La scoperta

Onore ai vinti: Arthur Pakscher

Come è noto, il “ritrovamento” nel 1886 dell’originale dei Rerum vulgarium fragmenta, ms. Vaticano latino 3195 della Biblioteca Apostolica Vaticana, divenne subito oggetto di polemica da parte dei due contendenti: il francese Pierre de Nolhac e il tedesco Arthur Pakscher. Dopo svariati mesi di botta e risposta apparse in diverse sedi, quali il quotidiano romano La Rassegna o il Fanfulla della Domenica, nel Poscritto a un articolo dal titolo parlante, L’autografo del Canzoniere petrarchesco («Giornale storico della letteratura italiana», VII, 1886), Rodolfo Renier annunciava la fine delle ostilità tra i due rivali: il 18 agosto Pakscher rilasciava infatti «al De Nolhac una dichiarazione, di cui teniamo copia, nella quale riconobbe avere il professore francese identificato prima di lui con Vatic. 3195 il ms. originale del Petrarca».

Ma andarono proprio così le cose? In realtà grazie all’esame di una serie di lettere inviate da Ernest Langlois, “membre de l’Ecole Française. de Rome” (così si qualifica nel Registro delle Ammissioni della Biblioteca), a Pierre de Nolhac, di cui darò conto in un volume collettaneo sulla Storia della Biblioteca Vaticana, l’intera vicenda sembra assumere una piega ben diversa. Fin dalla prima missiva si viene a scoprire che gran parte delle intuizioni di de Nolhac si devono in realtà a Langlois, tra cui il riconoscimento della parte autografa del codice: «J’ai collationné ce matin le 3195 avec le 3359, un brouillon de Petrarque mais cette comparaison ne fournait rien m’apprendre (…). Je l’ai ensuit comparé avec le 3359 (De sui ipsius). Vous avez deja fait vous-même cette comparaison, et vous avez trouvé, me dites-vous dans un de vos derniers lettres, des différences. Seulement vous n’avez pas distingué deux mains dans le 3195. Celle du deux main que j’appelle la seconde dans la description que je vous ai envoyé du ms., est sans aucun doute la même qui a écrit le ms. 3359, lequel passe, avec beaucoup de raisons, je crois, pour un autographe de Petrarque, d’où j’en conclus, au moins provisoirement que le 3195 est un partie autographe, l’autre partie ayant la même valeur, parce qu’elle a été faite, sinon par P. au moins sous ses yeux. Demain, je comparerais avec les Buccoliques».

In una lettera successiva Langlois lo avvisa che ha incaricato un amico di raccogliere informazioni sul lavoro di Pakscher. Alla stregua di una spia, costui, pur non essendo riuscito a carpire il numero del manoscritto, apprende che si tratta del codice di Petrarca, nel quale Pakscher ha ravvisato l’alternanza di due mani. Langlois conclude pertanto che non vi possono essere più dubbi sulla sovrapposizione degli studi tra il suo corrispondente e Pakscher: «Cet ami, dis-je, n’a pas le numero du ms mais le Pakscher lui a dit que le ms. est de 2 écritures et que la 2e est celle de Petrarque. Exactement ce que je vous disais dans ma lettre. Il n’y donc plus de doute possible sur l’identité du travail de Pakscher avec le vôtre».

Considerando inoltre che Monaci e D’Ancona sono incaricati di valutare lo studio di Pakscher in vista di una pubblicazione, Langlois esorta de Nolhac a mandare immediatamente in stampa la sua ricerca, in modo che possa essere diffusa in Italia prima di quella del suo rivale: «Il faut donc qu’avant la fin de la semaine votre travail ait paru (…). Publiez le dans une revue. La revue ne paraïtra pas avant dimanche, mais vous ferez 50 tirage à part et vous en enverez à tous le professeurs connus d’Italie et surtout à l’Académie de Lincei». Inoltre visto che Pakscher ha l’intenzione di pubblicare il Vat. lat. 3195, Langlois si propone «par mysopakscherisme» di “sequestrare” il codice, tramite continue richieste. In un’ottica evidentemente nazionalistica Langlois rivela che il suo “amico-spia” italiano «est naturellement furieux que le Pakscher ait la prétention de faire l’édition d’un des leurs auteurs; je crois que Monaci et les autres Italiennes pensent égalment le même».

Le osservazioni di Langlois verranno riprese alla lettera da Nolhac nel volumetto dal titolo parlante Le Canzoniere autographe de Petrarque, uscito nel mese di maggio con una tiratura di 150 esemplari per Klincksieck, e prontamente diffuso presso biblioteche, organi di stampa e professori famosi (oltre alla copia dedicata alla Biblioteca Vaticana, ho rinvenuto quelle inviate a Giosue Carducci e Angelo De Gubernatis): «C’est cette seconde main qui est celle de Petrarque. La comparaison des autographes sur parchemin, signalés plus haut, ne laisse aucun doute sur ce fait; c’est la même écriture que le 3358 (Eglogues) et le 3359 (De sui ipsius…). Mais la partie qui n’est point autographe a été transcrite sous les yeux de l’auteur et, au point de vue de l’authenticité du texte, elle a une valeur égale. Les discussions d’ensemble sur le texte du Canzoniere semblent donc terminées par cette découverte».
Rimandando ad altra sede il commento dettagliato del carteggio, qui interessa rilevare che Pakscher, totalmente ignaro del “complotto” nei suoi confronti, non sbagliava pertanto nell’attribuirsi il merito del riconoscimento dell’autografia del Vat. lat. 3195, alla luce di quanto scrive nella lettera pubblicata giovedì 3 giugno ne La Rassegna:

Egregio signor Direttore, leggo in questo momento la notizia inserita nel suo giornale di ieri su una scoperta del Canzoniere autografo del Petrarca fatta dal sig. prof. de Nolhac. Come io ho fatto la stessa scoperta e ne ho presentato una memoria all’Accademia dei Lincei, io tengo a chiarirne la storia. Nel novembre dell’anno passato ho cominciato l’edizione di un Canzoniere provenzale, che secondo la nota sulla coperta è stato nel potere di F. Ursino. Avendo dunque subito fatto delle ricerche sui libri dell’Ursino, ho saputo da un articolo del comm. De Rossi, che ne esiste nella Vaticana un catalogo inedito. Appena apperto questo catalogo ho veduto tutta una lista di codici riguardanti la filologia romana e il primo numero era il codice del Petrarca scritto di mano sua come asserisce l’Ursino. Si pensi che non ho indugiato di studiare questo codice e il risultato di queste ricerche lo pubblicherò in un articolo della Zeitschrift für romanische Philologie che ho già preparato da molto tempo, ma non spedito per accertare un fatto di tale importanza in un modo da non lasciare il menomo dubbio. Frattanto per far conoscere una cosa che riguarda specialmente l’Italia, prima in una pubblicazione italiana, ho presentato la suddetta memoria. Non mi occupo punto della scoperta del prof. De Nolhac, ma credo aver provato di aver fatto la mia indipendentemente da quella. Pregandola, egregio signor direttore, di pubblicare quanto prima nel suo giornale queste poche linee, La ringrazio anticipatamente e Le presento i miei più distinti ossequi.

Nell’arco di un paio di mesi, il giovane borsista Pakscher, desideroso di cimentarsi sull’edizione del Canzoniere e falsamente illuso dal ritrovamento di un nuovo codice interamente autografo dell’opera (si tratta del ms. Pluteo 41.10 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze), decise, come si è visto, di riconoscere a de Nolhac la primazia della “riscoperta” di Vat. lat. 3195.
A distanza di più di 130 anni, il rinvenimento di questo carteggio gli restituisce un merito che le vicende della vita gli avevano negato.