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Leggere al Sud, un diritto negato

Il diritto alla lettura, quale strumento di accesso al sapere e alla partecipazione culturale, nelle regioni del Mezzogiorno sembra essere strutturalmente un diritto negato, come dimostrano le impietose statistiche periodicamente pubblicate dall’Istat e altri istituti di ricerca. Secondo le ultime rilevazioni (che si riferiscono al 2020) in Italia chi legge almeno un libro all’anno “per motivi non strettamente scolastici o professionali” è poco più del 40% della popolazione di età maggiore ai sei anni. Un dato medio in sé allarmante ma che cela soprattutto un profondo divario territoriale: se nel Nord si raggiunge un 48% di lettori, al Sud sono esclusi dalla pratica della lettura quasi tre quarti dei cittadini, che analogamente non fruiscono di ulteriori consumi culturali (non frequentando teatri, cinema, concerti eccetera), e allo stesso modo crescono le cifre che denunciano il dilagare della “povertà educativa”.

Cifre tristemente confermate dagli esiti del progetto di ricerca sulla lettura Leggere in pandemia #1. Nuovi percorsi di lettura degli italiani, frutto della collaborazione tra il Centro per il libro e la lettura (CEPELL) e l’Associazione Italiana Editori (AIE), che mettono in luce un ulteriore e progressivo aumento della disparità all’interno della società italiana nell’ultimo triennio: essere o non essere lettori risulta sempre più inevitabilmente legato al proprio livello sociale, economico e culturale, e su tutto all’area geografica di residenza.

Le stesse indagini consentono di dimostrare come la scarsa propensione alla lettura sia fortemente correlata all’assenza sul territorio di biblioteche di base: luoghi del welfare aventi funzione di stimolare e sostenere nei cittadini l’abitudine alla lettura, fornendo adeguati servizi. Lo rilevano in particolare l’indice di impatto (definito dal rapporto tra iscritti al prestito sul totale della popolazione di riferimento) che restituisce il radicamento delle biblioteche sul territorio e la capacità di soddisfare i bisogni di informazione e lettura dei cittadini: pari al 15,2% a livello nazionale diventa molto al di sotto della media in Campania (4,6%), Calabria (6%), Sicilia (6,2%), Molise (6,9%) e Puglia (8,7%), come pure l’indice (medio) di prestito: per il 2019 è di 0,96 a livello nazionale con Sicilia (0,05), Puglia (0,05), Basilicata (0,09), Abruzzo (0,09) e Molise (0,09) che mostrano valori estremamente bassi.

Al Sud le biblioteche di base – perlopiù afferenti ai Comuni – sono meno diffuse ma soprattutto molto più deboli, garantendo servizi ridotti e di inferiore qualità, e di conseguenza tendenzialmente ignorate dai cittadini. Un sistema bibliotecario già desueto e poco esteso, ulteriormente indebolito dagli effetti della “riforma Delrio”, che ha procurato enormi difficoltà a molte grandi biblioteche meridionali dipendenti dalle Province (anche costrette a chiudere i battenti, come quella di Campobasso).

Oltre alla carenza strutturale va segnalato il nodo, nevralgico, del personale: i bibliotecari e gli operatori preparati a gestire le complesse prestazioni che dovrebbero svolgere, nelle biblioteche meridionali sono pochi, e spesso dopo il pensionamento non rimpiazzati. Per fare un paragone emblematico – e direi drammatico –, mentre nel vasto, articolato e attivissimo sistema delle 25 biblioteche di pubblica lettura del Comune di Milano operano oltre 350 addetti assunti a tempo indeterminato, il Comune di Napoli è del tutto privo di personale (e per le precarie condizioni finanziarie non potrà assumerne a breve) e sostanzialmente anche di una seppure minima rete di biblioteche civiche.

In questa direzione cartina al tornasole è l’esperienza sarda, con significativi dati in completa controtendenza rispetto alle omologhe regioni meridionali – con indici di lettura quasi doppi rispetto al resto del Sud – grazie a consolidati investimenti di lungo periodo proprio sulle biblioteche di base.

I bassi livelli di lettura si dimostrano dunque in necessaria correlazione con la debolezza delle infrastrutture culturali delineando i tratti di una specifica “questione meridionale” che procura la privazione per diversi milioni di cittadini del diritto fondamentale di accesso al sapere e alla cultura a cui le moderne biblioteche rispondono. Da qui la necessità di mettere in campo una politica nazionale e locale che rafforzi e rilanci le infrastrutture culturali – e in particolare le biblioteche di pubblica lettura, senza le quali è difficile immaginare interventi capaci di produrre effetti significativi sul medio-lungo periodo – e le reti di operatori del settore (editori, librai, associazioni, organizzatori di festival eccetera). Interventi peraltro giustificati non solo per ragioni culturali e sociali, ma come leva per la ripresa del mercato editoriale, che può crescere significativamente solo allargando la base dei lettori.

In questi anni qualcosa si è mosso sia a livello nazionale, in particolare con la Legge sulla lettura del 2020, la cui attuazione è affidata al Centro per il Libro del Mic, ancora priva però di una dotazione economica all’altezza delle ambizioni, che in alcune importanti esperienze regionali – come nel programma delle “biblioteche di Comunità” pugliesi (che però conserva la pesante criticità di limitarsi a pur massicci investimenti infrastrutturali, senza occuparsi compiutamente della gestione e del personale) – ma una effettiva presa di coscienza collettiva sul da farsi sembra ancora lontana.

Si impone dunque l’urgenza di un organico programma di interventi specificamente mirato a mitigare le fratture prodotte dalla sperequazione territoriale, che dovrebbe comprendere:

  • una compiuta attuazione della nuova Legge sulla lettura potenziandone la dotazione finanziaria, in particolare per quanto riguarda il “Fondo nazionale per la promozione della lettura” da portare almeno a 20 milioni di euro;
  • un sostanziale rafforzamento – anche in termini di personale – del Centro per il libro e la lettura del Mic, con il compito di coordinare le politiche nazionali del settore;
  • la realizzazione di “Patti regionali per la lettura” come strumenti di programmazione a livello territoriale (anche in questo caso prevedendo un adeguato stanziamento di risorse da mettere a disposizione dei soggetti locali per l’attuazione di politiche efficaci);
  • l’adozione per ogni Comune del “Patto per la lettura” al fine di coordinare e sostenere interventi integrati che coinvolgano l’intera filiera del libro (biblioteche, librerie, scuole, associazioni eccetera);
  • la previsione di leggi regionali che supportino economicamente (in cofinanziamento) la gestione delle biblioteche da parte dei Comuni per raggiungere opportuni standard di qualità del servizio;
  • la promozione di progetti in partenariato pubblico-privato per rafforzamento delle biblioteche di base e scolastiche (vincolando le attività al coinvolgimento di specifiche professionalità in ambito bibliotecario e di promozione della lettura e culturale);
  • l’impulso per un più vasto programma di infrastrutturazione culturale per le regioni del Sud, finalizzato alla composizione di una rete di biblioteche “leggere” che siano anche luoghi di aggregazione, di socializzazione e di fornitura di servizi per i cittadini, con particolare riferimento ai contesti più penalizzati e che preveda, opportunamente sostenuto, l’affiancamento dei Comuni per la realizzazione e la gestione delle strutture.

santoro@anci.it

 

L'autore

Santoro Vincenzo
Santoro Vincenzo
Vincenzo Santoro è nato ad Alessano (Le) il primo febbraio 1970. Nel corso dell’esperienza universitaria a Pisa, partecipa al movimento studentesco “La Pantera” e comincia un percorso di lavoro e approfondimento sui temi della rappresentanza studentesca e del diritto allo studio, che in seguito svilupperà collaborando alla fondazione del sindacato studentesco Unione degli Universitari (in cui farà parte del primo esecutivo nazionale, dal 1994 al 1997) e poi come collaboratore del Ministero dell’Università (dal 1998 al 2001). Eletto nel consiglio comunale del suo comune (Alessano, Lecce), svolgerà l’incarico di consigliere delegato alla cultura dal 1997 al 2000.Parallelamente, svilupperà un’attenzione ai temi delle culture e delle musiche tradizionali (con particolare riferimento alla sua terra di origine, il Salento), contribuendo a numerosi progetti culturali e realizzando diverse pubblicazioni, fra cui Il Ritmo meridiano. La pizzica e le identità danzanti del Salento (2002) e Il Salento Levantino. Memoria e racconto del tabacco a Tricase e in Terra d’Otranto ( 2005), insieme a Sergio Torsello, Il ritorno della taranta. Storia della rinascita della musica popolare salentina (2009), Odino nelle terre del rimorso. Eugenio Barba e l’Odin Teatret in Sardegna e Salento, 1973-1975 (2017), Rito e passione. Conversazioni intorno alla musica popolare salentina (2019), Il ballo della pizzica-pizzica, con Franca Tarantino, 2019).Altra pubblicazione importante da lui curata è Manifesto di Pace (2002) raccolta degli articoli scritti per il quotidiano il manifesto dal 1990 al 1992 da Don Tonino Bello, vescovo di Molfetta e esponente importante del movimento per la pace.Dal 2004 lavora presso l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, dove attualmente è responsabile del Dipartimento Cultura e Turismo.Nel 2015, con Antonella Agnoli, ha curato la pubblicazione di Un viaggio fra le biblioteche italiane, volume che riassume i risultati di una ricerca condotta in quaranta biblioteche “di base” distribuite su cinque province e una regione, per conto del Centro per il libro e la lettura del Mibact.Di recente (2021) per l'editore Itinerarti ha pubblicato il volume Il tarantismo mediterraneo. Una cartografia culturale e curato la raccolta di saggi Percorsi del tarantismo mediterraneo.

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