fondazione di Casa di Mateus di Vila Real, in Portogallo, e viaggia negli Stati Uniti per una serie di letture in Università come Harvard, Princeton, Berkeley, Penn e Brown. Nel 2011 è invitata all’Università dell’Iowa nell’ambito dell’International Writers Program e residente dell’Island Institute a Sitka, in Alaska.
Nel 2016 pubblica il suo primo romanzo, Appendix (NLO, Mosca), con cui vince il Premio di Andrej Belyj ed è finalista del Premio Nos. Il romanzo è inserito dal Times Literary Supplement tra i “Books of the Year 2016”. Nel 2018 torna negli Stati Uniti per una serie di incontri dedicati al romanzo Appendix alla Columbia University, N.Y., all’università di Princeton e ad Harvard, e come ospite dell’AATSEEL (American Association of Teachers of Slavic and East European Languages).
Collabora con numerose riviste di prosa e di poesia, di critica letteraria e di critica d’arte contemporanea. Suoi scritti sono apparsi in diversi volumi collettivi, tra cui La nuova poesia russa (Crocetti, 2003) e, più recentemente, Nanopoetica. Shira Rusit 1970-2020 (La poesia russa 1970-2020), Gerusalemme, 2020.
Oltre che in italiano, i suoi testi sono stati tradotti in inglese, tedesco, ebraico, portoghese, serbo, slovacco, sloveno e cinese, e commentati da numerosi critici e slavisti.
Come traduttrice ha curato la versione russa di Grammatica della moltitudine per una analisi delle forme di vita contemporanee di Paolo Virno per la casa editrice Ad Marginem (Mosca) e sta attualmente collaborando a un’antologia di poesia italiana contemporanea. È stata inoltre ideatrice e curatrice della rassegna “Il cinema italiano del XXI secolo” per il festival cinematografico di Krasnojarsk. Dal 2020 è docente di lingua e letteratura russa all’Università Roma 3.
Attualmente lavora a un nuovo libro di prosa e alla sua prossima raccolta poetica.

Alexandra Petrova parteciperà all’EcoReading del Festival europeo di poesia ambientale, che avrà luogo venerdì 5 novembre alle 21 (ora italiana). A lei, come agli altri ospiti dell’evento, ho rivolto le medesime domande.

«Siamo tutti fatti di ciò che ci donano gli altri: in primo luogo i nostri genitori e poi quelli che ci stanno accanto; la letteratura apre all’infinito questa possibilità d’interazione con gli altri e ci arricchisce, perciò, infinitamente. […] Al di là dall’essere un semplice piacere, una distrazione riservata alle persone colte, la letteratura permette a ciascuno di rispondere meglio alla propria vocazione di essere umano» scriveva pochi anni fa Cvetan Todorov (La letteratura in pericolo, Garzanti, 2008). Nella sua esperienza, in che modo ritiene che la letteratura abbia contribuito alla sua formazione da un punto di vista umano?

Nella mia casa di infanzia c’erano molti libri. Da piccola li percepivo non come oggetti, ma come qualcosa di vivente. Stavano nel corridoio lungo, su scaffali semplici fatti in fretta da mio padre e arrivavano quasi fino al soffitto che era alto 4 mezzi e mezzo, i libri riempivano anche le librerie nelle stanze. Gli adulti li prendevano e spostavano in continuazione. Mi incuriosivano e cercavo di raggiungerli, le tavole nel corridoio a volte mi lasciavano le schegge nelle mani, gambe e piedi.  E questo diventava come un rito, le desideravo ancora di più queste misteriose creature. Presto ho iniziato sfogliare i libri dove c’erano le immagini, erano gli album di vari pittori, mi ricordo anche un libro gigante con i disegni cupi, attraenti, spaventosi: erano le illustrazioni di Gustav Dorè per la Divina Commedia.
Appena imparai a leggere, desideravo prendere i libri dalle file più alte, proprio quelle riservate non alla lettura per bambini. Mi nutrivo di tutto ciò che trovavo, senza capire quasi nulla, ma mi piaceva lo stesso. Scoprivo così anche qualche segreto di questi presuntuosi adulti.
Poi a un certo punto la nostra famiglia si disgregò, e io vissi per vari anni in una specie di collegio per i bambini malati di asma e polmonite cronica. Continuavo a leggere lì: c’era una buona biblioteca, e il libro in sé diventò per me una specie di Itaca, un’ombra di memoria o sogno di pace famigliare.
Durante un’estate piovosa mi ammalai e non potendo uscire, lessi tutti i racconti di Cechov. Verso 12 anni, quando sono ritornata a casa a Pietroburgo, iniziai a leggere le poesie. Da qual momento per tanti anni era la mia unica lettura, a parte i romanzi di Dostoevskij e il programma scolastico. Credo che devo ai libri tantissimo.

Che cosa significa per lei, in veste di poeta, l’ambiente e quanto quest’ultimo ha inciso e incide attualmente nella sua produzione poetica?

L’ambiente – la natura mi emozionava molto, amavo profondamente un albero in un povero giardinetto vicino al Palazzo d’Inverno, dove andavano a passeggiare i bambini del nostro asilo e della scuola materna. Ero una bambina cittadina e mi mancava un rapporto totale con la natura, anche se San Pietroburgo si trova tra i fiumi, e questo paesaggio, i cambiamenti repentini del teatro celeste mi affascinavano. Il collegio dove ho abitato per 5 anni e mezzo si trovava in campagna, e lì i miei amici più cari erano gli alberi, un fiume con i dirupi rossi che si vedevano dall’alto. Proprio quel paesaggio, il mio dialogo con questi luoghi ha fatto di me un poeta.
Nella letteratura russa del Novecento c’è una grande attenzione verso i fiori, alberi, uccelli, gli scrittori e i poeti, ma anche i lettori, li conoscono per nome. E anche questo è stata una fonte di conoscenza.

Ritiene che la poesia ambientale possa avere un ruolo sociale?

Non saprei. Esiste una poesia civile, una poesia satirica, una poesia di denuncia, ma soprattutto c’è la poesia che può avere qualcosa di tutto questo in sé, e ci sono tanti testi che passano come poesia, perché magari hanno anche un ruolo sociale ecc., ma non sono poesia. Secondo me, la poesia non ha un altro ruolo tranne l’approccio verso la conoscenza di sé stessi.   

Un’ultima domanda. La questione dell’ambiente pone, di riflesso, un dilemma esistenziale: il binomio cura-comprensione si scontra con l’idea dell’annientamento, con il dramma dell’estinzione. Può il linguaggio poetico focalizzare tutto questo?

Il linguaggio poetico ha sempre parlato dell’esistenziale, dell’estinzione, della morte, del lutto, della perdita, del dolore, perché senza dolore, senza infliggerci un dolore altrui, più grande del nostro quotidiano, siamo in realtà incompleti e infelici. Anche, oggi facendo parte della società del “pensiero positivo”, è quasi obbligatorio.

In collaborazione con Sapereambiente