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Giorgia Karvunaki intervista George Veis

George Veis (Atene 1955) è un Ambasciatore onorario. È stato rappresentante permanente della Grecia presso l’UNESCO. Nel 2000, 2009 e 2015 gli sono stati assegnati i Premi statali di Testimonianza – Cronaca, di Testimonianza e di Letteratura di viaggio. Nel 2014 ha ricevuto il Premio di Poesia della Fondazione Petros Charis dell’Accademia di Atene, per la sua opera omnia.

Chi è George Veis e cosa vorrebbe che sapessero di lui i lettori italiani?

Sono nato ad Atene nel febbraio 1955. Nel 2012 il governo greco mi ha insignito della medaglia della Gran Croce dell’Ordine della Fenice per i miei servizi nel campo diplomatico. Ho prestato servizio in dieci sedi diverse in tutti e cinque i continenti. Oggi porto il grado di Ambasciatore onorario. Sono membro dell’Ordine degli Avvocati di Atene, della ‘Società degli Scrittori’, dove sono stato eletto Vice Presidente (2017-2019) e del “Circolo dei Poeti”. Ho due figlie e tre nipoti.

Le mie poesie sono state tradotte in nove lingue europee, in indonesiano, in giapponese, in arabo e in cinese. Sono state pubblicate quattordici mie raccolte di poesie. Ho tradotto libri di Jorge Luis Borges, di Raymond Chandler, di Galway Kinnell e di John Luther Long.

Nel 1989 ho ricevuto il premio ‘Andreas Kalvos’ del Queens College dell’Università di New York City per il mio sostegno agli studi bizantini e neogreci. Sono stato premiato tre volte con il Premio statale greco di Cronaca – testimonianza (2000, 2010 e 2016). Nel 2008, la mia raccolta di poesie dal titolo Λε­πτο­μέ­ρειες κό­σμων (“Dettagli di mondi”) ha vinto il Premio di poesia ‘Lambros Porphyras’ dell’Accademia di Atene. Nel 2014 ho ricevuto il Premio di Poesia della Fondazione Petros Charis per la mia opera omnia.

Ci sono molte variabili nella sua vita: cambiamenti di paesi, di luoghi di lavoro, di residenze, di immagini, di persone. Quali erano e sono le sue costanti?

Ce n’erano e ce ne sono ancora tre: L’amore per l’innamoramento. L’amore per lo sviluppo della mente. La scrittura come ossigeno.

Qual è il rapporto della sua scrittura con lo spazio e il tempo?

Il mio io, preparato o non preparato, accoglieva ogni volta, per forza, come meglio poteva, le cose nuove. Senza perdere tempo e con tutta l’onestà dovuta. Il nuovo paesaggio rivendicava in modo decisivo un posto dentro di me. La ‘cosa estranea’ o compresa in modo approssimativo fino a poco tempo prima, e in alcuni casi ‘esotica’, cominciava a diventare la mia seconda, terza, o quarta casa e così via. L’io si rannicchiava di conseguenza all’interno degli aspetti della nuova realtà. In questo modo le capitali e le città dei paesi stranieri, una dopo l’altra, diventarono parti distinte di un mosaico di significati. Allo stesso tempo, la lingua greca trovava il modo di appropriarsi dello spazio-tempo. Così, l’essenza del paesaggio veniva incorporata nella parola. E ho sempre la sensazione che, scrivendo, ritorno alle immagini dei paesaggi che sono stati per me determinanti. Non scrivo – permettetemi di sottolinearlo – come parlo. Scrivo esattamente come penso. E sono costretto, proprio a causa delle circostanze, a pensare con rapidità salvifica.  L’elaborazione che viene fatta in seguito, il rinnovamento o anche il restauro di quelle che ormai sono parti integranti dell’eredità dei miei paesaggi, costituisce una sorta di cerimonia. In breve, è la preparazione e l’esperienza conseguente a un altro viaggio. Non nel campo dell’immaginario e nemmeno del simbolico, ma nel regno del reale. Dunque è ovvio: la mia scrittura non accetta i dati dei sensi come si suppone che siano, cioè nella loro forma iniziale. Dopo averli elaborati il più possibile, cerca di ascoltare e poi interpretare le loro eventuali sostanze profondamente nascoste. Il loro vero essere, per rifarsi a Platone. Per dirlo in altre parole, non annullo la realtà più immediata. Sono abituato semplicemente ad allargarla, radiografarla, valorizzarla. Innalzando il velo di Maya, che sa coprire la realtà cosi bene, come ritengono gli indù, vedo, registro e riproduco quel quid.

Scrive poesie, prosa, saggi. Qual è il rapporto tra poesia e narrazione? Tra la struttura monologica e la struttura dialogica?

Scrivo UNO, ed esclusivamente UN SOLO libro. I singoli lavori pubblicati sono solo capitoli di quest’unico libro. Sono un appassionato fan della scrittura unificata, come viene definita dai moderni linguisti testuali. Le poesie arrivano. Sono donate se non completamente, come riteneva ad esempio Ghiorgos Seferis, almeno in larga misura. Ahimè, poveri noi, se non fossero state donate. Sarebbero testi giornalistici. Piuttosto indifferenti. Non so esattamente da dove provengano le poesie. L’editing, quando risulta necessario, è compito di un abile artigiano. Non dimentico la definizione di Wallace Stevens: ‘la poesia è l’arte dello studioso’. In breve, per me non esistono linee rosse che separano un campo dall’altro. Sappiamo infatti dai tempi remoti che, sebbene la forma e i toni espressivi siano diversi, il messaggio in prosa e il relativo messaggio poetico rimangono sempre gli stessi. Vale la pena citare ciò che Wu Xiao ha risposto alle stesse domande sulla poesia di Wang Jiling diversi secoli fa, in Cina, durante la dinastia Qing. Proprio per sottolineare l’atemporalità di questa pseudo-divisione apparentemente tortuosa, dichiara: ‘Il messaggio è come il riso. Scrivendo in prosa cucini il riso. Scrivendo poesie, trasformi il riso in vino di riso. Quando cuoci il riso, la forma del riso non cambia, ma quando lo trasformi in vino, cambia sia la forma che la consistenza. Il riso cotto ti soddisfa in modo da poter vivere: questo è il normale percorso delle vicende umane. Il vino, dall’altra parte, ti inebria: trasforma la tristezza in gioia e la gioia in tristezza. Il suo effetto è al di là di ogni spiegazione logica’. Queste e altre cose notevoli sono sviluppate nel libro The art of writing di Tony Barnstone e Chou Ping (by arrangement with Shambhala Publications, Inc., 300 Massachusetts Avenue, Boston, M.A. 02115).

Qual è il rapporto tra poesia e soggettività? Esiste un ego poetico ‘puro’, o il soggetto nella poesia si presenta solo attraverso i suoi residui frammentari?

Secondo Wallace Stevens, con il quale sono d’accordo, ‘la realtà è il prodotto dell’immaginazione più alta, e l’uomo è la fantasia, o meglio la fantasia è l’uomo. A lungo termine, la verità non ha importanza’. L’ io poetico è piuttosto un fantasma creativo che vive dentro l’ego insieme ad altri fantasmi. Ed è tutto chiaro quando la scrittura poetica sa concentrarsi nella sostanza visibile ed evidente.

Qual è l’importanza, la necessità e la ricezione della poesia nel periodo che stiamo attraversando?

Credo che la poesia continuerà negli anni a venire a sprigionare saggezza visionaria, sezionando e ridistribuendo la materia dura della realtà che a volte ci circonda in modo così soffocante. La scrittura poetica continuerà ad esercitare il suo privilegio fondamentale, intrinseco ad essa, cioè a precedere e prevedere e a rivolgere lo sguardo verso i nuovi paesaggi dell’uomo. L’antica e ininterrotta continuità della poesia greca garantisce, tra l’altro, che oltre all’esperienza dei sensi, ci sarà sempre l’esperienza della Mente Poetica, che ha il dono di abolire riflessi e falsi fenomeni, quello che viene solitamente chiamato nel modo più banale ‘realismo assiomatico’. Sono convinto che più il mondo si mostrerà inequivocabilmente posseduto da tendenze di autodistruzione, più la poesia agirà in modo inverso, come tendenza di conservazione e di sopravvivenza e di disinteressata autoaffermazione del fattore umano, che insiste ad opporsi al suo asservimento.

Qual è il rapporto, secondo lei, tra poesia e trauma storico, soggettivo e linguistico?

La scrittura come sostituto, terapeuta, mediatore di sogni. Relazione fragile ma non vana. Tratta il mondo oggettivo su un piano di parità. Scrivo (e) immagino. Nel frattempo scriviamo tutti lo stesso libro. Siamo necessariamente uno / una. Scriviamo, rivendicando il fascino letterario. Qualsiasi cosa ci renda meno vulnerabili nella grande foresta delle illusioni e delusioni. Scriviamo per disinfettare la nostra casa, per scacciare il nemico una volta per tutte, l’instabilità dell’essere. Per quanto infruttuoso possa talvolta rivelarsi l’intero processo di scrittura, in definitiva è un allontanamento dalla caduta nell’afasia. Al contrario del terrorismo, che perpetua senza esitazione la spersonalizzazione dei membri delle cellule sociali, i nostri testi osano agire, nel migliore dei casi, da catalizzatori di libertà. Se veramente la parola consiste nell’ uccisione della cosa, come ci ha insegnato Georg Wilhelm Friedrich Hegel, allora la poesia viene a rimarginare, per quanto possibile, il grande vuoto.

Qual è il ruolo della poesia oggi nella definizione delle identità collettive? Identifica una comunità linguistica, nazionale o meglio si muove verso una dinamica europea, o forse globale?

Indubbiamente la poesia continuerà ad agire in varie direzioni: da un lato attrarrà e verrà attratta dal polo del reale e da ciò che questo può eventualmente significare, e dall’altro sarà stimolata dall’immaginario con tutte le sue dinamiche. All’indiscutibile caos che in ogni momento è pronto ad aprirsi davanti a noi, quel caos minaccioso e sottointeso con cui le armi nucleari prefigurano con onestà disarmante la nostra fine biologica, si contrappone la poesia contemporanea per aiutarci a vedere in modo più chiaro l’ordine al posto del disordine, il ritmo al posto dell’anarchia e dell’aritmia.

Qual è il valore della parola nell’era della sovrinformazione?

La metafora, che dà sostanza ma che ossessiona contemporaneamente la poesia, darà sempre più garanzie alla conservazione del vecchio equilibrio, cioè che l’immaginario esiste nella misura in cui c’è vita sul pianeta Terra. Al di sopra delle rappresentazioni pittoresche di un tempo della fenomenologia del mondo, ci sarà sempre, attraverso la poesia, la grande possibilità dell’espandersi della coscienza, ovvero la capacità di poter agire in base a una seconda visione.

Lei è plurilingue. Qual è il suo rapporto con la traduzione? Lavora insieme ai traduttori che traducono i suoi testi?

Tradurre significa iniziarsi all’Altro/all’Altra. Traduzione significa ampliamento della visione, espansione del mio essere.

L’anno scorso è stato il 700° anniversario della morte del Sommo Poeta. Quale brano della Divina Commedia sceglierebbe per i lettori italiani e quale avrebbe scelto se questa intervista fosse pubblicata in una rivista greca?

In tutti e due i casi sceglierei i versi con cui inizia la mia prima raccolta di poesie Φόρμες και άλλα ποιήματα 1970-73 (“Forme e altre poesie 1970-73”), pubblicata dalla casa editrice ‘Kouros’, nel febbraio 1974, quando avevo 19 anni.

Inferno XXI, 41 – 42
ogn’uom v’è barattier, fuor che Bonturo;
del no, per li denar, vi si fa ita.

Paradiso XXXIII, 133 – 135
Qual è ’l geomètra che tutto s’affige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’ elli indige,

Conosce la poesia e la prosa contemporanea italiana? Se sì, c’è un poeta o uno scrittore a cui tiene particolarmente?

Italo Calvino è uno dei miei Maestri. Rileggo spesso le sue opere. Apprezzo molto Alda Merini, Eugenio Montale, Sandro Penna, Giuseppe Ungaretti, Pier Paolo Pasolini. Mi piace moltissimo anche una poetessa del ’600, Isabella di Morra. Inoltre ho scritto recensioni di tutti i libri tradotti in greco dello scrittore Claudio Magris.

Poesia inedita

L'autore

Giorgia Karvunaki
Giorgia Karvunaki è nata in Grecia, a Creta, a Canea. Ha studiato in Italia Lingua e cultura italiana per stranieri, Scienze Politiche - Indirizzo Internazionale, Insegnamento dell'italiano come LS, Sceneggiatura e in Grecia Traduzione  - Traduttologia. È membro associato e National Convener per la Grecia dal 2007 della Commissione internazionale per la storia delle istituzioni rappresentative e parlamentari (ICHRPI), Rappresentante accreditata del Nosside, Premio Internazionale di Poesia (Unesco) e Membro dell'International Theatre Institute (ITI). Vive ad Atene dove lavora come insegnate, traduttrice, promotrice culturale e ricercatrice storica. Le sue traduzioni, le sue interviste e i suoi articoli, sono stati pubblicati in riviste cartacee ed elettroniche in Grecia, in Italia e in Romania. Le sue traduzioni di opere teatrali sono state messe in scena in Grecia e in Italia. Nel 2018 è stata premiata dall'Istituto Italiano di cultura di Atene con il ‘Premio Luigi Pirandello’.