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Pasolini e la “Settimana della poesia” (Spoleto 1965)

Tra sabato 26 giugno e venerdì 2 luglio 1965, nell’ambito dell’Ottava edizione del “Festival dei Due Mondi”, ha luogo a Spoleto la cosiddetta “Settimana della poesia”. Voluta fortemente da Giancarlo Menotti, questa Settimana mette insieme più di venti poeti provenienti da svariati continenti. Senza contare coloro che si esibiscono fuori dal programma ufficiale nella serata speciale del 30 giugno in piazza del Duomo, elenco qui di seguito gli invitati: Mbella S. Dipoko, Tchicaya U Tam’Si, Ingeborg Bachmann, Murilo Mendes, Miroslav Holub, Pablo Neruda, André Frénaud, Ted Hughes, Stephen Spender, Desmond O’Grady, Lino Curci, Pier Paolo Pasolini, Salvatore Quasimodo, Rafael Alberti, José Hierro, José Angel Valente, Johannes Edfelt, Andrei Voznesenski, Evgenij Yevtushenko, John Ashbery, Lawrence Ferlinghetti, Barbara Guest, Charles Olson, Ezra Pound, Allen Tate, Tony Towle, John Wieners, con Spender e Ashbery che si esibiscono anche come maestri di cerimonia nel presentare gli incontri. A questa lista va aggiunto almeno il poeta statunitense William Berkson, che leggerà i suoi testi dopo Pasolini.

Come scrive Piero Magi nell’articolo A Spoleto è cominciata la settimana della poesia, citando il Direttore artistico del Festival, «Il problema non è cogliere queste voci della poesia mondiale: il problema è, casomai, assortirle. “I poeti sono come le prime donne” ha detto scherzando Menotti “Metterli insieme, distribuirli nei giorni, non sarà un’impresa da poco. Cantano tutti la pace e l’amore, poi non sempre vanno d’accordo tra loro”» (“La Nazione”, Domenica 27 giugno, p. 14). L’evento poetico che si svolge tutti i pomeriggi presso il teatro Caio Melisso, vede esibirsi il primo giorno Salvatore Quasimodo, Barbara Guest e Pablo Neruda. È lo stesso Magi a fornirci un’ottima descrizione del debutto: «Si è cominciato oggi, al “Caio Melisso”. L’appuntamento è fissato per le ore diciassette; il teatro non impegna, è considerato soltanto un punto di ritrovo. Primi ospiti della week, così la chiamano, sono stati l’italiano Quasimodo, la poetessa statunitense Barbara Guest e Pablo Neruda, cileno per l’anagrafe dell’ufficio stampa del festival ma “poeta del mondo” nella presentazione che di lui ha fatto Stephen Spender (…). Salvatore Quasimodo, premio Nobel, ha detto oggi fra uno sfarfallare frenetico di cineoperatori dieci poesie sudando per il caldo e i riflettori. Ascoltare non è facile: capire talvolta impossibile. Se tutto quel brusio di macchine da presa, il tira e molla dei cavi, l’accendi e spegni degli spots non diventerà, in avvenire, più ragionevole sarà la poesia a rimetterci. Accolto da un prolungato applauso Quasimodo ha letto le sue liriche senza cedere alle lusinghe della recitazione di effetto, con voce monocorde, ma tuttavia solida e rotonda. Il pubblico ha ascoltato senza batter ciglio. “Gli amanti vanno lieti nell’aria di settembre…” – “Le parole stanche – risalgono un’acqua lapidata – forse il cuore ci resta, forse il cuore…”. Nemmeno il cuore ci resterà se il caldo continua così. Poi la Guest “rappresentante dell’ultimo movimento letterario newyorkese”, ha detto Spender. Bionda, giovane ancora, gli occhi celesti, la poetessa statunitense ha letto alcuni versi della sua più recente raccolta. Si è finito con Pablo Neruda, forse il più atteso, un viso buono di professore di liceo pronto al sorriso, alla battuta. Neruda ha letto la parte centrale del suo lungo poema La montagna di Machupichu, salutato, alla fine, da uno scrosciante applauso. Il pubblico chiedeva a Neruda un supplemento, ma Neruda ha detto in italiano: “Troppo tardi e troppo caldo; rimango qui per qualche giorno, ci ritroveremo”».

Tra i poeti più attesi, oltre a Neruda, vi è certamente Ezra Pound, che chiude le letture di giovedì 1 luglio. Non a caso la recensione dell’incontro, priva di firma, si sofferma essenzialmente su di lui, a partire già dal titolo Ezra Pound al Melisso: «Per la “Settimana della poesia” giovedì hanno recitato al “Melisso” John Ashbery, John Wieners, e Johannes Edfelt. Dal palco d’onore ha chiuso la serata Ezra Pound. Ezra Pound, il grande maestro, ultimo baluardo della letteratura americana, uomo del quale un tempo si parlò molto, esiliato politico, si è alzato dal palco d’onore, e mentre la platea, assorta, guardava quel vecchio dai capelli e dalla barba canuta, ha recitato una favola di Marianne Moore, una favola di La Fontaine, intitolata Il grillo e la formica, la storia famosa della volpe e l’uva, il V canto dell’Inferno per rendere omaggio a quel grande genio che fu l’Alighieri, una traduzione di Robert Lowell, una poesia cinese dell’ottavo secolo, intitolata Rihaku, insieme ad un’altra tradotta dallo stesso Pound, due traduzioni di Saturno Montanari, dal titolo Ultima ora e Pomeriggio di Luglio, sempre tradotte dallo stesso Pound. Il vecchio poeta ha conquistato tutti, e noi dal canto nostro gli siamo grati di essere venuto in Italia, dopo la visita che ci fece nel 1957 [sic!]» (“La Nazione”, Domenica 4 luglio, p. 6). La manifestazione termina il giorno successivo, venerdì 2 luglio, con Charles Olson, Pier Paolo Pasolini, William Berkson e Murillo Mendes.

Rimandando l’analisi d’insieme dell’evento alla scheda del catalogo della mostra “Prospettiva Pasolini”, redatta con Francesca Tuscano, in questa sede mi limito ad alcuni cenni sulla partecipazione di Pasolini: va segnalato innanzitutto che si tratta, con ogni verosimiglianza, della sua prima lettura pubblica di poesie, alla luce di quanto appare nell’articolo, siglato R. F., Terminata la settimana dedicata alla poesia: «Pasolini per la prima volta ha recitato al pubblico le sue poesie; a molti sono piaciute, e dobbiamo obbiettivamente riconoscere che se il talento di Pasolini venisse sfruttato da lui senza intento di faziosità le sue opere eccellerebbero tra i contemporanei per il grande senso espressivo e il pessimismo, quasi leopardiano» (“La Nazione”, Martedì 6 luglio, p. 6). A Spoleto Pasolini ha modo di rivedere alcuni amici, quali Yevtushenko (in una prima fase Pasolini pensò a lui per la figura di Cristo nel Vangelo secondo Matteo), nonché di conoscere una serie di poeti con i quali instaurerà una relazione (come Ingeborg Bachmann), scrivendo anche su di loro, ma soprattutto entra in contatto con Ezra Pound, presente durante la sua performance, verso il quale non aveva mai nutrito simpatie. Basti ricordare che nella missiva indirizzata ai redattori della rivista «Officina» del 27 giugno 1956, Pasolini scrive di essere in attesa di «una nota di Bassani per Pound – contro la richiesta di scarcerazione -», come contraltare alla Petizione in corso di realizzazione per chiedere la sua liberazione.

A seguito di questo incontro Pasolini muta radicalmente la sua posizione nei confronti di Pound: lo cita nelle sue poesie (cfr. Poeta delle Ceneri: «Nessun artista in nessun paese è libero. / Egli è una vivente contestazione / Pound va in prigione come “Siniawsky e Daniel”, / e il Signor Lennon ha scandalizzato tutti, credo anche i Russi»; o anche in Versi prima fatici e poi enfatici di Transumanar e organizzar), nella lettera ad Allen Ginsberg del 18 ottobre 1967 («Ma la pratica e la Ragione non sono le stesse divinità che hanno reso PAZZI e IDIOTI i nostri padri borghesi? Povero Wagner e povero Nietzsche! Hanno preso tutta loro la colpa. E non parliamo poi di Pound! Ma era colpa o era una funzione? La funzione data loro dalla società dei PADRI pazzi e IDIOTI cultori della PRATICA e della RAGIONE, onde detenere il POTERE, per autodistruggersi? Nulla dà un senso di colpa più profondo e immedicabile che detenere il potere»), e soprattutto arriva a intervistarlo il 26 ottobre 1967, nella casa veneziana del poeta americano.

 

Questa settimana poetica spoletina si rivela pertanto particolarmente significativa nel percorso intellettuale e poetico di Pasolini.