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Il sapore della terra. Lorenzo Amato intervista Ishida Kazuya, maestro di Bizen

Interview in English

A Bizen (prefettura di Okayama, Giappone) al visitatore può capitare di vedere linee di fumo uscire da piccole montagne. Potrebbe trattarsi di uno dei famosi forni dove per quasi mille anni i ceramisti di Bizen hanno ininterrottamente prodotto meravigliose opere di arte ceramica, famosa per i colori della terra.

Kazuya Ishida è nato a Bizen nel 1986 in una famiglia di ceramisti. Dopo aver iniziato la carriera in Giappone ha studiato a Oxford, per poi tornare a Bizen e distinguersi come uno degli artisti più innovativi della nuova generazione. Ishida ha ricevuto in patria numerosi premi prestigiosi, e ha partecipato a mostre in Giappone, Gran Bretagna e Stati Uniti d’America.

Ho potuto incontrare il maestro Ishida una prima volta presso il suo studio a Inbe (Bizen), e poi nuovamente a Tokyo, durante la mostra personale tenutasi a Ginza nell’aprile del 2021. Questa intervista si è svolta da remoto in inglese il 15 dicembre 2021, quando Ishida, appena terminato il lungo processo di cottura della nuova collezione, ha potuto dedicarmi un po’ del suo prezioso tempo.

Prima di tutto vorrei ringraziarti per aver trovato tempo per questa intervista. Comincerei con due parole sulla tradizione della ceramica Bizen (Bizen-yaki). Bizen è uno dei sei “forni antichi” del Giappone (Rokkoyō). Maestri ceramisti hanno lavorato in Bizen per secoli, elaborando stili e tecniche unici. Che cosa significa per te far parte di questa tradizione?

In Bizen abbiamo più di ottocento anni di tradizione. Ci sono alcuni antichi forni che possiamo visitare, e dove possiamo vedere oggetti in ceramica altrettanto antichi, modellati da persone che facevano il nostro stesso lavoro e usavano tecniche simili alle nostre. Anche l’argilla è la stessa: si tratta di terra raccolta dai campi di riso della zona, messa a riposo e poi raffinata per mesi secondo un metodo antico rimasto immutato nei secoli. Anche da un punto di vista prettamente artistico gli antichi maestri di Bizen sono ancora molto importanti, e pur vivendo in un’epoca lontana creavano oggetti per l’uso quotidiano non troppo diversi da quelli di oggi. Certo, il passare del tempo cambia la società, e molti oggetti che oggi usiamo normalmente non esistevano nel passato: perciò via via sono stati modellati anche oggetti nuovi o adattati ai bisogni contemporanei.

 

Che cosa rende la tradizione di Bizen diversa dalle altre tradizioni giapponesi?

Beh, prima di tutto l’antichità della ceramica Bizen, con tutti i diversi stili e forme ideati nel corso dei secoli [ad esempio ao-bizen, botamochi, fuseyaki, goma, hidasuki, sangiri, cfr. Glossario]. Soprattutto, direi, il fatto che non usiamo nessuno smalto. A Bizen infatti non sono mai stati usati smalti, poiché l’argilla di Bizen ha un alto coefficiente di ritiro ed è cotta con una sola cottura, e quindi decorare gli oggetti con smalti può essere difficile. D’altro canto i maestri antichi hanno elaborato il gusto della bellezza dei colori naturali che, quando esposta a calore, fuoco e ceneri disciolte, l’argilla nuda sviluppa in parti diverse del forno. Questo apprezzamento per l’argilla al naturale, ovvero non smaltata, si dice in giapponese tsuchi-aji, che letteralmente significa ‘sapore della terra’. Da questo punto di vista anche il lungo processo di monocottura dei pezzi (yakishime), che è fondamentale per determinare il ‘sapore’ delle opere finali, può essere considerato una delle caratteristiche principali della ceramica Bizen.

Giusto, perché a Bizen i pezzi non sono sottoposti a una prima cottura per divenire biscotto, ma sono portati nei forni completamente crudi.

Sì. Il biscotto, ovvero il pezzo cotto una prima volta a temperature più basse, è molto più resistente, e così quando deve sopportare le temperature di cottura più alte è difficile che si spacchi. Con una monocottura l’argilla è meno stabile, e dobbiamo continuamente controllare l’aumento della temperatura nel forno. Per questo abbiamo bisogno di un processo di progressivo innalzamento della temperatura di dieci giorni, fino al picco di circa 1200-1230 gradi Celsius.

Quando metti le cose nel forno devi anche fare molta attenzione alla posizione dei pezzi, in relazione al fuoco, alle correnti d’aria calda che circolano nel forno, alla caduta di cenere liquefatta, tutte cose che avvengono in modo diverso in diverse parti del forno.

Sì, e anche al fumo, ai processi di riduzione (dell’ossigeno), alla facilità di raggiungere le alte temperature necessarie, che dipende molto dalla quantità di oggetti caricati: se il forno è troppo pieno sarà più difficile raggiungere alte temperature, così bisogna essere estremamente attenti alla giusta quantità dei pezzi, in relazione alla dimensione e alla struttura del forno.

Ho visto su Instagram che hai appena finito di scaricare tutti i tuoi nuovi pezzi dal forno.

Sì, l’ho aperto circa dieci giorni fa [intorno al 5 dicembre 2021].

Quanto tempo ci è voluto per scaricarlo completamente?

Togliere tutti i pezzi ha richiesto un giorno. Invece montare il forno una settimana piena. la cottura in sé richiede dai dieci ai dodici giorni, dopo i quali bisogna aspettare almeno otto giorni perché i pezzi riposino e si raffreddino.

Quindi l’intero processo di cottura, incluso montaggio e smontaggio, dura più o meno un mese. E dopo devi pulire tutti i pezzi.

Sì. Il che richiede un altro paio di settimane.

8eve essere un lavoro molto faticoso stare dietro a un forno noborigama per tanti giorni senza potersi permettere pause.

Sì. In effetti, poiché il processo di cottura dei pezzi modellati richiede più di sei settimane, durante il periodo di cottura non possiamo modellare nuovi pezzi. Quindi in un certo senso il nostro lavoro artistico è diviso in parti diverse: i periodi di modellazione e i periodi di cottura.

Hai usato un noborigama: quanto è grande? Quanti pezzi puoi mettere contemporaneamente nel forno?

Il forno è lungo circa otto-nove metri, ed è largo due metri e mezzo. Se lo caricassi solo con pezzi piccoli, potrebbero entrarcene circa duemila. Se invece avessi solo pezzi di grande dimensione potrei cuocerne circa mille tutti insieme. Ecco, visto che faccio pezzi di diverso formato in media carico nel forno fra i mille e i duemila pezzi per volta.

Quante volte all’anno usi il forno?

Io ho sia un noborigama che un anagama, e tendo ad alternarne l’uso durante l’anno. Quindi ad esempio uso l’anagama in primavera e il noborigama all’inizio dell’inverno, come quest’anno.

Quale è la differenza fra i due forni?

L’Anagama consiste in una singola camera stretta, mentre il noborigama ha più camere.  In Bizen tradizionalmente usiamo il noborigama per la cottura in riduzione. Io uso anche l’anagama perché il mio precedente maestro, Jun Isezaki [un ceramista Bizen molto famoso, insignito del prestigioso titolo di Tesoro Nazionale Vivente], è uno specialista di anagama. Sotto la sua guida ho studiato le tecniche di ossidazione in cottura, così ancora oggi sperimento con l’anagama.

Quali sono le differenze fra cottura con anagama e con noborigama?

Il Noborigama restituisce una colorazione più pesante o più scura, dovuta a fumo e braci. L’Anagama invece è ottimale per le decorazioni con la paglia dette hidasuki. I colori restituiti dall’anagama sono normalmente più chiari e vivi rispetto a quelli del noborigama, a seconda della caduta delle ceneri. Anche l’argilla che uso può variare a seconda del forno che penso di utilizzare, e ovviamente molto spesso la forma e lo stile di un pezzo dipendono dalla terra che uso. Tutti gli aspetti della creazione di un pezzo sono in realtà interconnessi.

Ti è mai successo di rimanere deluso dai risultati di una cottura, oppure, viceversa, che tutti i pezzi venissero fuori dal forno perfetti e meravigliosi?

Non succede mai di essere veramente delusi del tutto da una cottura, perché ci sono sempre pezzi che emergono dal forno più belli di quanto non si fosse sperato, mentre altri finiscono per essere piuttosto blandi. Beh, sì, a volte la parte posteriore di un gruppo di oggetti può non ricevere abbastanza calore da permettere alla polvere di fondersi e decorarli come programmato [qui Ishida allude probabilmente alla decorazione ‘goma’]. Succede anche che pezzi che ho curato con particolare attenzione si spacchino durante la cottura. Ma si trovano sempre pezzi buoni accanto a quelli rotti o meno interessanti. Fa parte della casualità del processo di cottura.

Ah, gli oggetti che si spaccano in cottura! Quando ne trovi ti deprimi?

(ridendo) Beh, sì, ma penso sempre che se qualcosa non è andata come da programma, devo andare avanti, e che forse c’è una qualche lezione imparare. E ovviamente c’è un po’ di felicità e un po’ di tristezza dopo ogni cottura.

Tu hai studiato anche all’estero. Quindi conosci la tradizione Bizen e al contempo hai una prospettiva internazionale sull’arte ceramica.

Io uso aspetti e tecniche dei maestri Bizen del passato, ma li uso come parte della mia personale ricerca artistica. Ci sono anche diversi importanti aspetti della tradizione Bizen che non fanno parte del mio lavoro. Avendo studiato anche altre tradizioni mi rende libero. Ovvero, io mi sento sì parte della storia di Bizen, ma nello stesso tempo posso usare altre fonti di ispirazione e cercare per un diverso tipo di pubblico. Il che mi permette di sperimentare sia dentro che fuori gli schemi della tradizione, e di combinare tradizioni diverse in totale libertà.

Se parliamo di te in quanto artista, quale artista ti ha ispirato maggiormente?

Il mio eroe personale è Takahiro Kondō. È molto conosciuto a livello internazionale. Ha studiato in Scozia, e ora lavora a Kyoto. Usa sia la ceramica che il vetro, ma anche altri materiali.

Hai mai considerato l’idea di usare il vetro anche tu? Forse in futuro?

(ridendo) Forse in futuro! Anche se Takahiro Kondō è più un artista contemporaneo e concettuale, mi ha dato tanti preziosi consigli sul mio lavoro. Una delle sue tecniche distintive è la gocciolatura di platino sulle sculture. Questo approccio unico, e l’idea di sperimentare nuovi materiali in combinazione con tecniche tradizionali, è stato per me di grande ispirazione. Quando avevo venti anni, e studiavo ceramica presso l’Istituto Tecnico di Ceramica di Kyoto (Kyoto Prefectural Pottery Technical Institute), vidi per la prima volta una delle sue mostre a Kyoto. Lo incontrai dopo la mostra, e in seguito ho visitato il suo studio. Lui mi ha offerto supporto e consigli che hanno avuto un impatto profondo sulla mia vita. Proprio per questo ho poi deciso di lasciare il Giappone.

Quindi la tua ricerca è stata ispirata direttamente da Kondō. Ci sono altri artisti che hanno avuto un impatto simile su di te, o che comunque ammiri?

Sì. Un ceramista che viveva in Gran Bretagna, Hans Coper. Lavorava con colori semplici, come nero e bianco, e tuttavia modellava pezzi estremamente riconoscibili. Spesso usava la modellazione al tornio come punto di partenza, per poi alterare la forma finale degli oggetti rimodellandola a mano, oppure mettendo assieme pezzi formati secondo archetipi geometrici diversi l’uno dall’altro. Le sue opere hanno uno stile estremamente personale, e nello stesso tempo sono potenti, quasi primordiali.

Parliamo della tua tecnica. Tu usi diversi tipi di argilla per le tue opere.

Sì, uso una tecnica personale chiamata rahō (in inglese Spiral wedging, o ‘combinazione a spirale’). È una tecnica che richiede l’uso del tornio. Prima di tutto al tornio modello il pezzo, fatto con argilla Bizen, e poi vi applico una barbottina di porcellana. Poi traccio la superficie ancora liquida della porcellana bianca con un pettine, creando linee bianche che staccano in modo netto dall’argilla scura che sta sotto. Poi espando il vaso modellandolo a mano dall’interno, facendo girare il tornio. Questo crea una decorazione a spirale che spontaneamente segue proporzioni geometriche. Infine uso una fiamma ossidrica per far seccare rapidamente la superficie, il che a sua volta crea delle fratture sullo barbottina di porcellana.

Questa è la tua tecnica distintiva. L’hai inventata tu?

Ho imparato le tecniche di base da studente. Maturando come artista ho provato a imparare più tecniche e a combinarle con quelle che potevo già usare, e così ho elaborato questo stile originale.

Quando ci siamo incontrati a Tokyo, nell’aprile del 2021, mi hai detto che la porcellana che usi come barbottina viene proprio dal territorio di Bizen.

Sì, la raccolgo io. I ceramisti di Bizen non usano questa porcellana, perché l’argilla che tutti associano al nome Bizen è un gres scuro che deriva dai campi di riso. Qualsiasi oggetto fatto con quella porcellana bianca invece dell’argilla tradizionale non sarebbe considerato veramente ‘Bizen’. Inoltre la miniera di porcellana di Bizen è di proprietà di una ditta di mattonelle, ed è vietato scavarla per usi personali. Io ho ricevuto un permesso speciale dal responsabile della ditta, visto che usare quella specifica porcellana fa parte della mia ricerca artistica.

Hai mai trovato altri tipi di argilla che abbiano proprietà simili a quella di Bizen?

Sì, in Gran Bretagna ho potuto trovare un’argilla molto bella nel Devon. Ci sono argille nel mondo che hanno un carattere anche più distintivo di quello di Bizen. Ma ciò che rende la ceramica Bizen speciale è il modo in cui l’argilla non smaltata è cotta (yakishime), e tutte le tecniche e l’attenzione richieste dal processo di cottura.

Qual è la tua serie di opere più famosa?

Beh, la Spiral wedging è al momento la mia tecnica più personale, e quindi per esempio i grandi vasi fatti con quella tecnica a spirale sono piuttosto popolari anche in Gran bretagna, e sono considerati la mia serie distintiva.  Ma recentemente sto sperimentando nuove tecniche, per esempio usando la ceramica grezza, ruvida, che è una tecnica completamente nuova non solo nel contesto di Bizen. Sto anche sperimentando una tecnica di marmorizzazione, che assieme allo Spiral wedging mostra sulle superfici degli oggetti il carattere dei diversi materiali.

Nella mostra autunnale della Kakiden Gallery di Shinjuku (Tokyo), ho potuto vedere dal vivo la nuova serie ‘Abyss Chawan’. È un esempio di porcellana grezza?

Sì, esattamente. Io la chiamo porcellana grezza (in ingl. ‘wild porcelain’, lett. porcellana selvaggia) perché la scavo personalmente. La chiamo anche porcellana ruvida perché normalmente la porcellana è molto liscia. Infatti se la porcellana è famosa per essere un materiale molto plastico e flessibile, nonché per la trasparenza, io la uso non raffinata, in modo che il pezzo finale risulti corposo e materico come gres non smaltato. Mi piace anche lasciare sabbia e piccole pietre nella porcellana che scavo, così l’opera finale si presenta come la porcellana che possiamo trovare in natura, non raffinata: per questo la chiamo grezza.

Anche la marmorizzazione è una novità delle serie del 2020?

In realtà l’ho già sperimentata prima, ma solo in questi ultimi anni ho iniziato a creare set di opere con questa tecnica. Intendo farne di più in futuro.

Ci sono altre tecniche o stili che vuoi sperimentare in futuro? Qualcosa che non hai ancora provato?

Voglio provare a creare nuove serie con la porcellana grezza e ruvida. Voglio vedere come diverse forme e tipi di oggetti possono essere ridefiniti dall’uso di questo materiale composito.

Interessante. Ma cosa pensano di questi esperimenti altri ceramisti di Bizen, soprattutto i più tradizionalisti?

Ah beh, i miei amici apprezzano molto le mie tecniche, ma non ho avuto la possibilità di parlarne ad altri ceramisti, e non ho mai chiesto loro cosa ne pensassero. Alcune persone sono interessate, altre probabilmente no.

Forse alcuni fra i ceramisti più anziani non apprezzano le novità?

(ridendo) Forse, forse!

Mi pare che ci sia un’attenzione particolare per questo… mh, chiamiamolo shin-Bizen [i.e. Bizen moderno, o neo-Bizen] che tu e altri giovani ceramisti state sperimentando.

Sì, in effetti ci sono molti giovani ceramisti che cercano di innovare e creare nuove strade per lo stile Bizen. D’altro canto, se è vero che si può considerare il mio stile come Bizen, visto che nelle mie tecniche porto avanti molto di ciò che ho imparato dalle generazioni del passato, allo stesso tempo si può anche considerare non Bizen, perché alcune delle innovazioni che ho introdotto sono molto radicali. In ogni caso per me non è così importante che il mio lavoro sia definito Bizen o non Bizen, visto che per me la cosa fondamentale è che persone dentro e fuori dal Giappone apprezzino le mie opere e possano trarne piacere.

In alcuni dei video in visione durante le tue mostre possiamo vederti mentre cammini nei boschi, alla ricerca di materiali o terre da usare come argilla. Quanto è importante questa relazione con la natura e l’esplorazione del mondo esterno?

Beh sì, questo è un aspetto fondamentale del modo in cui concepisco il mio lavoro. L’impulso di andare in giro ed esplorare è parte di un’attitudine che in Giappone chiamiamo waku waku, che significa ‘eccitazione’ e anche ‘impazienza’. Se io stessi sempre in studio a modellare le mie opere finirei per vivere quei gesti come un lavoro di ufficio, o comunque un tipo di lavoro nel quale bisogna solo eseguire il proprio compito senza pensare ad altro. Invece mi piace andare in giro e scoprire cose che non conosco. Mi dà nuove idee, e poi ovviamente posso provare quella sensazione di concretezza fisica che si ha solo quando camminiamo, specialmente in natura, e possiamo toccare e annusare tutto ciò che ci circonda. È un modo per espandere la mia coscienza del mondo fisico, e raccogliendo campioni di argilla, porcellana, sabbia e pietre rendo questa esperienza una parte integrante delle mie opere finite. C’è poi anche un aspetto di responsabilità nei confronti dei materiali che usiamo. Ecco, il recupero di materiali e terre considerati inutili ha anche implicazioni di sostenibilità ambientale. Ad esempio la porcellana che uso è quella scartata dalla ditta che si occupa della miniera, perché schiacciata dalle macchine dei minatori e per loro inutilizzabile. Mi piace l’idea di trasformare ciò che normalmente verrebbe ignorato o ammucchiato come scarto in opere che invece hanno un valore sociale importante.

Di recente hai sperimentato opere di colori diversi rispetto al passato.

Vero. La ceramica Bizen è tradizionalmente di colore rosso-marrone o marrone scuro, con parti colorate in blu con la tecnica sangiri, oppure di colore chiaro con i marchi rossi della tecnica hidasuki. Di recente alcuni ceramisti hanno iniziato a usare delle barbottine nere. Ma se modello opere che hanno forme nuove, non ha senso che io usi gli stessi colori. Questo è il motivo per cui voglio usare la barbottina di ceramica sulla superficie esterna. Ecco, la porcellana è bianca, e viene coperta in cottura dalle ceneri del legno. Questo crea dei motivi decorativi di colore diverso. Aggiungendo cobalto la porcellana acquisisce tonalità che richiamano il blu del mare, mentre mescolandolo con l’argilla Bizen posso ottenere un effetto di marmorizzazione arancio che richiama le stratificazioni del terreno o di una conchiglia. Tutte le mie colorazioni alludono alla natura.

Per esempio la Chawan (tazza da tè) Abyss è blu.

Sì. Come l’abisso è in fondo al mare, così la colorazione blu cobalto dell’Abyss Chawan richiama il blu scuro delle profondità. Il che si connette ai materiali grezzi come la porcellana selvaggia, che non può essere bianca come la porcellana raffinata perché contiene impurità naturali come sabbie e pietre.

A volte organizzi mostre e dimostrazioni con artisti di altri ambiti, come l’ikebana (l’arte giapponese della disposizione di fiori).

Sì. Per esempio in aprile ho fatto una dimostrazione di arrangiamento floreale sui miei vasi a spirale insieme al mio caro amico Kazuhiro Sugimoto, un grande e famoso artista di ikebana. Spesso parliamo delle nostre arti, e abbiamo sviluppato una specie di sinergia che aiuta entrambi a trovare nuove soluzioni e a migliorare quel che facciamo. Ci supportiamo e ci ispiriamo a vicenda.

Parliamo un po’ del tuo pubblico: pensi che i giapponesi di oggi conoscano la tradizione Bizen?

Mh, credo che dipenda dall’età. Persone che abbiano cinquanta o più anni conoscono la tradizione Bizen, perché hanno una conoscenza migliore del Giappone tradizionale. Le persone più giovani certamente meno.

So che un’altra tradizione ceramica famosa, quella Shigaraki, è diventata famosa di recente grazie a uno sceneggiato della NHK ambientato nel villaggio di Shigaraki. Non c’è ancora nessuno sceneggiato della NHK su Bizen: forse dovrebbero farne uno? (ridendo)

Eh beh, forse sì! (ridendo)

Tu sei molto attivo su Instagram e altri social media per promuovere la ceramica Bizen. Pubblichi video e tutorial sulla tua arte e le tue attività.

Sì, cerco di mostrare il mio modo di lavorare, che ha dei punti in comune con quello che fanno anche altri giovani ceramisti. Ma i loro procedimenti si riallacciano anche alla ceramica Bizen antica, quindi in un certo senso è tutto connesso.

Prendi anche parte a molte mostre collettive insieme ad altri giovani artisti di Bizen.

Sì, questo è in parte dovuto al fatto che normalmente le mostre sono promosse dai grandi magazzini giapponesi. Le mostre possono essere incentrate specificamente su ceramisti più giovani, oppure più in generale su ceramisti Bizen, quindi dipende.

In effetti è affascinante quanto questa cultura dello shopping possa influenzare le carriere degli artisti [N.B.: in Giappone tutte le più grandi città hanno decine di grandi magazzini organizzati in poderosi edifici di circa dieci piani, con ampi spazi per vetrine di oggetti artistici e mostre vere e proprie]. In Italia non abbiamo un sistema diffuso di grandi magazzini come in Giappone, e quando le persone fanno shopping non si trovano in mezzo a mostre di arte contemporanea che possano visitare gratuitamente.

Ah sì? Se è così allora in Giappone la situazione è diversa. I grandi magazzini hanno un intero piano, di solito il settimo o l’ottavo, dedicato agli artisti contemporanei. Questo sistema ci offre molte opportunità di esibire le nostre opere in mostre sia collettive che personali.

Quando hai programmato la prossima accensione del forno?

Ci sto ancora pensando. Forse in primavera userò l’anagama, ma non ne sono ancora sicuro. 

Piani per il futuro? Quale sarà la tua prossima mostra?

Beh… mi era stato offerto di andare a Bali per un workshop, e mi stavo preparando, ma con questa nuova variante del Covid (la Omicron) non posso più essere sicuro di poter realizzare quel progetto, oppure se alla fine sarà rimandato. In marzo ci sarà una mostra personale in un grande magazzino di Okayama, incentrata sulla porcellana grezza. in giugno-luglio-agosto dovrei andare in Australia per un soggiorno di lavoro a Sidney.

Ci sono speranze di vedere te e la tua arte in Italia?

Mh, mi piacerebbe molto visitare l’Italia, e fare una mostra in Italia sarebbe un sogno per me. Ma al momento è impossibile organizzare qualcosa del genere. Chissà, forse in futuro, dopo che il mondo si sarà ripreso dal Covid19.

Già, speriamo che la pandemia scompaia il prima possibile. Nel frattempo, i lettori internazionali possono trovare te e i tuoi lavori on-line?

Certo, sul mio sito web (kazuyaishida.com), e ovviamente su Instagram (bizen_kazuya), dove cerco di caricare via via video di tutte le mie attività.

 

Breve glossario dei termini giapponesi impiegati

Anagama: let. ‘forno a pozzo’, è un forno alimentato a legna composto da una singola camera lunga, scavata nella terra o nel fianco di una collina. Fu introdotto in Giappone dalla Corea intorno al V secolo d.C.

Aobizen: let. ‘blu Bizen’, è una colorazione di tonalità blu, con strisce di un blu più chiaro. Il processo di cottura è simile a quello della colorazione hidasuki, salvo che verso fine cottura nel contenitore ignifugo è creata una atmosfera molto riducente, che fa emergere le colorazioni più scure.

Bizen-yaki: la ceramica Bizen, ovvero sia un’opera di ceramica fatta a Bizen, sia la tradizione Bizen nel suo complesso.

Botamochi: aree di colore chiaro e forma tondeggiante (come quella di un dolce tradizionale giapponese chiamato mochi) ben distinte dalla superficie rosso-bruna o scura (ad esempio per colorazione goma) di un pezzo Bizen. Questo stacco di colore è ottenuto dal posizionamento sula superficie del pezzo di uno o più oggetti tondi, che durante la cottura riparano le aree coperte da altri processi chimici.

Chawan: la tazza usata per la tradizione giapponese del tè (Chanoyu). È l’oggetto più importante della cerimonia, collezionato e venerato dagli appassionati della via del tè. Nell’ambito dell’arte ceramica giapponese il chawan è probabilmente il ‘genere’ più importante della tradizione. 

Fuseyaki: doppia colorazione di un pezzo, ottenuta dal suo inserimento in un altro pezzo durante la cottura, con la conseguente schermatura da altri processi chimici di una sua sola parte. 

Hidasuki: colorazione di una superficie chiara con strisce rosso vivo. Si ottiene collocando il pezzo, avvolto con paglia di riso, dentro un contenitore ignifugo, che così lo protegge dalla fiamma diretta: durante la cottura la paglia si dissolve marcando di rosso la superficie avvolta.

Goma: smalto naturale, di un colore grigio-marrone che ricorda il sesamo, generato dallo scioglimento alle più alte temperature delle ceneri di legno di pino, che, soprattutto nella parte superiore degli oggetti, si fondono con i minerali dell’argilla.

Noborigama: let. ‘forno che ascende’, è un forno alimentato a legna composto da molte camere interconnesse, che progressivamente salgono su un versante collinare. Fu introdotto dalla Corea nel XVII secolo.

Rahō: la tecnica di decorazione a spirale usata da Kazuya Ishida. 

Rokkoyō: i Sei Forni Antichi del Giappone. Il nome indica le sei località giapponesi che per quasi mille anni sono stati importanti centri di produzione di ceramica: Bizen, Echizen, Seto, Shigaraki, Tamba, Tokoname.

Sangiri: colorazione cangiante, di un blu-grigio metallico, che caratterizza i pezzi completamente o in parte ricoperti da cenere e quindi mancanti di ossigeno durante la cottura (con processo di riduzione).

Tsuchi-aji: let. ‘sapore della terra’, ovvero l’apprezzamento della matericità e dei colori che il gres non smaltato acquista durante la cottura ad alte temperature.

Waku-waku: la naturale curiosità e spinta a esplorare nuovi luoghi e nuove idee.

Yakishime: il processo tradizionale di cottura di pezzi non smaltati in forni come l’anagama o il noborigama, e tutte le tecniche connesse alla decorazione dei pezzi mediante gli espedienti di cottura.

 

Bibliografia minima

Mieko Sawada, Japanese Pottery. Yakimono Bilingual Guide, Tokyo, Shogakukan, 2020 (breve introduzione bilingue, giapponese e inglese, alle principali tradizioni e alla terminologia della ceramica giapponese).

Penny Simpron, Lucy Kitto, Kanji Sodeoka, The Japanese Pottery Handbook. Revised Edition, New Introduction by Ken Matsuzaki and Philip Leach, New York, Kodansha USA, 2014 (un manuale tipologico illustrato di ceramica giapponese, con ampi glossari inglesi e giapponesi suddivisi per categorie storiche e tecniche).

Nino Caruso, Dizionario illustrato dei materiali e delle tecniche ceramiche. Con oltre 200 ricette di smalti, vernici e ingobbi, Milano, Hoepli, 2006 (dizionarietto italiano dei termini più comuni della ceramica, inclusi alcuni di origine giapponese).

Nino Caruso, Decorazione ceramica, Milano, Hoepli, 2010 (fra le tante tecniche di decorazione della ceramica descritte ne figurano molte giapponesi, incluse alcune tipiche di Bizen, con spiegazione dei processi chimico-fisici legati ai diversi forni e alle diverse cotture).

The Bizen: From Earth and Fire, Exquisite Forms / Tsuchi to honō kara umareru zōkeibi, a c. Masahiro Karasawa, Nagoya, NHK PlanNet Chubu, 2019 (catalogo di una grande mostra itinerante, tenutasi dal 22.2.2019 al 27.9.2020 in sette diverse località giapponesi, Tokyo, Tochigi, Yamaguchi, Shiga, Hyōgo, Okayama, Aichi. È una buona introduzione alla ceramica Bizen, e contiene fotografie, articoli e schede bibliografiche, sia in giapponese che in inglese, dedicati ai più importanti maestri della tradizione Bizen).

Next: The Bizen-yaki. Artists Creating The Future of The Bizen / Bizen no mirai o sōzō suru mono tachi, Okayama-Fukuyama, Tenmaya Bijutsubu, 2020 (catalogo di una mostra dei lavori di più di venti giovani artisti di Bizen, tenutasi presso la galleria Okayama Tenmaya di Okayama, 8-14 luglio 2020, e la galleria Fukuyama Tenmaya di Hiroshima, 2-7 dicembre 2020; presenta a pp. 8-9 cinque opere di Kazuya Ishida).

 

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