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Dietro le quinte della petizione per Pound

Presento in questa rubrica alcune novità relative alla Petizione italiana per liberare Pound dal manicomio criminale di Washington nel quale era rinchiuso dal 1945, rimandando per l’intera vicenda all’articolo in corso di stampa nel volume a cura di Roberta Capelli, Ezra Pound, un intellettuale tra intellettuali (Milano, Ares edizioni).

Il 21 gennaio 1956 il poco più che ventenne Vanni Scheiwiller, al timone ormai da cinque anni dell’omonima casa editrice fondata negli anni Venti dal padre Giovanni, scrive una lettera a Giuseppe Ungaretti per complimentarsi delle belle parole che questi aveva riservato per Ezra Pound nella rubrica “Italia domanda” del settimanale «Epoca» (15 gennaio 1956 [n. 256, vol. XXII, p. 6]), intitolata per l’occasione Dalla prigione dei pazzi Ezra Pound pone il suo dilemma di poeta “traditore”. Del resto, come ricorda Vanni, era stato proprio il poeta americano a fornire l’occasione del primo incontro tra i due: «mi fa piacere, perché ho conosciuto lei di persona, proprio e solo per parlarle di Ezra Pound, ricorda? Un caso simpatico». Vanni prosegue accennando ai progetti che lo vedono coinvolto in questioni relative a Pound: innanzitutto la petizione degli scrittori italiani, di cui si fa portavoce: «Valeri e Solmi stanno pensando da anni a un Appello di scrittori italiani per la liberazione di Ezra Pound. Spero di arrivare in porto per Pasqua. (Io faccio solo il postino). Lei sa meglio di me come è difficile mettere d’accordo quelle teste dure dei “letterati” (specie i “critici” e i poeti di secondo piano…)». In secondo luogo il suo desiderio di continuare a pubblicare Pound, cosa che effettivamente avrà luogo in quegli anni, come si ricava dalla notevole monografia di Laura Novati, in cui viene ricostruita la sua articolata produzione editoriale (Giovanni e Vanni Scheiwiller editori. Catalogo storico 1925-1999, Milano, Unicopli, 2013): «Io sono decisissimo a fare l’edizione, con o senza l’aiuto di Laughlin (non è l’unico editore negli USA. Temo sia rimasto un po’ seccato per la prima edizione dei nuovi Cantos in Italia! Comunque non è detto.). Io ho solo bisogno che la fortuna continui ad aiutare i miei piccoli Pesci d’Oro e che Mondadori si mostri generoso per i diritti. Non dubito».

Questa lettera testimonia non solo l’inizio della futura collaborazione tra Ungaretti e il giovanissimo Vanni, ma anche il ruolo svolto da quest’ultimo nella petizione per liberare Pound. Da uno spoglio delle carte d’archivio dei fondi Scheiwiller (Centro APICE dell’Università di Milano), Solmi (Fondazione Centro di studi storico-letterari Natalino Sapegno di Morgex) e Valeri (Fondazione “Giorgio Cini” di Venezia), si possono ricostruire le tappe salienti della vicenda.
L’Appello sarebbe dovuto uscire in occasione del settantesimo compleanno di Pound (30 ottobre 1955), ma svariate circostanze ne impediscono l’uscita. L’insuccesso viene mitigato dalla pubblicazione sul «Corriere della sera» di un articolo di Giovanni Papini dall’eloquente titolo Domandiamo la grazia per un poeta. Nei mesi seguenti Vanni si rimette all’opera sulla petizione, augurandosi di poterla consegnare all’Ambasciata americana, come scrive ad Ungaretti, entro i primi giorni di aprile del 1956. In realtà la consegna dell’Appello, tradotto in inglese da Allen Mandelbaum, avverrà solo nel mese di agosto.
Qui di seguito riproduco la redazione del testo in italiano, facendola seguire da un’unica lista di firmatari, disposti secondo l’ordine alfabetico. Ho posto alla fine i nomi di coloro che appoggiano la petizione proponendo dei distinguo (racchiusi tra parentesi quadre):

Appello per la liberazione di Ezra Pound

Gli scrittori italiani qui sottoscritti desiderano far giungere alle supreme Autorità politiche e giudiziarie degli Stati Uniti d’America un ardente appello affinché, rimossi gli ostacoli formali che ancora sussistano, venga restituita la libertà al loro eminente collega Ezra Pound, da dieci anni segregato in un manicomio criminale, dove ha da poco compiuto i settant’anni.
I sottoscritti, alcuni dei quali furono antifascisti dichiarati e dal Fascismo ebbero condanne, pur non entrando nel merito politico e giuridico della questione, esprimono la loro convinzione che il Pound sia sostanzialmente innocente delle accuse di alto tradimento contro di lui formulate in un tempo di lotta e di accese passioni.
Che se si volesse ravvisare nel suo comportamento degli anni di guerra un caso di follia, si tratterebbe allora di una follia poetica alla Hōlderlin o alla Nerval o alla Dino Campana, che lo avrebbe, a differenza di costoro, tragicamente invischiato in una lamentevole sproporzionata avventura.
I sottoscrittori, perciò, si rivolgono all’illuminata comprensione e clemenza delle Autorità statunitensi affinché sia benevolmente riesaminato il caso e ritirata l’accusa contro questo illustre poeta, di cui sono grandissime le benemerenze culturali verso l’America e il mondo intero; fanno voti che egli, restituito alla libertà, possa ritornare in quest’Italia da lui tanto amata, per chiudervi in pace laboriosa i suoi giorni.
Sperando di essere appoggiati dalla Signora Luce, si firmano:

G.B. Angioletti, Riccardo Bacchelli, Luigi Bartolini, Attilio Bertolucci, Carlo Betocchi, Piero Bigongiari, Giorgio Caproni, Raffaele Carrieri, Emilio Cecchi, Libero de Libero, Alfonso Gatto, Virgilio Giotti, Piero Jahier, Mario Luzi, Eugenio Montale, Alberto Moravia, Marino Moretti, Aldo Palazzeschi, Giovanni Papini, Alessandro Parronchi, Enrico Pea, Sandro Penna, Vasco Pratolini, Mario Praz, Don Clemente Maria Rebora, Umberto Saba, Camillo Sbarbaro, Ignazio Silone, Leonardo Sinisgalli, Sergio Solmi, Giani Stuparich, Leone Traverso, Giuseppe Ungaretti, Diego Valeri, Cesare Zavattini.

Salvatore Quasimodo [Firmo l’appello, che avrei desiderato sotto forma di rigorosa richiesta di clemenza e privo di giudizio critico sulla probabile innocenza circa un reato militare o politico di Ezra Pound], Vittorio Sereni [Aderisco col solo intento di ottenere la libertà per Ezra Pound e il suo ritorno a decenti condizioni di vita. Vorrei fosse ben chiaro che l’essere poeta non esclude una responsabilità, non costituisce un privilegio né un’attenuante], Nicola Chiaromonte [Io mi associo completamente al primo capoverso di questa domanda di clemenza], Carlo Levi [Mi associo al primo capoverso di questa domanda di clemenza], Elio Vittorini [Sottoscrivo, ma solo per il primo capoverso, che è l’essenziale; limitandomi con ciò a chiedere che Ezra Pound venga perdonato in ragione della sua vecchiaia, e non già che sia riconosciuto innocente. Il fatto di essere, come certo egli è, un grande poeta, non può costituire “privilegio” né può tanto meno portare a considerarlo un “irresponsabile” che sarebbe “offensivo” verso la condizione dei poeti in generale].

Nel giro di poche settimane l’Ambasciata comunica che la questione non è di sua competenza, ma delle autorità di Washington. Queste ultime risponderanno in maniera negativa nel mese di novembre, motivo per cui Vanni proverà a organizzare stavolta un Appello internazionale, come testimonia una bozza di lettera a Jean Cocteau del febbraio 1957: «Caro signor Cocteau, l’anno scorso è stato consegnato all’Ambasciata americana di Roma un appello per la liberazione di Ezra Pound (…). Ma ora sono passati sei mesi e non ne hanno fatto niente. Dobbiamo quindi ricominciare tutto e provare questa volta con un appello di carattere internazionale, sempre in nome dei più elementari valori umani e civili e senza entrare in merito alla questione giuridica e politica. Potrei contare sul suo appoggio per la Francia? Scrivo contemporaneamente a Eliot (potrà chiedere a Auden, Spenden, E. Sitwell, etc.) per l’Inghilterra, e a MacLeish per l’America (perché chieda a Hemingway e qualche altro premio Nobel americano, Williams, Marianne Moore Aiken, Cummings, etc.). Per l’Italia quelli citati. Per la Spagna proverei io, ma soltanto con poeti in esilio come Guillén, Alberti, Jiménez, etc. Per i poeti in lingua tedesca ci pensa l’editore svizzero Schifferli e così pure per l’Europa del Nord (Ne ha già parlato a Lagerkvist e favorevole a Pound è lo stesso segretario dell’ONU Hammarskjold). Qualche altro poeta potrebbe essere Neruda, Seferis Ellitis e quelli che suggerirà lei. Gli scrittori d’oltre cortina e quelli fascisti mi pare non abbiano il diritto di firmare. Per la Francia posso contare sul suo aiuto? (Mi hanno riferito che lei ha già fatto qualcosa). Penserei a Cendrars, Mauriac, Aragon, Paulhan, Supervielle, Jouve, Saint J. Perse, Reverdy, Tzara, Soupault, Prevert, Freanau, e che so io, Sartre e Camus e Malraux».

Con il ritorno di Pound in Italia nel 1958, si chiude l’affaire per liberarlo. Diversamente da quanto scriveva a Ungaretti, il ruolo di Vanni non si limita a quello di “postino”, ma si rivela particolarmente significativo nel muovere i fili della complicata matassa. Tra lui e Pound si instaura pertanto un rapporto di amicizia “de lonh” che continuerà per tutta la vita. E lo stesso Pound, dall’alto della sua fama mondiale, ripagherà questa lealtà definendo il suo giovane amico «fedele in ore di tempesta» (così la dedica autografa della copia per Vanni del Confucio), e per il tramite di sua figlia Mary come «il miglior editore», considerandolo pertanto alla stregua del padre Giovanni.

Catalogo Giovanni e Vanni Scheiwiller

Una simmetria che unisce i due Scheiwiller, al punto che le bellissime parole di Pound su Giovanni del 1937 vengono riproposte da Vanni a mo’ di premessa nel volumetto Edizioni di Giovanni e Vanni Scheiwiller 1925-1978:

Scheiwiller collaborò al movimento della Nuova Economia senza saperlo e col suo coraggio si oppose alla cupidità mondana. Decise di pubblicare letteratura, prima che il pubblico domandasse la letteratura di domani, o una letteratura che s’indirizzava a pochi lettori d’un gusto e d’una intelligenza superiori. Egli concepì un sistema, che recava una perdita piccola, ma assoluta all’editore (…). Lo Stato ha credito, non ha bisogno di chiederlo ai privati. Le tasse sono una superstizione. Viva Scheiwiller, che ha condotto a modo suo la battaglia contro la cupidità superstiziosa dell’Ottocento.

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