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Una proposta ecocritica: interpretazioni dell’“apocalittico” Howards End di E. M. Forster

Verso la metà del ‘900 inizia a farsi strada una nuova branca della moderna critica letteraria che si pone l’obiettivo di approfondire la consapevolezza ecologica dei lettori e di incoraggiarli all’attivismo. Questa nuova corrente di pensiero diventa presto nota come Ecocriticism ed emerge in risposta all’incontrollato espansionismo economico e tecnologico della società moderna, ritenuto una causa diretta del graduale cambiamento climatico, dell’estinzione di molte specie animali o, ancora, dell’emarginazione delle popolazioni più abusate e bisognose.

Inizialmente percepita come un fenomeno marginale rispetto alle teorie post–strutturaliste e neo–storicistiche, l’ecocritica si è definitivamente affermata in quanto movimento accademico a partire dagli anni ’80. Nel ‘93 nasce la prima rivista del settore, la Interdisciplinary Studies in Literature and the Environment, tuttora il principale sito di pubblicazione per l’ecocritica. Pur trattandosi di un sottogenere di recente sviluppo, ancora poco esplorato ed ancor meno conosciuto tra i lettori, questo settore ha attratto sempre di più l’interesse degli studiosi, distinguendosi per la sua interdisciplinarietà, per il forte impegno nella promozione del multiculturalismo, nella lotta alle discriminazioni e ad ogni forma di violenza.

L’opera del britannico Edward Morgan Forster (1879–1970) ha goduto di poche attenzioni in questo contesto, forse a causa della sua difficile collocazione nell’ambiente letterario tardo vittoriano o in quello modernista. Tuttavia, vi è qualche eccezione: non mancano gli studi di stampo ecocritico intorno alle sue opere principali o ad alcuni racconti, come nel caso del distopico “The Machine Stops” (The Eternal Moment and Other Stories). Kelly Sultzbauch, docente presso la University of Wisconsin, ha dedicato all’autore un capitolo dettagliato nel suo notevole Ecocriticism and the Modernist Imagination: Forster, Woolf, and Auden. Sono state svolte numerose indagini a sostegno dell’essenza modernista delle opere di Forster e a queste possono essere applicate delle interpretazioni più inclusive e delle avvincenti riletture ecocritiche.

Ma qual è la storia dell’Ecocriticism?

Il termine ecocritica abbraccia una vasta gamma di approcci. Il prefisso eco- compare nel 1866 nella parola Ökologie, coniata dal biologo Ernst Haeckel e costituita dal prefisso oikos (casa) e lògos (discorso). Nella sua accezione haeckeliana, il termine denota lo studio delle interazioni tra gli organismi viventi e il loro habitat, indipendentemente dalle possibili influenze esercitate dall’essere umano. È stata poi la chimica americana Ellen Swallow ad utilizzarlo in senso moderno nel 1892, indicando lo studio di ciò che circonda l’uomo, l’ambiente e le loro reciproche influenze. Nel 1962, la biologa Rachel Carson pubblica il suo celebre Silent Spring, in cui denunciava l’uso del DDT nell’agricoltura intensiva che avrebbe gettato le primavere americane in un silenzio mortuario. Grazie a quest’opera, divenuta poi manifesto del movimento ambientalista, tra le persone inizia a dilagare una nuova consapevolezza ecologica. L’idea che tra ecologia e letteratura possa esserci una correlazione sorge poi nel 1972 con Joseph Meeker che nel suo saggio, The Comedy of Survival, si chiede: “can literature contribute to our survival?”

Secondo Meeker, l’artificiosità della letteratura sarebbe sintomatica delle relazioni che si instaurano tra l’umano e il non–umano. Per questa ragione, uno studio più approfondito ed un’accurata riflessione da parte degli studiosi intorno alle influenze della letteratura sul nostro comportamento dovrebbero essere ritenuti cogenti e prioritari. Le valutazioni di Meeker hanno contribuito a diffondere una nuova concezione della vita su questo pianeta e senza dubbio precorrono lo sviluppo dell’ecologia letteraria che si è concentrata sulle connessioni tra l’umanità e l’ambiente fisico in letteratura, prestandosi a qualsiasi genere letterario. In particolare, il connubio tra critica letteraria e ambientalismo implica un impianto comparativistico che attinga da diversi campi del sapere, da quello scientifico a quello antropologico, dalla dimensione psicologica a quella filosofica.

Il movimento ecocritico si è sviluppato in quattro diverse “ondate”. La First Wave si è impegnata prevalentemente nella costruzione di un canone che comprende, per citarne alcuni, Nature di Ralph Waldo Emerson e Walden di Henry David Thoreau. La prima fase dell’ecocritica ha ruotato intorno ad una produzione letteraria poeticamente romantica nei confronti della natura selvaggia, con l’intento di indirizzare la critica letteraria verso un nuovo approccio scientificamente accurato. Saranno però gli esponenti della Second Wave a ritenere che, per scrivere sulla natura, non si possa prescindere dall’esperienza diretta. Si iniziano così a svolgere delle ricerche in situ e, alle volte, ad accostare la figura dell’ecocritico a quella dell’etnografo. Con l’espansione e la suddivisione dei territori in epoca postmoderna, la netta distinzione tra “natura” e “ambiente” è andata sfumandosi sempre di più e gli studiosi del secondo periodo dell’ecocritica hanno voluto spingersi oltre il genere letterario, il tempo e lo spazio esplorati dagli esponenti della First Wave. In questo modo, gli studi ecocritici hanno iniziato ad arricchirsi di nuove prospettive, come quella degli studi culturali, introducendo una visione sociocentrica del concetto di “ambiente”. Questo è stato esteso al di là di quello naturale, fino ad abbracciare anche quello urbanizzato. L’ambiente inizia ad assumere un nuovo valore e giunge a ricoprire una posizione di spicco nella riflessione degli studiosi che lo ritengono influente nella vita degli organismi come un vero e proprio constructed–body (Buell, The Future of Environmental Criticism).

All’inizio del XXI secolo inizia a farsi strada la Third Wave con Joni Adamson e Scott Slovic che propongono l’ambizioso progetto di esaminare tutti gli aspetti dell’esperienza umana in chiave ambientale. Viene riesaminato il concetto di alterità, espandendo quello di umanità oltre i costrutti sociali su cui si basa. La nuova fase esplora questioni etniche e nazionali arricchendosi di studi postcoloniali, indigeni ed etnografici, di dibattiti sull’eco–cosmopolitismo, sull’ecofemminismo materialista, sull’ecomachismo ed altri. Nel 2014 Serenella Iovino e Serpil Oppermann curano il volume Material Ecocriticism che si pone come un ulteriore sviluppo del pensiero ecocritico intorno alla materia e agli oggetti del quotidiano. Il non–umano, sia naturale che artificiale, può “raccontare” il mondo e può essere visto come parte di un sistema più ampio di forze agenti ed interpretabili come forme narrative.

Altri studiosi hanno proposto di riconsiderare il rapporto tra umano e non–umano, tenendo conto dell’intrinseca creatività della materia e di distinguere agentività da intenzionalità, una qualità esclusivamente umana. La “svolta materialistica” ha favorito l’insorgere della Fourth Wave che si concentra sui nostri atteggiamenti, su quanto determinino e siano determinati dal linguaggio umano, su quanto natura e cultura, lingua e mondo materiale siano interconnessi. Al riguardo, sono stati condotti numerosi dibattiti e studi, come nel caso di Vibrant Matter (2009) di Jane Bennett o New Materialisms (2010) di Diana Coole e Samantha Frost. L’ecocritica materiale intende esaminare il ruolo degli oggetti nelle nostre vite e la loro rappresentazione nei testi letterari.

La letteratura modernista può fornire diversi spunti di riflessione al pensiero ecocritico dal momento che i suoi autori hanno sperimentato direttamente l’allontanamento della società dall’ambiente naturale e testimoniato il cambiamento nel rapporto tra il sé e l’alterità. Nel Modernismo gli oggetti vengono spesso impiegati come dispositivi narrativi che rivelano verità nascoste ed introducono il lettore al mondo del sotterraneo. Questo recente interesse dell’ecocritica per la vita interiore degli oggetti può trovare terreno fertile in Howards End, romanzo del 1910 che ha fatto dell’esordiente E. M. Forster uno degli autori più apprezzati dell’epoca.

Pur essendo trascorso più di un secolo dalla sua prima pubblicazione, quest’opera occupa ancor’oggi una posizione di rilievo nella scena letteraria anglosassone grazie alle problematiche sollevate, spesso al centro delle preoccupazioni moderniste, e per le provocazioni ivi contenute, imbellettate e camuffate dalla formalità stilistica della narrativa tardo–vittoriana. Infatti, al di là delle controversie tra Schlegel e Wilcox e del suo significato immediatamente accessibile ad ogni lettore, Howards End cela in sé dei livelli di lettura più profondi grazie ai quali si presta a diverse interpretazioni. Secondo Ted Howell, l’opera prevede un’apocalisse perché il lettore può confrontarsi con gli allarmanti cambiamenti che investono la società moderna ed il sistema economico su cui si fonda, riversandosi inevitabilmente sul quadro sociale ed ambientale del tempo. Forster si sentiva particolarmente inquieto dinanzi alla modernità che minacciava di stravolgere e acuire i conflitti tra classi, il nazionalismo e il graduale inglobamento della campagna in un nuovo e grigio scenario urbanizzato e industrializzato. Nel romanzo, gli oggetti domestici e culturali creano continuamente nuovi ordini nella vita dei personaggi, determinano la perdita o il ripristino dell’intimità e ispirano le loro azioni. In quest’ottica, sembra che l’autore abbia attinto dal concetto heideggeriano della parola thing per raccontare i valori e la vita delle persone che rappresenta. Forster li adopera per caratterizzare altre figure e, soprattutto, per descrivere la decadenza dell’Inghilterra attraverso la sovrabbondanza di beni materiali e proprietà.

Nell’opera predomina il seguente interrogativo: “Chi erediterà l’Inghilterra? A chi affidiamo il nostro pianeta?” e, in alcuni punti, si potrebbe sperare nel lieto fine che tutti ci auguriamo. Forster però non è dello stesso avviso, non nutre delle speranze di giustizia ed uguaglianza né fa affidamento sul rispetto dell’essere umano per l’ambiente naturale e la vita non–umana, basti pensare a chi perde la vita in quest’opera – umano e non. Tutti i Wilcox sono associati alle auto, alle armi e al denaro, caratterizzati da un atteggiamento consumista e dall’uso smodato di oggetti privi di valore emotivo. I Wilcox rappresentano l’uomo moderno e la smania di potere, la ragione della disillusione di Forster e parte di quel che oggi sta alla base del sentimento definito “eco–ansia”.

D’altra parte, la signora Ruth si distingue dal resto della famiglia per il profondo legame con la sua abitazione in campagna e col vecchio olmo in giardino. La stessa struttura della casa diventa una sorta di corpo animato intriso della presenza della donna, anche dopo vario tempo dalla sua dipartita. Il legame speciale tra Ruth e il paesaggio rurale le attribuisce gentilezza e valori di connessione e armonia, pur rappresentando un’antica concezione romantica della natura e della sua presunta femminilità intrinseca. Se da un lato è la casa ad assorbire l’essenza di Ruth, consolidando così la propria caratterizzazione nell’opera, dall’altro avviene il contrario al corpo di Leonard Bast. Tra gli ultimi capitoli del romanzo, man mano che Leonard si avvicina a Howards End prova delle sensazioni che il narratore descrive attraverso dei parallelismi con la casa stessa, rievocando e, in un certo senso, anticipando le nozioni di habitus e connaissance par corps di Pierre Bourdieu. La casa, precedentemente paragonata a un cuore pulsante, viene organicamente concepita come un termine di comparazione per i battiti del cuore di Leonard.

L’uso che Forster fa delle case, l’appartamento dei Bast, Wickham Place e chiaramente Howards End indica eloquentemente la sua concezione degli oggetti e della carica narrativa che custodiscono. D’altra parte, Forster ricorre al simbolismo della materia anche per ammettere a malincuore che il nuovo mondo ha bisogno di persone come Henry Wilcox. Infatti, nel romanzo si cerca un modo per combinare i due stili di vita opposti dell’idealista Helen Schlegel e del materialista Henry Wilcox. Il contrasto tra i due poli Wilcox–Schlegel dimostra l’apprensione di Forster per il futuro dell’Inghilterra e si manifesta nell’illusorio lieto fine dell’opera che, pur lasciando i personaggi in un nuovo ordine, non stabilisce una condizione affidabile di connessione e integrazione. Il figlio che viene al mondo dall’unione di due diverse classi sociali rappresenterebbe la speranza in un futuro equo in cui gli esseri umani collaborano al di là dei confini sociali ma la risposta più logica che Forster fornisce alla domanda di prima è più cinica e realistica: il mondo continuerà ad essere ereditato e guidato dai potenti. I proprietari terrieri e i ricchi capitalisti sfrutteranno il loro potere unicamente per il proprio tornaconto. Noncuranti delle conseguenze delle loro azioni, contribuiranno a rendere la terra sempre più grigia. Forster lamenta spesso la rumorosa intrusione di alcuni beni materiali nell’ordine del mondo, come le automobili palpitanti che emettono vapori nauseabondi e al tempo stesso raffigurano accuratamente l’interiorità di chi le possiede.

È ormai noto che gli oggetti di cui ci circondiamo possano avere un certo grado di sacralità, rappresentare la storia di un gruppo sociale, avere un proprio ruolo nei miti familiari o nei rituali domestici. Possono essere ereditati per segnalare il lignaggio della famiglia e la continuità tra passato, presente e futuro. Nella narrativa forsteriana, questi vengono adoperati per sviscerare le questioni di genere, potere e autorità. Il narratore vi ricorre per denunciare le differenze e le discriminazioni che si esprimono attraverso gli oggetti e che esasperano le classificazioni sociali. Le cose e i luoghi nelle opere di Forster “raccontano” ulteriori storie di unione e separazione, dotandosi di significato e ruoli, in un modo che sembra quasi anticipare lo studio della materia e della densità degli oggetti. Il sé dei personaggi forsteriani può riflettersi nella “vita interiore” del mondo inanimato, raccontare anche qualcosa che noi stessi tendiamo ad ignorare e certamente può stimolare ulteriori indagini in chiave ecomateriale.

marinascorrano@gmail.com

 

 

 

 

L'autore

Marina Scorrano
Nasce in Salento, tra ghirigori scogliosi e ulivi secolari, compagni fedeli di fantasticherie e principio fondamentale del suo amore per l'immaginazione. Si specializza in Letterature Comparate a Perugia. Quella letteraria è la sorgente da cui si irradiano tutti i suoi interessi: vagare nella natura, scrivere e disegnare.